L'editoriale del parlamentare di Italia Viva Catello Vitiello su il Riformista - Ed. Napoli del 8/02/20
Difendere lo Stato di diritto non ha niente a che vedere con l’alleanza di governo, laddove la tutela della collettività è certamente preminente rispetto alla tutela di una maggioranza che non subirà contraccolpi da una battaglia di civiltà giuridica, perché – diversamente – sarebbe una maggioranza non fondata sul bene comune!
Il tema sembra impopolare, ma difendere la prescrizione non significa difendere l’impunità: in un sistema liberale che voglia tutelare il patto sociale tra l’individuo, la comunità e lo Stato le tutele all’interno del processo penale non sono mai troppe, come confermato dallo straordinario lavoro dei Padri costituenti che, dal ’46 al ’48, hanno costituzionalizzato principi, valori e libertà in un periodo storico di profondo mutamento istituzionale e nonostante l’esistenza di un sistema penale sostanzialmente inquisitorio!
Andando con ordine e partendo dalla fine: la prescrizione è servente alla funzione pubblica ai sensi dell’art. 111 Cost. Cancellarla in ragione di una – solo presunta – maggiore efficienza dei processi penali comporterà un innegabile “prolasso” processuale in netta antitesi rispetto alle coordinate volute dal legislatore costituzionale del 1999, allorquando ha elevato a principi inderogabili di rango costituzionale sia il giusto processo, fondato sull’effettiva capacità dimostrativa della pretesa accusatoria del PM, sia la ragionevole durata, senza la quale si allenterà la tensione sociale sul disvalore penale della condotta. La prescrizione è, poi, servente all’individuo, stanti il secondo e il terzo comma dell’art. 27 Cost. Mentre dalla considerazione di non colpevolezza discendono numerosissimi corollari relativi al rapporto verità storica/verità processuale, al rapporto PM/giudice e al “sacrificio del giudicare” (come lo definì Leonardo Sciascia), così implicando l’illegittimità di congelare sine die la prescrizione e, di conseguenza, di mantenere un presunto innocente “eternamente giudicabile”; dal principio di rieducazione della pena discende la necessità costituzionale che la sanzione penale punti al recupero e alla risocializzazione del condannato: è tipico di uno Stato illiberale punire una persona dopo tanti anni dalla commissione del fatto di reato.
È giusto che la potestà punitiva dello Stato abbia un tempo, un limite, eccettuati i casi di crimini gravissimi per i quali si prevede un tempo più ampio o, addirittura, la imprescrittibilità, in modo che siano perseguibili in ogni tempo.
Uno Stato liberale punisce i colpevoli per risocializzarli e non per vendetta.
Il diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost. rappresenta, inoltre, l’architrave del giusto processo e della presunzione di non colpevolezza perché, vista la sua inviolabilità, prelude il rispetto di tutte le garanzie e destina il doveroso equilibrio in quel patto sociale fra individuo e collettività messo in crisi dal processo penale. E, per questo, una difesa che possa dirsi efficace ed effettiva se, da un lato, non può essere compressa dal tempo, dall’altro deve esplicarsi in modo da verificare il rispetto dell’onere della prova e fronteggiare le distorsioni di un sistema che, gestito dagli uomini e non da superuomini o esseri superiori, è fallibile. E allora, non esistono “cavilli” tirati fuori da un cilindro come fossero conigli, bensì eccezioni che, se fondate, possono comportare sì una dilatazione dei tempi del processo, ma a causa di errori commessi da chi ha l’esclusiva dell’azione penale o della verifica della stessa. Se a tanto si aggiunge, poi, che ogni rinvio delle udienze, richiesto per impedimenti riconducibili agli imputati o ai difensori, comporta per legge la sospensione del termine prescrizionale, si comprenderà agevolmente come gli avvocati non abbiano alcuna possibilità di procrastinare i processi per arrivare alla prescrizione e come i magistrati debbano essere diligenti e non commettere errori, rispettando le regole processuali poste a base dello Stato di diritto (del resto, il 60% delle prescrizioni matura nel corso delle indagini preliminari, laddove il difensore non ha poteri di sorta e i tempi dipendono solo ed esclusivamente dai magistrati del pubblico ministero).
In questa disamina di principi costituzionali, l’inviolabilità della libertà personale di cui all’art. 13 Cost. assegna un peso specifico all’individuo la cui libertà non può essere violata se non in forza di una doppia riserva, di legge e di giurisdizione. La prescrizione avvalora questa inviolabilità rappresentando, in concreto, la cifra della deroga prevista: in tanto potrà violarsi la libertà di un uomo, in quanto la giustizia faccia il suo corso in tempi certi! Infine, l’art. 3 Cost. consente di comprendere in che modo può definirsi incostituzionale sia l’assimilazione fra condannati e assolti sia l’esclusione dei soli assolti proposta dal Presidente del Consiglio. Mentre la sospensione sine die (recte, cancellazione) della prescrizione dopo la sentenza di primo grado – di assoluzione o di condanna che sia – vìola il principio di uguaglianza formale di cui al primo comma dell’art. 3 Cost., perché assolti e condannati non rappresentano un medesimo punto di partenza (sia per l’essenza probatoria del processo di primo grado, che nel processo accusatorio rappresenta la massima espressione di giudizio di merito, sia per la funzione dell’appello di mero gravame e non di secondo giudizio, laddove la riassunzione della prova rappresenta l’eccezione e non la regola) perché, non configurando la medesima espressione della presunzione di non colpevolezza, non possono dirsi analoghe; al contempo, l’abolizione della prescrizione per il solo condannato vìola l’uguaglianza sostanziale indicato dal suo secondo comma, dal momento che in situazioni diverse lo Stato deve predisporre le medesime garanzie per ottenere eguali risultati (in pratica, dinanzi a diversi punti di partenza, occorrono mezzi e strumenti per raggiungere gli stessi obiettivi). In definitiva, pur salvando l’assolto resta l’incostituzionalità per il condannato ed è, quindi, certamente illegittima una prescrizione a due velocità, per la mancanza di equità nella differenziata sorte processuale (con termini certi per il primo e senza alcun termine per il secondo), in assenza di un fondamento giustificativo della disparità di trattamento.
In realtà, o non si conosce il problema o non si vogliono vedere le soluzioni, visto che in un sistema accusatorio: si dovrebbe, innanzitutto, fare i conti con il principio di obbligatorietà dell’azione penale di cui all’art. 112 Cost., posto che un potere di selezione dei fascicoli cui dare priorità già esiste e determina un peso specifico nella statistica delle prescrizioni; in secondo luogo, sarebbe opportuno modificare il regime delle notificazioni e responsabilizzare, così, di più il ruolo dell’avvocato difensore; ancora, sarebbe necessario rivisitare la pianta organica dei tribunali, affinché il rinvio di un processo non superi un tempo compatibile con i principi di oralità e immediatezza della prova; infine, bisognerebbe iniziare a discutere seriamente di separazione delle carriere e di responsabilità dei magistrati prima ancora di immaginare una responsabilità in solido dei difensori in caso di ricorsi inammissibili.
Occorre, infatti, ridisegnare i confini del potere giudiziario come non è stato fatto nel 1988, prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, ristabilendo un equilibrio fra indagini e processo, fra magistratura requirente e giudicante, e ricostituendo un sistema processuale democratico che sia presidio dello Stato di diritto … senza dimenticare una verità ineludibile: la giustizia è gestita dagli uomini e la sua fallacia sta nella sua necessaria umanità. Proprio per questo il giudizio degli uomini deve essere legato a regole ferree e stringenti, perché non diventi giudizio morale, giudizio etico, giudizio politico o, più semplicemente, pregiudizio!