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Toccafondi: "Che dolore vedere un amico in carcere"

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La lettera di Gabriele Toccafondi, pubblicata dal "Corriere Fiorentino", 5 novembre 2020

Caro Direttore,
pensare ad una persona che conosci, con cui hai fatto un percorso politico ma anche umano, pensarla in carcere, fa stare male. Conosco Denis Verdini da diversi anni. Per molti aspetti eravamo talmente differenti e distanti da essere considerati «diavolo e acqua santa». Non sono mancate le litigate e le posizioni opposte, ma sono stati tanti anche gli abbracci e le convergenze su alcuni temi che sembravano impossibili.

Il codice non scritto della politica (degli ultimi anni) mi consiglierebbe di lasciar stare e non dire niente, perché non è conveniente parlare di una persona condannata... Per me invece ha contato sempre — e molto di più — l'aspetto personale e umano. Pensare in carcere un amico, una persona con cui hai fatto un percorso politico ma soprattutto umano, condividendo gioie e dolori, mi fa stare male. E non comprendo perché una persona di quasi settant'anni che non ha commesso violenze, debba finire in carcere e non ai domiciliari.

Si dice che «le sentenze si rispettano». Giusto, ma si possono non capire e anche non condividere. La condivisione penso sia più campo dei giuristi e di chi conosce i codici. Io invece, da profano, posso dire di non capirla. Sia perché se la sentenza fosse arrivata ad aprile, tra cinque mesi circa, sarebbero scattati i domiciliari, sia perché il Procuratore Generale, l'accusa, aveva sollecitato l'annullamento della sentenza d'appello con rinvio ad un nuovo processo.

Tecnica, giurisprudenza e sentenza a parte, per me resta un dispiacere profondo. Perché i rapporti umani contano.