L'intervento pubblicato dal quotidiano "il Riformista", 2 luglio 2021.
Il primo vagito dello stato democratico risale all'inizio del 1300, quando per la prima volta lo Stato, il Sovrano, affermò - sancendo il diritto di "habeas corpus" - di non poter disporre arbitrariamente della vita (e del corpo) dei cittadini che fossero incappati nelle maglie della giustizia. È il principio recepito dall'articolo 13 della nostra Costituzione, che recita: «È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà».
È una regola aurea, questa, fondamento intangibile e non negoziabile della nostra democrazia. Perché il nostro contratto sociale rimette allo Stato l'amministrazione della giustizia e l'uso della forza, alla quale noi come singoli cittadini rinunciamo, a condizione che lo Stato rispetti sacralmente il corpo di chi si trova, inerme, nelle sue mani.
La differenza tra una dittatura e una democrazia sta in primo luogo in questo: nell'uso legale, misurato e proporzionale che lo Stato fa della sua capacità di coercizione. I regimi oscurantisti del passato, la Santa Inquisizione, le tirannie nazi-fasciste e le dittature sudamericane ci hanno fatto vedere nei secoli e fino a non molti decenni fa cosa lo Stato può fare dei prigionieri alla sua mercé: possono essere torturati - magari perché confessino colpe non proprie - e poi fucilati, decapitati, appesi, lapidati, impalati, squartati, bruciati vivi, o fatti sparire buttandoli in mare da aerei appositamente fatti decollare alla bisogna.
Le democrazie sono invece tutto il contrario di questo: nelle democrazie anche il più efferato dei criminali ha diritto all'integrità del proprio corpo. "Nessuno tocchi Caino" è il nome bellissimo dell'associazione radicale contro la pena di morte, perché in uno Stato democratico anche Caino il fratricida ha diritto alla propria dignità e alla propria integrità fisica. E questo per una semplice ragione: che il crimine è il contrario dello Stato democratico e lo Stato democratico non compie atti che di per sé costituirebbero reati. Lo Stato democratico fa giustizia, non si vendica.
Per questo motivo le forze dell'ordine sono così importanti e cosi centrali nella vita di una democrazia: perché a loro è affidato l'uso della forza, l`uso legittimo delle armi, la libertà personale dei cittadini, l'autorità della legge. E non esiste Stato democratico senza forze dell'ordine (e, aggiungo, forze armate) che non abbiano maturato una piena maturità democratica e la piena fedeltà ai valori costituzionali e ai simboli dello Stato che sono chiamati difendere dalle minacce interne ed esterne.
L'Italia è senza dubbio alcuno un Paese dove le donne e gli uomini in divisa vivono pienamente il ruolo cruciale che rivestono nella nostra vita democratica, sono un pilastro solido e forte della Repubblica. E i politici che li guidano devono essere essi per primi all'altezza di questa lealtà. Quando, nell'estate del 2019, un ministro in carica inneggiò dai social media al fatto che il probabile colpevole di un gravissimo reato fosse stato ammanettato e bendato in un posto di polizia giudiziaria, egli tradì il giuramento di fedeltà alla Costituzione che aveva fatto nell'assumere l'incarico. E tradì anche la fiducia della massima parte delle forze dell'ordine, quelle che quando ricevono in consegna un cittadino privato della sua libertà personale, sanno cosa devono fare donne e uomini al servizio della Repubblica.
I fatti di Santa Maria Capua Vetere, le immagini che abbiamo visto, costituiscono uno strappo gravissimo, una ferita irreparabile, nel tessuto della nostra democrazia e come tali, io credo, andranno approfonditi e trattati.
Ci sono stati purtroppo altri casi in passato di persone che, affidate alle mani dello Stato, hanno subito lesioni o non hanno fatto ritorno a casa e tutti - al di là dell`esito delle indagini e dei processi - pesano comunque ancora sulla nostra coscienza collettiva: dal sangue di Genova a Cucchi, da Aldrovandi a Uva a Magherini. Quando questo accade, è necessario che lo Stato democratico indaghi, faccia luce. E che sanzioni. Non per dileggio delle forze dell'ordine, ma per il motivo contrario: per sottolineare la delicatezza e l'importanza del ruolo che ricoprono e per sancire in modo solenne la riconoscenza verso chi, avendo nelle mani una cosi grande responsabilità, la esercita con la straordinaria professionalità e l'umanità che in tutto il mondo sono riconosciute a tutte le nostre forze di polizia.
Chi crede che reprimere, quando sciaguratamente accade, la violenza dello Stato sia un'onta per chi presta servizio a favore dello Stato, dimostra di non aver capito nulla. Né dello Stato democratico in cui disgraziatamente esercita una responsabilità, né di chi fedelmente ogni giorno lo serve, dedicandogli per intero la propria vita.