Crediamo che una delle missioni più alte della politica sia quella di concentrare le proprie migliori energie per formare generazioni che garantiscano un futuro prospero all'Italia. Il nostro compito è prima di tutto rispondere a un'esigenza essenziale della nostra comunità con azioni concrete. Qui di seguito trovate alcune delle nostre proposte.
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Dal “Decreto aiuti”, agli artt. 26 27 28 dedicati all’Istruzione/Formazione
si segnalano alcune novità che meritano la nostra attenzione e la piena condivisione di taluni passaggi che a regime potranno, forse, dare una svolta alle criticità più volte affermate di una frammentazione sempre più anacronistica dei percorsi scolastici rispetto ai bisogni della realtà produttiva e formativa.
Prima novità di base il via libera alla verticalizzazione della filiera formativa tecnico/professionale comprensiva degli ITS Academy e delle lauree ad orientamento professionale abilitanti.
Altra novità è la certificazione delle competenze in chiave europea al termine del primo (certificazione livello 2) e del secondo biennio (certificazione livello 3) per la piena compatibilità degli apprendimenti.
Il fine è quello di superare il persistente disadattamento o disallineamento nella formazione di figure tecnico-professionali richieste dal settore produttivo, che peraltro è un segmento di indirizzo scelto da più del 30% di studenti.
Prevista la revisione ordinamentale dei percorsi scolastici di indirizzo orientandoli verso le innovazioni introdotte con il Piano Nazionale “Industria 4.0”. Quindi la riforma degli istituti tecnici sarà realizzata con un Dpr su proposta del MIUR entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del “Aiuti ter”.
Come già riportato gli studenti che terminano il percorso formativo del diritto-dovere all’istruzione al termine del primo biennio riceveranno una certificazione Eqf di secondo livello comparabile agli apprendimenti degli altri paesi UE e dal termine del secondo biennio Eqf di terzo livello.
Dovrà essere aggiornato il profilo educativo, culturale e professionale dello studente PECUP con decreto MIUR che definirà i quadri orari e gli indirizzi in raccordo con le filiere produttive di riferimento.
Positiva l’introduzione di meccanismi volti a dare continuità ai percorsi di istruzione tecnica con i percorsi di formazione terziaria nei settori tecnologici.
Quindi una auspicata verticalizzazione della filiera formativa professionale, comprensiva degli ITS Academy, di recente revisione con la legge appena varata nel scorso mese di giugno 2022.
Necessaria la previsione di una formazione dei docenti rispetto agli apprendimenti in un’ottica laboratoriale più spiccata, così come pure il supporto alla internazionalizzazione dei percorsi oltre ad accordi regionali tra imprese, enti accreditati, ITS Academy, Università e centri di ricerca.
Altra novità caratterizzante l’introduzione di più ore di laboratorio oltre a passaggi agevolati tra precorsi scolastici e mondo produttivo. Fondamentale l’aumento ed il potenziamento dell’alternanza scuola-lavoro nei piani triennali dell’offerta formativa. La normativa interviene anche sul sistema delle “passerelle”, meccanismi di passaggio tra percorsi professionali statali e quelli Iefp di competenza delle regioni attualmente disciplinate da un accordo Stato-regioni (recepito del Dm 427/2018).
Da parte nostra si segnala come assolutamente auspicabile la sperimentazione quadriennale, già peraltro avviata, in alcuni percorsi tecnici, che andrebbe diffusa ed estesa ai percorsi professionali statali affinché gli apprendimenti e le certificazioni vadano ad avere una scadenza naturale al termine dei diciotto anni dello studente, come avviene peraltro negli altri paesi europei.
In conclusione l’impianto si rende necessario e si spera che i successivi decreti attuativi e le norme derivanti rispondano pienamente ai bisogni più volte sollevati del mondo produttivo, sociale e formativo. Unico limite sarà la mancanza di risorse economiche disponibili se, come più volte sottolineato negli articoli, non devono derivare ulteriori aggravi e nei limiti delle risorse umane, finanziarie e strumentai disponibili a legislazione vigente.
“Cari Genitori, cari docenti, cari Studenti,
sono ad inviarvi alcune riflessioni che alla luce dei nuovi scenari che si sono aperti per la scuola – Legge 107, “La Buona Scuola” – servano per non trovarci impreparati nel cogliere le opportunità che accompagneranno nei prossimi anni la vita della nostra Scuola.
Nel palleggiarsi le responsabilità educative, genitori e docenti si lamentano per l’educazione ricevuta come “alunni” nella scuola o viceversa per l’educazione ricevuta come “figli” in famiglia. A scuola come a casa, molti ragazzi sono indisciplinati, intolleranti, aggressivi, trasgressivi, demotivati.
In famiglia, a volte, non si riescono a trasmettere principi e valori fondamentali ma si insegnano solo regole interne, per il buon vivere senza troppi conflitti e sforzi.
A scuola, a volte, ci si occupa e ci si preoccupa più dell’istruzione che dell’educazione, dando forse per scontato che tutti gli alunni abbiano già interiorizzato determinati valori sociali o che comunque tali valori debbano essere rispettati, almeno a scuola.
In questo modo può accadere che perfino il bambino che inizia a frequentare la scuola, si scontri con le prime regole di convivenza nel gruppo, non le accetti, resista e si opponga ad ogni minimo ordine sociale. Il bambino non è abituato al valore della regola, dell’attesa, della rinuncia, della frustrazione, della noia, della sconfitta. Non conosce l’autorità, non riconosce e non rispetta sia l’adulto che i compagni. Non è in grado di distinguere i diversi ruoli dell’adulto e del minore, tra chi ha il compito di insegnare e chi ha il compito di apprendere.
Bambini e ragazzi hanno invece estrema necessità di regole, perché hanno bisogno di capire quali sono i loro limiti, di comprendere ciò che è legittimo e ciò che non è legittimo, cosa è bene e cosa è male, così come ciò che è accettabile e ciò che non lo è (rischioso, dannoso, pericoloso).
Quando la scuola e l’istruzione erano il principale e spesso unico strumento di promozione sociale, insegnanti e genitori stavano dalla stessa parte, con autorevolezza e autorità, per il raggiungimento delle stesse finalità e dei medesimi obiettivi.
La scuola rappresentava il vero investimento per le future generazioni e i genitori, così come i docenti (rispettati e ascoltati) responsabilizzavano i ragazzi richiedendo un certo grado di impegno/profitto e un determinato comportamento corretto.
Oggi gli alunni acquisiscono a scuola solo il 20% del loro sapere, il resto è già acquisito all’esterno nei modi e nelle forme che tutti vediamo (nuove tecnologie, informazioni, mass-media, ecc.).
Oggi succede, che di fronte ad una sia pur minima delusione scolastica il genitore dell’alunno tende ad iperproteggere il figlio rispetto alle richieste della scuola: “non ti preoccupare se vai male a scuola, tu sei bravo, è colpa dell’insegnante che non ti capisce”. Molti genitori vivono grossi sensi di colpa, hanno difficoltà a mettersi in discussione, sono troppo proiettivi caricando i figli di aspettative troppo elevate…
Si stava meglio quando si stava peggio?
Probabilmente no, considerato che allora esisteva una “selezione naturale” e che solo una parte degli alunni completava la scuola dell’obbligo; una parte ancora più piccola proseguiva gli studi e una parte minima accedeva alle facoltà universitarie.
Oggi, ogni ordine e grado scolastico rappresenta un diritto-dovere per tutti e per ciascuno:
Diritto-dovere di poter frequentare la scuola
Diritto-dovere di non abbandonare la scuola e di ottenere almeno un minimo successo scolastico
Certamente, questa scuola di ciascuno e di tutti, deve faticosamente diventare scuola per ciascuno e per tutti: alunni in difficoltà di apprendimento e di comportamento, alunni ripetenti, alunni svantaggiati e disagiati, alunni disabili, alunni stranieri, alunni demotivati, disinteressati, disimpegnati.
La scuola di oggi deve riuscire a coniugare equità ed eccellenza, deve poter garantire: le pari opportunità di tutti nell’accesso all’istruzione e nella possibilità di un successo formativo; l’eccellenza dei risultati; la valorizzazione dei meriti individuali; insomma deve tener conto di tutti senza lasciare indietro nessuno!
Proprio per questo la personalizzazione dei piani di studio sono la vera chiave di volta per il raggiungimento di questo fine. Non dimentichiamo in questo caso la lezione di Don Milani, quando scriveva che non c’è peggior ingiustizia che presentare la stessa identica minestra a persone con gusti e stomaci diversi: il risultato sarà che molti non digeriranno o smetteranno di mangiare.
Certo, non abbiamo la ricetta, non abbiamo pronto il rimedio. Non è facile, semplice e veloce!
La scuola, o meglio i docenti, non possono dimenticare che l’istituzione scolastica fa parte, esprime, elabora, rispecchia una determinata società e cultura, con tutti i problemi, le difficoltà, i conflitti e le contraddizioni connesse. Molti genitori e insegnanti appaiono, e lo sono, disorientati, sempre alla ricerca di formule magiche, che aiutino a risolvere qualsiasi problema emerga dal rapporto con i figli/alunni. La paura che un confronto possa sfociare in conflitto, soprattutto con i figli in età adolescenziale, congela qualsiasi pratica educativa.
Ma cosa osserviamo in questi ultimi anni? Il ruolo di autorità viene messo pesantemente in discussione, i genitori vivono una crisi d’identità, che mina le fondamenta del processo educativo. Nello specifico le nuove emergenze si evidenziano in:
• impossibilità di essere autorevoli nelle regole di convivenza;
• incapacità di leggere e capire i bisogni dei figli;
• fatica nella gestione degli aspetti affettivi-emozionali dei figli;
• difficoltà ad essere modelli di identificazione positivi;
• fatica ad arginare le mode ed il sistema dei consumi;
• eccessiva preoccupazione alla competizione in ambito scolastico.
Molti genitori, con sforzo e dedizione, cercano strade di benessere reciproco, ma queste tematiche vengono, di fatto, riportate nel contesto scuola e si intrecciano con le relazioni scolastiche: insegnanti, compagni, amici e il “gruppo”; è questo il problema. Il contesto scuola non solo fa da scenario, ma per molti versi, accellera e/o inibisce molti di questi atteggiamenti.
La classe diventa uno spazio di teatralizzazione dove ognuno porta in scena il proprio mondo degli affetti nel rapportarsi con gli altri. Accade spesso, che molti ragazzi non reggano i ritmi dello studio, non solo per incapacità intellettive, ma perché presi a dipanare e cercare di risolvere le tensioni relazionali nell’interazione con il gruppo-classe.
Sono propri questi gli alunni più fragili che sovente attirano la nostra attenzione di educatori.
È esperienza comune incontrare situazioni di disagio che si esprimono nelle forme più diverse: fobie, ossessioni, disturbi dell’alimentazione, iperattività, depressioni, eccesso di impulsività che sfociano in veri e propri atti di bullismo.
A questo punto vale la pena di ricordare una bella frase di Edgar Morin: “Abbiamo bisogno non di teste piene ma di teste ben fatte”, la sfida educativa sta proprio in questo.
Cercare un senso al processo educativo, significa mettere al primo posto l’educazione della coscienza dei nuovi cittadini. Ciò avviene solo quando tutti gli educatori rimettono in discussione l’intero orizzonte dei saperi. La domanda potrebbe essere:
• Quale cittadino per un futuro, complesso, multiculturale, incerto e dalle forme precarie e flessibili?
• Quali saperi essenziali per orientarsi in un mondo sempre in costante cambiamento?
Essenziale è ripensare allo spazio scuola come luogo di costruzione di relazioni forti, dove il cognitivo regge su altre forme di intelligenza: quella emotiva e sociale-relazionale. I nostri alunni sono analfabeti dal punto di vista emotivo. Chi si preoccupa di parlare al cuore dei nostri ragazzi? Chi riesce ancora a trasmettere un’emozione di fronte a una poesia, una musica, un semplice pensiero?
Bisogna sviluppare nei ragazzi la capacità di emozionarsi, scegliere, decidere, volere, vanno aiutati ad avere tempi di riflessione rispetto al fluire di informazione continua. Possono così giungere ad avere convinzioni proprie, a non lasciarsi omologare dalla cultura dominante, ad accettare le “regole sociali” e la convivenza nel rispetto dell’altro “così com’è”, ad imparare ad appartenere alla società più vasta e a partecipare a quei beni che appartengono a tutti: il successo scolastico non basta a garantire il successo formativo. Sono già tante le esperienze messe in atto, si pensi alle tante iniziative sulle varie tipologie di educazione: ecologica, affettiva, sessuale, stradale, sportiva, salute, alimentare, legalità, ecc…. È probabile che oggi la scuola rappresenti l’ultimo baluardo al divagare di forme educative orientate prevalentemente a modelli consumistici. Ultimo spazio educativo importante in cui si possano arginare i fenomeni emergenti: incidenti stradali, alcool, tossicodipendenza, legalità, alimentazione, ecc… Forse troppo?
Certamente troppo, anche per chi vede ancora nel lavoro di insegnante non solo un mestiere, ma una professione, una vera e propria mission. Ma i problemi restano tutti. I giovani d’oggi sono disorientati come lo è il sistema familiare.
È necessaria una nuova ALLEANZA EDUCATIVA tra istituzioni ed educatori.
Da dove potremmo iniziare? Forse proprio da una nuova collaborazione fra educatori.
Con rispetto reciproco e nell’ambito dei propri ruoli dobbiamo riprogettare un percorso di senso, soprattutto in quei ragazzi più fragili. Offrire più occasioni di crescita, di confronto, di relazioni, dove possa emergere un protagonismo dei ragazzi. Una sfida in cui gli stessi adulti devono mettersi in gioco.
Spesso le famiglie vengono viste come “disturbo”, raramente come “risorsa”. Una scuola autoreferenziale, onnicomprensiva, totalizzante, solitaria, chiusa nelle sue mura, senza reti e alleanze educative (famiglia, comunità civile, parrocchia, enti sportivi…) non può più reggersi.
Del resto gli insegnanti devono anzitutto essere precisi e puntuali, preparati e senza improvvisazioni, non arrabbiati, amanti di ciò che si fa e, soprattutto…dei ragazzi. Purtroppo il dibattito avviene quasi sempre davanti al “disagio”, davanti a difficoltà gravi; raramente ci si ferma a ragionare sull’educazione e sul quadro valoriale: il POF rischia di restare sulla carta.
Il mestiere dell’insegnante sta cambiando: la fatica è notevole, il riconoscimento sociale irrilevante. Molti sono stanchi, demotivati; c’è bisogno di “gente di speranza”, di entusiasmo, perché oggi tutto si gioca sulla relazione: la relazione (metacomunicazione) è prima dei “contenuti”. Non c’è possibilità di apprendere i contenuti se manca la “relazione”.
È finito il tempo del palleggiamento delle responsabilità: famiglia, scuola e istituzioni educative devono operare in sinergia, investendo le migliori risorse nel processo educativo, ognuno con le specifiche competenze, senza sovrapposizione e confusione di ruoli.
Occorre lavorare per una visione educativo-formativa più profonda, in un clima di fiducia e di collaborazione tra le istituzioni, soprattutto tra famiglia e scuola, evitando incomprensioni, recriminazioni, proteste…o peggio.
Alla scuola è richiesto un’apertura di credito e di speranza, un po’ di profezia.
Una scuola che sa dire ai ragazzi che c’è “altro” attraverso gli strumenti che le sono propri: arte, poesia, musica, ricerca scientifica, serietà nel porre gli interrogativi esistenziali, passione per l’uomo, per la storia, per la natura…realtà che vanno “oltre” i consumi e il narcisismo individualistico, capaci di dare senso alla fatica di essere uomini e di riempire quel “vuoto” che è causa di angoscia per tanti.
Dobbiamo lavorare sui sogni, sul domani, su una scuola “viva”. Abbiamo una sola carta di credito: la nostra umanità. Non la si trova sulle bancarelle o all’iper, non è un “pret a porter”, ma è la sola cosa spendibile e credibile agli occhi dei nostri ragazzi.
P.S.
Nel rimandare a quanto dicono, scrivono e praticano molti pedagogisti, psicologi, sociologi, esperti ed educatori molto più preparati ed autorevoli del sottoscritto, sembra proprio che gli strumenti più utili ed efficaci per affrontare il problema restino ancora comunque: il dialogo e l’esempio; il tempo e la voglia di ascoltare i figli e gli alunni, l’abitudine di non dare nulla per scontato, la capacità di comprendere prima di giudicare, la qualità di saper capire il punto di vista dell’altro.
E poi, le regole, si apprendono dai fatti, non dalle parole, dalle prediche, dai rimproveri, dai soli castighi…
Quando noi adulti mettiamo in discussione i ragazzi, dobbiamo mettere in discussione anche noi stessi.
Quando i ragazzi sbagliano sempre, anche noi adulti abbiamo in parte fallito.
Questo contributo che, come ho già scritto non ha la pretesa di insegnare nulla a nessuno, spero possa essere momento di riflessione e stimolo per tutti noi, per uno slancio di entusiasmo, per una partecipazione più attiva e consapevole.
Alessio Masserini