Governo Bellanova

Teresa Bellanova: “Sono qui per le amiche braccianti che non hanno una vita”

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“Non sono orgogliosa di non avere un titolo di studio ma non l’ho mai nascosto. Dico a tutti: studiate, perché più si sa, più si può”

Intervista a Teresa Bellanova di Giovanna Casadio, Repubblica, 8 settembre 2019

«A chi pensavo mentre giuravo da ministro? Non voglio commuovermi!». E Teresa Bellanova si commuove: «Io ho perso amiche di 17, 18 anni che sono morte negli incidenti dei pullmini dei caporali, nei campi. Non hanno avuto le opportunità che ho avuto io». Si asciuga le lacrime e se ne scusa. Nel suo ufficio al primo piano, proprio sopra il salottino di Cavour custodito nell’androne del ministero dell’Agricoltura in via XX Settembre, Bellanova è vestita di arancione pallido, il colore delle albe sui campi pugliesi. «Le mie amiche non è solo che non hanno potuto studiare, ma non hanno potuto vivere, avere figli… Per me tutto il resto, la polemica su come mi vesto, sul mio aspetto, è irrilevante. Io a loro ho pensato».

Pugliese di Ceglie di Messapica, 61 anni appena compiuti, la ministra ha alle spalle un curriculum come pochi: bracciante agricola con la terza media, sindacalista dei braccianti, dirigente politico, sottosegretaria al Lavoro, migliaia di ore impiegate in trattative sindacali, vice ministra dello Sviluppo economico e ora a capo dell‘Agricoltura. «Essere ministra qui è non soltanto un ritorno alle mie origini, ma voglio riuscire a dimostrare che l’agricoltura e l’agroindustriale non sono un settore che rappresenta arretratezza e fatica, bensì significa cultura, salute, ben mangiare e ben bere».

È il secondo giorno al ministero. Un invito al suo predecessore, il leghista Gian Marco Centinaio: «L’ho cercato. Ma non ho avuto ancora un passaggio di consegne». Figlia di contadini, Bellanova. Il padre Rocco, comunista, era bracciante e poi mezzadro. «Ricordo la fatica delle alzate all’alba a 14 anni per andare a lavorare l’uva per l’esportazione. Resti segnato». Si interrompe per riprendere fiato. Perché Teresa “ la tosta” - come la chiama il conterraneo sindaco di Bari, Antonio Decaro, ammettendo di averci litigato qualche volta faccia a faccia “e beh, non lo consiglio a nessuno” – è inarrestabile.

Ministra Bellanova, ma quel vestito bluette a balze di chiffon l’aveva comprato apposta per la cerimonia al Quirinale?
«No, non avevo avuto tempo di comprare nulla. Lo avevo acquistato per una cerimonia di nozze e ora non so neppure se riuscirò ad andarci. Ma di certo quell’abito lo riutilizzerò».

Il segretario della Cgil, Maurizio Landini dalle pagine di Repubblica le ha dato solidarietà e, a proposito del titolo di studio, la licenza media, ha contrattaccato: “è una colpa provenire da famiglie che non potevano fare studiare i figli?” E’ questa la sua storia?
«Landini mi ha telefonato. Per me non è un valore non avere un titolo di studio superiore, ma neppure la vivo come una frustrazione. Non l’ho mai nascosto che mi sono dovuta fermare alla terza media. Non ho potuto proseguire, sono andata a lavorare nei campi. Ma ai ragazzi che incontro, a mio figlio, dico: studiate, studiate, studiate. Non è per avere un pezzo di carta, ma perché più si sa, più si può. Io questa possibilità non l’ho avuta. Non mi rende orgogliosa non avere studiato. Non ce l’ho il titolo di studio che vorrei e non me lo posso dare. Ma tutto quello che ho potuto fare contro la dispersione scolastica, per facilitare l’accesso agli studi, l’ho fatto».

Suo figlio studia?
«Sì, mio figlio Alessandro studia medicina».

Dalla terra al ruolo di ministro: quanto è stato difficile?
«Quando vieni privata dell’infanzia e del diritto al gioco, quando non hai la fortuna di studiare perché lavori e le due cose sono incompatibili, allora ti crei una corazza. Che ti mette nelle condizioni di affrontare le sfide e di fare battaglie».

Gli insulti social di questi giorni l’hanno ferita?
«Più che altro mi hanno irritata. Noi siamo davanti a una fase così complessa, abbiamo come Paese appuntamenti importanti e un gruppo di persone perde il suo tempo a discutere sul mio aspetto fisico, sui vestiti che indosso. Dopo di che, se non hanno niente di meglio da fare…».

Lei ha risposto sempre via social #vestocomevoglio
«Ho anche detto che, se impazzita mi presentassi a Miss Italia, allora capirei apprezzamenti sul mio aspetto fisico. Ma ho una funzione istituzionale e immagino di poter essere criticata anche aspramente, però per quello che faccio. Mi piacciono i colori e i vestiti colorati. Mi sono misurata spesso con la sofferenza e amo la vita ».

Quali sono i dossier a cui pensa di mettere subito mano?
«L’agricoltura va posta al centro dell’agenda politica. Se non rendiamo questo settore attrattivo per i ragazzi e per le ragazze, se le imprese agricole non trovano continuità nel nucleo familiare, noi assisteremmo solo al degrado. Il nostro cuore batte per Greta, però dobbiamo essere consapevoli che investendo nel settore agricolo si cura anche l’ambiente».

E a quali provvedimenti pensa?
«Dobbiamo semplificare la vita agli agricoltori e rafforzare le filiere made in Italy. Occorre contrastare l’illegalità del caporalato e dello sfruttamento degli immigrati. La legge contro i caporali funziona nella parte repressiva, ma è alla prevenzione che bisogna puntare. Poi c’è la regolamentazione dei flussi di migranti, essendoci fabbisogno per il lavoro agricolo. Xylella, basta con la cultura degli sciamani, poniamo al centro nel territorio pugliese scienza e tecnica e soprattutto un piano di rilancio per l’olivocoltura nel Salento. Lavoreremo sodo, senza proclami».

Con Renzi, lei faceva parte di quei dem che non volevano alcun dialogo con i 5Stelle. Poi avete cambiato idea. Ora con i colleghi ministri grillini, come si trova?
«Dobbiamo imparare a lavorare insieme, sapendo che le differenze politiche, almeno per me, non sono superate. Ma stiamo tentando un esperimento per rispondere all’emergenza. Salvini aveva creduto di sciogliere il Parlamento dalle spiagge. Tutto questo giustifica un governo istituzionale, vedremo se siamo all’altezza. Con la ministra Lamorgese collaboreremo a partire dall’esigenza delle imprese che chiedono un cambio di passo sui flussi regolari di lavoratori stranieri».