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Vitiello: "La Costituzione non è l'unica tradita nel carcere di Santa Maria Capua Vetere"

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L'intervento pubblicato da "il Riformista", 9 luglio 2021.

Molto è stato detto, nei giorni scorsi, sulla vicenda di Santa Maria Capua Vetere, com'era facile che fosse. Poco è stato fatto, negli anni scorsi, com'era difficile che fosse. La narrazione di quei fatti, orribili, inaccettabili, non può, però, cominciare e finire. Al contrario, rappresenta un concorso di patologie del nostro sistema giuridico, giudiziario, politico e amministrativo; rappresenta tutto ciò che non dovrebbe essere; rappresenta la deviazione di ogni previsione legislativa, partendo dalla Costituzione, passando per le fonti europee, finendo con la legislazione ordinaria.

La prima percezione, fosse anche solo per humana pietas - quel sentimento che, a detta degli antichi, induce a provare compassione e rispetto per il prossimo - è certamente di sconcerto. È doloroso vedere una parte dello Stato che calpesta i diritti di coloro che ha preso in custodia. Varcare la soglia di un istituto carcerario, come ci ha spesso ricordato la Consulta, non vuol dire abbandonare i diritti fondamentali. I padri costituenti, però, si spinsero ancora oltre, riconoscendo non solo l'esercizio dei diritti fondamentali, ma anche una funzione rieducativa della pena. Significa che lo Stato, limitando ciò che di più prezioso abbiamo, la libertà, si impegna a garantire al detenuto un percorso di formazione, rieducazione, reinserimento nella società.

È ciò che distingue la pena, costituzionalmente intesa, dalla vendetta. D'altra parte, anche per Caino valse il principio della pari dignità sociale, oggi sancito dalla nostra Carta fondamentale, e il principio di rieducazione e riabilitazione. considerando l'uomo sempre come fine e mai come mezzo. Per raggiungere quest'obiettivo non scontato, occorrono condizioni minime di umanità e dignità che dovrebbero tradursi in strutture decorose e non sovraffollate. programmi validi di risocializzazione, adeguato numero di operatori penitenziari. psicologi, assistenti sociali, mediatori culturali. Tuttavia, uno sguardo anche superficiale alla quotidianità del pianeta carcere dimostra, con drammatica evidenza, quanta distanza vi sia fra questi principi e la realtà della pena detentiva: un ambiente inumano sia per i detenuti, che vedono negarsi i diritti loro riconosciuti, che per gli agenti penitenziari, costretti a lavorare in condizioni complicate, per usare un eufemismo.

Un malessere condiviso da un pezzo di società che sfocia - anche - nelle immagini terribili che abbiamo avuto il dispiacere di visionare in questi giorni. Immagini che, volendo restare nel perimetro della legalità, non avremmo potuto né dovuto visionare, perché materiale oggetto di attività investigativa e, come tale, coperta da segreto d'indagine ai sensi del codice di procedura penale; ma si tratta di un "dettaglio" sfuggito ai più. Nell'Italia della spettacolarizzazione del dolore, in barba a ogni buon gusto, regola deontologica o previsione normativa, tutto è possibile.

È possibile tradire impegni politici, leggi, speranze e Costituzione. Alla quale dovremmo tornare, riportandola nei luoghi in cui furono imprigionati i nostri padri costituenti.