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GAL VAL SERIANA E DEI LAGHI BERGAMASCHI
PER UN DOCUMENTO DI CANDIDATURA DELLA VALLE SERIANA ALLA SECONDA STAGIONE DELLA
STRATEGIA NAZIONALE PER LE AREE INTERNE (SNAI)
BOZZA 2.0 DEL 21 APRILE 2021
2
S O M M A R I O
1. GEOGRAFIE DELLA VAL SERIANA 3
1.1 Valli alpine e pedemonte lombardo, le aree interne in una prospettiva metro-montana
3
1.2 La pandemia da Covid 19 e la fragilità della “Italia di mezzo” 3
1.3 La articolazione interna della Valle: sopra e sotto il ponte del Costone. 5
1.4 Identità e integrazione territoriale. 5
1.5 L’importanza di chiamarsi Ernesto: costruire l’identità culturale della nuova Valle Seriana
6
2. IL CONTESTO SUB- REGIONALE E POSIZIONAMENTO DELLA VALLE IN UNA STAGIONE DI RAPIDO MUTAMENTO
8
2.1 Le ragioni del Contesto. 8
2.2. Le strategie dell’area bergamasca per il XXI secolo e la risposta del tessuto economico
locale alla Grande recessione 2008-2011. 9
2.3. La pandemia e il post pandemia: qualche segnale di scollamento dell’economia locale.
10
2.4. I nuovi driver dello sviluppo. 11
2.5. Una città più lontana dalle Valli? 12
3. L’OCCASIONE DELLA SNAI 14
3.1 Una nuova centralità della Montagna: il riconoscimento delle Accademie, della politica,
della opinione pubblica. 14
3.2 Il ruolo della SNAI. 15
3.3. La lezione della pandemia e la rivincita dei territori che non contano 16
3.4 Successi e difficoltà della SNAI: le lezioni da trarre per la seconda stagione della Strategia.
17
3.5. Caratteri e potenziali della Val Seriana nella prospettiva della SNAI 18
3.6. Cosa può attendersi la SNAI dalla Valle Seriana. 19
4. CRITICITÀ E TRAIETTORIE DELLA SOCIETÀ E DELL’ECONOMIA SERIANA 21
4.1. Il fattore demografico, longevità, denatalità 21
4.2. L’impatto della pandemia sulla struttura sociale e sui servizi 22
4.3. La sfida della sostenibilità: riconquista di spazi e di valori 23
4.4 L’economia primaria delle alpi e delle coste,opportunità vincoli e risposte 25
4.5 I molti turismi della valle 26
4.6 La manifattura dopo la manifattura 27
5. LINEE GUIDA PER LO SVILUPPO DELLA CANDIDATURA 28
5.1. Linee guida per gli assi progettuali da sviluppare 28
5.2. Il percorso per costruire assieme una progettualità efficace 29
5.3. La responsabilità di chi investe per la prossima generazione 29
5.4. Per innovare. Una strategia di rete 30
3
1. GEOGRAFIE DELLA VAL SERIANA
1.1 Valli alpine e pedemonte lombardo, le aree interne in una prospettiva metro-montana
La Valle Seriana, esteso e popoloso comprensorio bergamasco, interessa il bacino montano che
il Fiume Serio ha tracciato nella sua discesa dalle Alpi Orobie al pedemonte padano.
La valle costituisce una entità geografica fortemente caratterizzata nei suoi tratti identitari e,
contemporaneamente presenta importanti differenziazioni nella intensità e nelle forme dei
processi insediativi che ne hanno accompagnato l’evoluzione economica in una modernità
industriale che ha qui radici non recenti.
Con altre valli alpine, la Val Seriana, condivide infatti una storia moderna nella quale processi di
precoce industrializzazione hanno trovato nella forza motrice dell’acqua importanti ragioni di
successo, costruendo articolati equilibri sociali caratterizzati tanto dall’impiego di una mano
d’opera di impronta e di insediamento rurale quanto dall’apertura a vasti mercati internazionali.
In modi diversi e forse anticipati questo territorio così partecipa a quel modello di
“industrializzazione senza fratture” che ha connotato lo sviluppo del Nord Est Centro italiano
(NEC). Un Nord-Est al quale la bergamasca come il bresciano sono accomunati nella storia
moderna dall’impronta lasciata nel territorio dal governo della Serenissima; una presenza
ancora ben riconoscibile nelle morfologie e nelle architetture.
In questa sua conformazione di area montana articolata e complessa, espressione di valori
tradizionali e trasformazioni conosciute nella modernità, la Valle Seriana si propone alle
politiche territoriali e alla esperienza delle Aree Interne, come esempio di particolare interesse
per una riconsiderazione delle relazioni metro-montane.
Una relazione, quella metro-montana che si vorrebbe affermare, dove quello che si stabilisce
tra popolazioni metropolitane e aree montane, è un rapporto di prossimità che non assume i
caratteri estrattivi (di popolazione, innanzitutto, ma anche di risorse naturali) come è
frequentemente accaduto in un passato anche recente e neppure assume i tratti di una nuova
colonizzazione da parte di una popolazione in fuga dalle città, proponendosi invece come
relazione complementare che riconosce e valorizza i servizi del territorio montano, quelli
ecosistemici, innanzitutto.
Il tema metro-montano ha cominciato ad acquisire e ha sempre più consolidato una propria
riconoscibile fisionomia proprio nella occasione della pandemia da Covid 19 e delle misure di
lockdown che ne sono conseguite.
Proprio in queste circostanze lo sguardo delle popolazioni metropolitane si è rivolto con occhi
nuovi e nuovi metri di giudizio verso territori come le valli alpine – o anche i contrafforti
appenninici – che aveva sin qui considerato come lontane periferie o al più come luoghi di
vacanza di moderato appeal.
1.2 La pandemia da Covid 19 e la fragilità della “Italia di mezzo”
Nel suo esplodere, nel marzo 2020, la pandemia da Covid 19 ha portato drammaticamente alla
attenzione della opinione pubblica nazionale realtà che erano rimaste sconosciute ai più.
4
Territori come Codogno, nel lodigiano, o, appunto Alzano Lombardo, comune bergamasco della
bassa Valle Seriana sono apparsi come luoghi topici della imprevista situazione sanitaria con cui
il Paese si trovava, del tutto impreparato, a fare i conti.
Ne è emerso, assieme al fortissimo shock emotivo che la virulenza della pandemia e ancor di più
le circostanze veramente tragiche del suo manifestarsi colpendo fasce particolarmente
vulnerabili della popolazione in condizione di isolamento materiale e morale dal contesto delle
proprie relazioni familiari, una nuova consapevolezza sulle diffuse condizioni di fragilità che la
società contemporanea presenta sotto uno strato rassicurante di tecnologie ed economie
sofisticate. Uno strato che si è però rivelato straordinariamente sottile e vulnerabile sotto
l’impulso dirompente di processi naturali come è stata la pandemia ma come, non di meno, è la
crisi climatica incombente.
Nel raccontare questi luoghi e la loro peculiare caratterizzazione geografica qualcuno ha voluto
richiamare la nozione di una “Italia di mezzo”. Una realtà territoriale non compiutamente
riconducibile alla dimensione metropolitana (che, per il rilievo di fattori come la densità e la
mobilità, in essa presenti in massimo grado, si sarebbe dovuta ritenere la più immediatamente
esposta a dinamiche globali di diffusione del contagio), e nemmeno qualificabile come area
periferica o interna.
Un’ Italia di mezzo, pienamente inserita nelle relazioni della globalizzazione, per la collocazione
delle proprie attività produttive nelle global supply chain (le catene globali di fornitura che
inseriscono le nostre multinazionali tascabili e PMI internazionalizzate in un flusso di relazioni ad
amplissimo spettro) come per la diffusione di modelli di consumo cosmopoliti del turismo e dei
viaggi internazionali.
Realtà territoriali indebolite però nella propria infrastrutturazione sociale da processi di
specializzazione funzionale e progressiva concentrazione dei presidi (quelli ospedalieri in primo
luogo) che avevano attenuato le difese e le capacità di risposta proprie di una buona medicina
territoriale.
Una Italia di mezzo tanto più fragile in quanto sollecitata da modelli di crescita sub urbana delle
metropoli e delle città di maggior rango che trasferivano residenza e produzione proprio mentre
ri-polarizzavano entro i più densi nuclei urbani e metropolitani le funzioni di eccellenza di
maggior specializzazione, quelle della sanità prima di ogni altra.
Questa fragilità di cui ora abbiamo nuova consapevolezza può trovare un utile riferimento
proprio in quelle politiche per il consolidamento dei “Servizi di Cittadinanza” nelle aree
periferiche e semiperiferiche che sono state la bandiera (una delle bandiere) della SNAI.
È stata la SNAI, infatti, ad affermare, precorrendo i tempi, l’esigenza di adattare ai luoghi le
risposte ai bisogni primari anche a costo di generare quelle riserve di capacità e quei circuiti di
ridondanza che, invece di essere espressioni di inefficienza, si sono rivelate nella pandemia veri
e propri presidi di antifragilità.
5
1.3 La articolazione interna della Valle: sopra e sotto il ponte del Costone.
Nella nuova configurazione delle fragilità (e delle antifragilità) territoriali portate in evidenza
dalla pandemia, anche l’articolazione di territori che come la Valle Seriana, conoscono
importanti linee di faglia al proprio interno può essere considerata entro una nuova visuale.
Il Ponte del Costone rappresenta da sempre un luogo topico nella descrizione della realtà
territoriale della Valle Seriana.
Una cesura tra bassa e media valle, dove l’ampiezza del fondovalle e anche una migliore (per
quanto modesta) accessibilità alle polarità urbane ha consentito all’insediamento
manifatturiero di diventare il tratto distintivo, quasi il carattere identitario, della società seriana,
ed alta valle, dove le distanze si dilatano, la complessità funzionale si riduce, l’insediamento si fa
più rado rendendo così le condizioni della permanenza umana più difficili.
Certo anche al di sotto del ponte del Costone, nella media e bassa Valle Seriana si presentano
realtà differenziate con situazioni come quelle delle confluenze laterali della valle Gandino o
dell’altipiano di Selvino-Aviatico; realtà che presentano peggioramenti significativi delle proprie
condizioni di accessibilità.
Ma è da Ponte Nossa, per arrivare a Clusone e poi di qui, quando la valle si ramifica e si incunea
negli ambienti propriamente alpini della Presolana e delle Orobie bergamasche, che gli
insediamenti umani assumono i connotati della perifericità, sporadicamente interrotta o
mitigata, dalla presenza delle (sempre più fragili) economie di stazione invernale.
Assumere per eccesso di realismo questa cesura tra alta e bassa valle come una delimitazione
costitutiva delle differenze tra le traiettorie di sviluppo del territorio seriano e delle strategie
che ne vogliono accompagnare e sostenere una più favorevole evoluzione, rappresenterebbe
però una perdita di visione assai grave.
Consegnerebbe definitivamente alla condizione di estrema periferia urbana territori ben più
ampi di quelle estreme propaggini meridionali della valle che, come Alzano, sono forse già oggi
sospinte nella condizione più anonima di una “Italia di Mezzo”, ad un tempo periferica e povera
di identità, di cui la pandemia ha drammaticamente mostrato la vulnerabilità.
Sottrarrebbe alla Alta valle le risorse di una diversificazione produttiva e di una densità
manifatturiera che nella media valle o in Val Gandino rappresentano significativi punti di forza di
una economia internazionalizzata e ricca delle sollecitazioni di una società aperta, confinandola
ad un campo di attività agricole da consolidare e di economie turistiche ancora da strutturare
che rappresenterebbero una base economica davvero esigua per sostenere la tenuta nel tempo
di una solida infrastruttura sociale.
1.4 Identità e integrazione territoriale.
Consapevole di questa integrazione necessaria delle sue diverse anime e dell’altrettanto
necessaria articolazione delle politiche territoriali con cui si deve sostenere l’integrazione per
renderla più efficace nel ridurre le disuguaglianze territoriali, la comunità della Val Seriana
guarda alla questione delle Aree Interne con un interesse che va ben oltre la curiosità.
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L’interesse di un territorio complesso ed importante che ha assolutamente bisogno di praticare
un approccio strategico e di misurarsi con una dimensione nazionale per cogliere appieno il
campo delle opportunità che ha di fronte a sé nel proprio cammino.
Lo fa, intanto, agendo nella sua espressione istituzionale, dove una più forte soggettività si
riconosce nella funzione associativa della Comunità Montana e nei ruoli e nelle responsabilità
che questa è venuta assumendo nel tempo.
Una soggettività collettiva, attenta esprimere una rappresentazione ancora riconoscibile nelle
sue distinzioni degli interessi di tutti i 38 comuni che ne fanno parte, ma anche consapevole
della necessità di una dimensione di massa importante per sostenere il confronto e il negoziato
con interlocutori importanti.
Interlocutori tra i quali, nella realtà locale, è in primo piano la città capoluogo. Ma importanti
sono anche le autonomie funzionali rappresentate dalle grandi infrastrutture economiche e
sociali bergamasche che hanno i loro riferimenti fondamentali nell’Università degli Studi di
Bergamo, nell’Ospedale Giovanni XXIII e nell’Aeroporto di Orio al Serio.
Interlocutori tutti necessari, in diversa misura e in diverso modo, per una strategia locale che,
nel contesto di una delle aree produttive di maggiore consistenza e importanza del Paese, vuole
contrastare con efficacia e senza complessi di inferiorità, tendenze di declino demografico e di
pianurizzazione degli insediamenti produttivi che cominciano a mostrare il segno.
Una strategia che si deve dispiegare in una condizione di incertezza nella quale l’insufficienza
dei livelli di governance territoriale generati dalla (incompiuta) riforma istituzionale operata
dalla Legge 56/2014 si è mostrata del tutto evidente.
Ora le speranze di costruire nuove condizioni di governance, assetti politico-amministrativi locali
adeguati alle sollecitazioni così forti in arrivo dalle turbolenze globali, difficilmente può
prescindere dal successo di una applicazione che guardi al contenuto sostanziale delle politiche
assai prima che al contenitore istituzionale che lo elabora.
La posta in gioco è quella di consolidare nuovi assetti istituzionali come esito di una strategia
territoriale nella quale attori sociali e istituzionali ancora frammentati nelle realtà di un ritaglio
comunale non più aderente alla organizzazione funzionale delle attività, trovino ragioni e
condizioni di successo che sarebbero loro invece sicuramente precluse da iniziative singolari e
disperse.
E si dimostrino quindi motivati e propensi a re-investire le ragioni del successo in scommesse
ancora più rilevanti, anche sotto il profilo organizzativo.
1.5 L’importanza di chiamarsi Ernesto: costruire l’identità culturale della nuova Valle Seriana
Il nome è la prima manifestazione di identità di un territorio. Una condizione che ne segnala la
soggettività e l’importanza, intanto agli occhi dei suoi stessi abitanti, che in quel nome
riconoscono sé stessi.
È l’importanza di chiamarsi [di essere la] Val Seriana, cioè di proporsi al mondo come una realtà
unitaria che anche nel nome trova le condizioni di una propria identità riconoscibile e matura.
7
Non tutti i territori sono portatori di un nome proprio. Ci ricorda Carlo Cattaneo [ne la città
considerata come principio ideale delle istorie Italiane] che ”la città formò col suo contado un
corpo inseparabile. Per immemorial tradizione, il popolo delle campagne, benché oggi pervenuto
a larga parte della possidenza, prende tutt’ora il nome della sua città, sino al confine d’altro
popolo”.
Solo alcune regioni sono riuscite a proporre, attraverso il proprio stesso nome, l’immagine di un
territorio di impronta non necessariamente urbana che ha fatto della ruralità [e delle sue risorse
agroalimentari e naturali] il motivo primo del proprio successo: dallo Champagne alle Langhe,
dal Chianti al Salento, dalla Garfagnana al Monferrato.
La Valle Seriana è, per così dire, in una condizione intermedia: il suo nome non è quello di una
città ma per esso il territorio è in debito nei confronti di un fiume, di cui la Valle è la proiezione
geografica. Un nome, quindi, che è ancora innanzitutto la denominazione dei luoghi piuttosto
che delle popolazioni che li abitano.
Dare un assetto compiuto alla identità territoriale della Valle richiede una importante azione
positiva, cui non basta l’abilità nel padroneggiare le tecniche del marketing.
Trovare un motto alla Strategia che la Val Seriana si appresta a mettere in campo può essere –
tanto più quanto il motto sarà felice – una mossa nella direzione giusta ma non rappresenta
certo la soluzione finale nella ricerca, meglio si dovrebbe dire nella costruzione, di una identità
condivisa.
Non per questo ci si può rinunciare! Il carattere perentorio e apodittico di uno slogan
difficilmente è di per sé viatico efficace di un processo strategico che deve esplorare e generare
convergenze, che ha bisogno di includere e far convergere identità frammentate e che deve
soprattutto costruire il contesto fiduciario entro il quale i nomi significano davvero le cose.
Nomina sunt consequentia rerum1
, dicevano gli antichi.
Non basta certo uno sforzo lirico e poco serve impostare la voce se il discorso non è maturo:
rem tene, verba sequentur2
, la regola catoniana è ancora oggi il cardine di ogni retorica efficace.
Anche per questo la candidatura SNAI va intesa come una opportunità. Opportunità per
dispiegare un processo durevole nel corso del quale ciascun luogo e ciascun attore potrà e
dovrà mutare di un poco la percezione di se, per raccogliere le sollecitazioni che a ciascuno
verranno dal percorso intrapreso e dai compagni di strada incontrati nel cammino. L’acqua che
avrà disceso il corso del fiume [il fiume dello sviluppo locale, se questo avrà successo] e si sarà
incanalata in un flusso più ampio e potente, sarà la stessa acqua ma sarà anche diversa da
quelle delle sorgenti.
Cerchiamo intanto un nome, cioè un motto, per la Strategia. Quanto più la Strategia avrà
successo quanto più quel motto saprà suggerire una visione eloquente del territorio e una
1
lat. «i nomi sono conseguenti alle cose». – Frase la cui origine è in un passo delle Istituzioni di Giustiniano, II, 7, 3
nota per la citazione che ne fa Dante (Vita Nuova XIII, 4): che li nomi seguitino le nominate cose, sì come è scritto:
«Nomina sunt consequentia rerum»
2 La locuzione latina “Rem tene, verba sequentur” può essere tradotta in italiano come possiedi l’argomento e le
parole seguiranno [da sé]». La paternità di questa sententia viene attribuita a Catone il Censore.
8
immagine positiva della compagine sociale che di quella Strategia e, sperabilmente, del suo
successo, sarà stata protagonista.
In questo percorso, la riflessione sul nome non sarà un esercizio letterario, un gioco da eruditi.
Dietro al discorso sul nome, c’è una esigenza profonda. Alla quale la SNAI può contribuire a dare
una risposta positiva.
Le comunità, le istituzioni, gli abitanti della Valle Seriana sono alla ricerca – con la Strategia – di
una rappresentazione nuova del proprio sé. Una rappresentazione che dia conto della possibilità
di percepire sé stessi come soggetto e come attore collettivo, all’altezza delle sfide di questa
difficile seconda modernità con le sue rivoluzioni globali e digitali, con le sue esigenze di
sostenibilità e di sicurezza.
Dunque, alla ricerca di una nuova consapevolezza culturale che recuperi e rinnovi quella che,
nella storia, la cultura alta delle élite e la cultura materiale dei processi economici e sociali,
hanno saputo intrecciare tra loro e depositare sul territorio e le proponga come riferimento
utile per navigare nel mare ignoto del futuro; per non essere spaesati, dunque incerti sulla
destinazione e sul cammino.
La candidatura SNAI – e tanto più il suo successo – possono aprire uno spiraglio di grande
interesse verso questo futuro; suggerire e sollecitare azioni politiche, innovazioni sociali ed
economiche ma anche processi culturali, tutti necessari per intraprendere con coraggio e
determinazione, passo dopo passo, la ricerca di una nuova identità di territorio condivisa,
plurale e orgogliosa.
2. IL CONTESTO SUB-REGIONALE E POSIZIONAMENTO DELLA VALLE IN UNA STAGIONE DI
RAPIDO MUTAMENTO
2.1 Le ragioni del Contesto.
La Valle Seriana è, a tutti gli effetti, partecipe di un contesto socio-economico e territoriale che
da sempre trova efficace rappresentazione nel territorio della Provincia di Bergamo,
indipendentemente dal mutevole – e comunque pur sempre modesto – rilievo istituzionale che
questa ha assunto nella storia.
Ora, proprio nel momento in cui la Valle Seriana guarda alla SNAI per ricercare una identità che
le consenta di rappresentarsi diversamente dal suo essere una appendice del sistema urbano,
tanto più periferica e deprivata quanto più diventa alto montana, è necessario avere piena
consapevolezza della evoluzione del contesto provinciale, nei suoi successi come nelle sue
criticità. Farlo è tutt’altro che un esercizio di stile, preoccupato soltanto di collocare ogni cosa al
suo posto per rendere più fluida e compiuta l’argomentazione del proprio racconto. Piuttosto ci
si deve proporre di costruire una matura consapevolezza delle poste in gioco prospettate dalle
attuali condizioni dell’economia e della società bergamasca in questo particolare momento, che
per molte ragioni può essere inteso come un punto di discontinuità, una singolarità, nella
traiettoria dello sviluppo locale. Farlo è una condizione necessaria per costruire un pensiero
strategico che non sia solo il calco di una riflessione stereotipata.
9
Un discorso uniforme sulle Aree Interne, che valga tanto nei Nebrodi come nelle Prealpi Orobie,
potrebbe forse scoprire alcune difficoltà e problemi condivisi che ne unificano le condizioni, ma
troverebbe assai scarse suggestioni per prefigurare un positivo ri-posizionamento delle
rispettive traiettorie di sviluppo che, per esistere, deve innanzitutto essere specifico e peculiare
(idiosincratico, si direbbe con un termine appropriato ma di uso infrequente).
Dei territori si può dire quel che Lev Tolstoj dice delle famiglie nel folgorante incipit di Anna
Karenina: “Le famiglie felici si somigliano tutte, le famiglie infelici lo sono ciascuna a modo suo.”
Anche i territori rimasti ai margini o addirittura esclusi dalla corrente principale dello sviluppo
urbano industriale così come il nostro Paese lo ha conosciuto nella tardiva e intensa esperienza
della seconda metà del XX secolo, hanno sofferto e reagito a questo distacco, ognuno a modo
suo.
Ed è proprio da qui, da queste differenze, che conviene partire per provare a percorrere il
cammino di una diversa strategia di sviluppo locale, dove le peculiarità del contesto sono in
primo piano e i mega-trend globali, per una volta, sullo sfondo.
2.2. Le strategie dell’area bergamasca per il XXI secolo e la risposta del tessuto economico locale
alla Grande recessione 2008-2011.
Bergamo, con la sua Provincia e i suoi territori, ha varcato la soglia del XX secolo con la
consapevolezza di dover costruire una nuova immagine di sé, delle ragioni del suo successo e
delle criticità che avrebbero potuto appannarlo. Una nuova immagine che consenta al sistema
locale di attrezzarsi per far fronte alle nuove sollecitazioni che si stanno delineando.
Con questo spirito Bergamo si è rivolta ad una grande istituzione internazionale,
l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, OECD nell’acronimo della
designazione inglese) per sperimentare, inaugurandone la serie italiana, la relativa novità delle
Territorial Reviews con cui la prestigiosa istituzione da poco si veniva misurando con
l’inconsueta dimensione sub-regionale delle economie locali.
La survey dell’agosto 2001 riconosceva innanzitutto la forza della struttura industriale
bergamasca e sottolineava la sua competitività sui mercati internazionali, evidenziando però
debolezze nei modesti livelli formativi della popolazione e in una certa arretratezza
infrastrutturale e logistica.
Nel 2016 una nuova edizione della survey OECD ripercorreva il cammino dell’economia
bergamasca e la sua traversata della Grande Recessione 2008-2011, confermandone i caratteri
di economia avanzata a marcata caratterizzazione e a forte specializzazione manifatturiera.
Contemporaneamente dovendo registrare un serio rallentamento delle performance di crescita
ben documentate dall’andamento della produttività del lavoro, che risultava essere del 33%
superiore alla media OECD nel 2000 e solo del 14% superiore ad essa nel 2011.
Il giudizio degli osservatori internazionali addebita la responsabilità di questo insoddisfacente
andamento essenzialmente alle performance macro-economiche della economia italiana nel
suo insieme, segnata da forti vincoli che ne hanno compromesso l’efficacia del suo percorso di
uscita dalla grande recessione.
10
Non trascura però di segnalare come proprio il vincolo rappresentato dai modesti livelli
formativi della popolazione bergamasca abbia reso più difficile per le imprese locali, fortemente
internazionalizzate, quel necessario ulteriore passaggio verso specializzazioni manifatturiere ad
ancora più elevato contenuto di valore, accelerando una transizione che già la manifattura
bergamasca aveva sperimentato negli anni più recenti.
Assai rilevante e decisamente significativa è anche l’enfasi che la seconda survey OECD pone al
tema delle criticità di una governance resa ancora più fragile dalla uscita di scena, pressoché
definitiva, della Provincia. Un vuoto che ha ulteriormente marcato la evidente sproporzione
strutturale che nella realtà bergamasca si propone tra la dimensione funzionale della città
(rappresentata nel suo Sistema Locale del Lavoro, cioè appunto la Functional Urban Area, nel
linguaggio delle istituzioni internazionali) che supera di 5 volte e più la dimensione demografica
del Comune di Bergamo, la sua unica espressione istituzionale.
2.3. La pandemia e il post pandemia: qualche segnale di scollamento dell’economia locale.
Su questo contesto, già segnato – in generale – dalle difficoltà di adattamento della economia
italiana alle pressioni competitive della globalizzazione in un panorama finanziario dominato da
politiche di austerità ma anche condizionato – nel particolare – da condizionamenti strutturali
dell’economia bergamasca, si è abbattuta la pandemia da Covid 19.
Nel marzo 2020, al suo innesco sul territorio nazionale italiano, una eccezionale intensità
proprio nell’area bergamasca (e nella bassa Valle Seriana questa ha mostrato in particolare,
dove l’Ospedale di Alzano Lombardo ne è diventato un focolaio primario) divenuta per questo,
agli occhi della Nazione, un luogo topico della crisi sanitaria e della sua estrema drammaticità.
Le crisi sono, notoriamente, occasioni di innesco di risposte inattese e, in un tessuto
particolarmente vitale come è quello dell’economia bergamasca, la capacità di risposta degli
attori economici e sociali non può certo essere sottovalutata, ma certamente le ferite aperte nel
corpo sociale sono numerose e profonde e non pochi i vuoti da riempire nella società del dopo
pandemia.
A preoccupare sulle possibili nuove fragilità del contesto locale non è tuttavia solo l’inattesa
vicenda pandemica e l’intensità dello shock che da questa ne è derivato per l’economia locale.
Alcuni segnali di una possibile fase di maturità incombente della economia locale vengono alla
luce nei tempi più recenti per effetti di processi che segnalano una evoluzione del contesto
economico nel quale l’intreccio dei fattori locali con quelli globali potrebbe presentare aspetti
meno favorevoli che nel passato per il sistema locale.
In primo luogo c’è l’evoluzione del settore bancario e degli intermediari creditizi, sollecitato dal
mercato e dalle stesse autorità di regolazione ad operare nella direzione di acquisizione e
fusione per consolidare le strutture patrimoniali e migliorare le condizioni di efficienza
operativa.
Un processo che ha visto recentemente uscire di scena (per incorporazione da parte di Intesa
San Paolo) di UBI Banca, l’ultima delle quattro banche locali che segnavano il panorama
11
finanziario locale ancora al volgere del secolo, tutte confluite in gruppi di maggiore dimensione
e divenute sempre più estranee al tessuto locale.
Un secondo processo che ha e ancor di più potrebbe avere ripercussioni significative nella
tenuta del tessuto locale è quello determinato dai problemi di successione entro gruppi
industriali che a Bergamo come in altre realtà italiane, hanno sin qui mantenuto una forte
impronta familiare e che, arrivate alla soglia della successione generazionale, si sono offerte e si
potrebbero offrire ad opzioni di acquisizione da parte di fondi e gruppi del tutto estranei a
questo tessuto.
È un po’ “l’altra faccia della internazionalizzazione”, una faccia più rischiosa e meno attraente di
quella sin qui rappresentata con efficacia dal successo internazionale di multinazionali tascabili,
ancora saldamente radicate sul territorio bergamasco.
2.4. I nuovi driver dello sviluppo.
Molti si interrogano sulla fisionomia con la quale le diverse realtà economiche ad elevato livello
di sviluppo (e non solo quelle, in una economia globale nel quale anche realtà a medio reddito
ma ad elevatissima concentrazione di popolazione hanno ormai un peso rilevante)
emergeranno in uscita da una crisi sanitaria che fatica a finire e che si è intrecciata nel suo
procedere ad elementi di crisi economica (e sociale) di non minore impatto e dei quali ancor più
difficile è il pronostico sulla durata e sulle asimmetrie di velocità, in ingresso e in uscita.
Le indicazioni europee per una “Transizione ecologica e digitale” hanno la forza e la consistenza
che deriva loro non riferirsi a mega trend ampiamente segnalati dalla drammaticità delle
condizioni ambientali e dalla evoluzione dell’orizzonte tecnologico già prima della pandemia.
Ancor di più dall’essere sostenute da una inedita politica di bilancio che sul successo di questa
evoluzione investe una quantità di risorse che, per l’Italia in particolare, non ha precedenti nella
storia, superando la stessa manovra di Recovery sostenuta dall’economia e dal Governo
Statunitense a favore dei Paesi europei (anche – e forse soprattutto – di quelli sconfitti) nel
secondo dopoguerra.
La pandemia ci “metterà del suo” per i segnali che ha proposto sulla fragilità delle catene globali
di fornitura e, più in generale, per quella priorità “alla economia della vita” che la difficile
gestione dei lock-down e della logistica sanitaria hanno portato in evidenza.
Non sappiamo quanto fondata sia la previsione visionaria di Jacques Attalì, che vorrebbe di qui
al 2030 vedere la quota della “economia della vita” arrivare al 70% del PIL dei paesi più ricchi.
Abbiamo sotto gli occhi la partita che si sta giovando nella geografia regionale e nella gerarchia
internazionale dell’industria farmaceutica. Un campo non estraneo al tessuto economico della
Lombardia ma non certo particolarmente significativo in questi nostri luoghi.
Con uno sguardo più ravvicinato alla realtà bergamasca alcuni osservatori qualificati dirigono la
propria attenzione ad individuare tre principali driver del cambiamento della struttura
economica locale e del posizionamento del sistema territoriale in un più esteso scenario di
integrazione del mercato. Parliamo dell’Aeroporto di Orio al Serio, dell’Università di Bergamo e
dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII.
12
Tre driver che potrebbero essere riduttivamente intesi come semplici infrastrutture,
economiche e sociali, e che debbono invece essere colti, innanzitutto, per il loro portato di
complessità, per le relazioni non banali che esprimono con le dinamiche globali, per il loro
configuarsi come nodi critici di un ecosistema della innovazione che dovrà adattarsi ed insieme
guidare un campo di innovazioni e di trasformazioni nei comportamenti degli attori economici e
sociali di cui ora possiamo solo immaginare la portata – gigantesca – ma non ancora, almeno
compiutamente, la direzione.
2.5.Una città più lontana dalle Valli?
Gli scenari che si aprono nel quadro provinciale all’ingresso negli anni ’20 di questo ormai non
più troppo nuovo secolo, pongono molti e rilevanti interrogativi alle valli prealpine che hanno
sin qui giocato un ruolo tutt’altro che secondario per il successo economico del sistema
provinciale.
Certamente una tra le principali delle funzioni esercitate dai contesti vallivi, quella della offerta
di forza lavoro industriale è messa in discussione da due ordini almeno di fattori: uno
strettamente demografico con la brusca diminuzione dei livelli di natalità che avevano concorso
non poco – a livello provinciale – a segnare le dinamiche di crescita dell’economia bergamasca
registrata dalle survey OECD; uno di natura più marcatamente economica e sociale che ha a che
fare con i profili formativi più avanzati necessari a sostenere l’evoluzione qualitativa
dell’apparato manifatturiero verso profili di specializzazione a più marcato valore aggiunto e più
lontani – forse – dalla tradizionale matrice meccanica che è stata – e ancora è – il tratto distintivo
della specializzazione economica di questa come di altre tra le più qualificate aree di
specializzazione industriale italiana.
Se a questo si unisce il disagio derivante dalla congestione logistica, dalle carenze
infrastrutturali, dai ritardi e dalle difficoltà a rimettere in gioco opportunità insediative per la
produzione attraverso progetti di rigenerazione urbana nei più angusti spazi dei fondovalle
pedemontani, le preoccupazioni nei confronti di uno scenario di possibile ulteriore
pianurizzazione degli insediamenti non possono certo essere sottaciute.
Per le valli il rischio di una città che si allontana progressivamente dalle Valli, nella concreta
organizzazione fisica dei suoi insediamenti e nello sguardo con cui le culture locali tematizzano il
rapporto con il territorio, non è certo di poco conto nelle sue implicazioni economiche, sociali,
culturali.
Per contrastare questo rischio le valli pre-alpine non possono far ricorso che alle risorse sulle
quali hanno storicamente interpretato il loro posizionamento – e in qualche misura anche il loro
successo.
Le risorse del lavoro e quelle della impresa. Entrambe da riconsiderare e reinterpretare in una
chiave diversa da quella del passato; una chiave nella quale i profili qualitativi hanno
sicuramente un maggiore rilievo, nella quale la capacità di cooperare e fare rete contano
almeno altrettanto della soggettività creativa e dell’approccio disruptive degli equilibri esistenti;
una chiave nella quale vecchi steccati settoriali tra la modernità della manifattura rispetto alla
arretratezza delle attività primarie perde pressoché ogni valore. Perché è proprio il valore che si
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ridispone e si ricombina in inedite proposte che rivolgono a mercati potenzialmente molto più
estesi tratti originali e specifici di produzioni, di competenze, di profili cognitivi che nel
radicamento con il territorio trovano una delle loro fondamentali chanches di successo. Essendo
l’altra la capacità di essere in relazione con il mondo.
Con queste preoccupazioni e con queste attese nei confronti di un domani incerto ma non
disperato, la Valle Seriana guarda alla SNAI.