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Sondrio, Del Barba: "Investire nel Credito Valtellinese significa credere nel territorio"

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L'intervista pubblicata da "il Giornale di Sondrio", 12 dicembre 2020.

L'Opa del Crédit Agricole sul Creval non ha sorpreso nessuno. Tanto meno l'onorevole Mauro Del Barba, 50 anni, di Morbegno, membro della Commissione Bilancio della Camera e componente della Delegazione Parlamentare dell'OSCE. Il deputato valtellinese, poi, conosce molto bene il mondo delle banche essendo un funzionario in aspettativa della Popolare Sondrio e presidente di AssoBenefit.

Dopo l'acquisizione di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo, in Italia è ripartito il risiko bancario. Mentre si discuteva delle possibili nozze tra Unicredit e MPS, delle future alleanze di Banco BPM, il Crédit Agricole ha annunciato un'Opa sul Credito Valtellinese.

Era una mossa attesa visto che i francesi già detengono il 9,8% dell'istituto di piazza Quadrivio?
«Non sono rimasto per nulla sorpreso ed era risaputo che l'Ad del Creval, Luigi Lovaglio, stava facendo un lavoro di risanamento per rendere appetibile la banca sul mercato o almeno così veniva percepito nell'ambiente. Sono invece rimasto sorpreso dal fatto che l'Opa non fosse attesa dal CdA».

È congrua l'offerta di 10,5 euro per azione?
«Questo lo deve decidere il mercato. Dal mio punto di vista l'offerta si attesta sui valori dell'ultimo aumento di capitale e consente agli azionisti di uscire con un margine interessante. o è rappresentato dall'offerta cash, una modalità che esprime forte volontà da parte di Crédit Agricole Italia di inserire il Credito Valtellinese in un ambizioso piano industriale di sviluppo nel Belpaese, dando così vita alla sesta banca commerciale italiana. Mettere sul tavolo 737 milioni in contanti significa che credono fortemente in questo progetto e considerano il Creval un'ottima banca. Penso sia un bel segnale per gli azionisti, i clienti e i dipendenti».

L'organico del Creval negli ultimi anni è stato ridotto, teme nuove ripercussioni dal punto di vista occupazionale? Quando ci sono queste aggregazioni emergono esuberi...
«Bisogna vedere il piano industriale. Le prime anticipazioni non sembrano far trasparire rischi occupazionali: l'Ad Giampiero Maioli ha dichiarato che vuole rafforzare la presenza della banca sul territorio, riportando alcuni servizi in Valtellina, lasciando così intendere che non ci saranno svuotamenti di competenze».

Il Creval, dopo aver fatto negli ultimi anni una riorganizzazione lacrime e sangue, soprattutto a spese dei piccoli risparmiatori, di fatto aveva abbandonato ungo' il territorio dove era nato e cresciuto. Un distacco accentuato quando nel suo capitale sono entrati fondi e investitori senza alani legame con la valle e giustamente desiderosi di mettere a profitto il loro investimento. La trasformazione in Spa non si è rivelata lungimirante...
«La crisi delle banche italiane e di molte popolari arriva da anni di trasformazione del mercato del credito e dall'ultima crisi economica. La trasformazione in Spa ha consentito in molti casi dei salvataggi che non sarebbero stati possibili diversamente. Nel caso eli Creval l'istituto ha visto arrivare capitali son intenzioni speculative ed altri con approcci di investimento: sono le due facce dall'essere diventata una Spa e questo ci deve far riflettere su come entrare in nuovo mercato, conciliando gli aspetti industriali con quelli territoriali. I fondi, è risaputo, hanno spesso intenti più speculativi di breve e medio periodo, guardano prevalentemente ai dati di bilancio, mentre l'attenzione al territorio non è certamente una delle loro priorità».

Una banca valtellinese, molto radicata in Lombardia e con una presenza multiregionale nelle mani di un grande gruppo straniero è un vantaggio o una jattura?
«A questo punto poco importa se il controllo finisce nelle mani di una banca italiana o straniera, importa molto di più la serietà del piano industriale che verrà fatto, magari con l'aggiunta di una governance locale».

Nessuno - o quasi - in Valtellina, in Lombardia e in Italia si è scandalizzato perché un gioiello italiano a breve finirà nelle mani francesi. Perché?
«Non è questo il momento di dolersene, dovevamo pensarci prima. Personalmente avevo fatto tifo per la fusione tra Creval e Popolare Sondrio in modo da creare un gruppo creditizio più forte, solido, con la testa e la governance valtellinese, mantenendo tutte le competenze nella nostra provincia. Ero ovviamente consapevole che l'Antitrust avrebbe poi obbligato il nuovo soggetto a cedere qualche decina di sportelli in provincia di Sondrio, ma poteva essere la soluzione migliore per il nostro territorio».

I francesi quando devono fare shopping in Italia sono bravi e capaci di concludere positivamente le operazioni. Quando noi andiamo all'estero - Francia in particolare - troviamo molte difficoltà. Perché?
«Anche molti gruppi italiani hanno fatto importanti acquisizioni all'estero, poi, è vero, quando coinvolgono la Francia, soprattutto se riguardano aziende strategiche, assistiamo a posizioni molto più interventiste da parte del Governo francese rispetto a quello italiano. Ed è frutto di una storia, una politica e una Pubblica amministrazione francese che svolge un nolo più forte e determinante nell'economia. Oggi, però, i confronti dialettici mi sembrano più paritetici rispetto al passato, anche con i transalpini».

Chi resiste, chi difende con forza la propria autonomia, invece, è la Popolare di Sondrio, che inizialmente si era opposta alla trasformazione m Spa. Scelta lungimirante?
«La scelta di resistere a questa trasformazione è sotto gli occhi di tutti; penso che abbiano impiegato questo tempo ad attrezzarsi sul mercato per fare fronte con le opportune alleanze alla stagione delle fusioni che si sta riaprendo in modo da restare autonomi in un mercato diverso e molto più competitivo così da diventare ima preda meno facile all'interno di questo risiko bancario che proseguirà anche nei prossimi mesi».

Seppure con qualche anno di ritardo, anche la Popolare Sondrio seguirà la strada del Creval? Come avverrà la trasformazione in Spa, fondi e investitori istituzionali rafforzeranno al loro presenza e anche Bps alla prima occasione verrà acquisita da qualche grande gruppo nazionale o internazionale? 

«Il destino delle banche di territorio è mutato da quando è cambiato il mercato del credito, non solo per la trasformazione in Spa, ma anche per l'effetto delle nuove regole europee che stanno trovando un passaggio finale anche con la riforma del MES. Per il Creval la Spa è stata addirittura salutare: senza quei capitali la banca non avrebbe potuto attuare il suo piano industriale all'indomani di un sostanziale azzeramento del titolo con tutte le conseguenze nefaste del caso La Spa non è di per sé uria risposta negativa, il problema sta nei contenuti, nel piano industriale, nell'attenzione al territorio e nella rinnovata capacità di stare sul mercato. La Popolare gode da sempre di grandi apprezzamenti, specie per la cultura del servizio accurato a cui sono dediti i suoi dipendenti: saprà far valere le proprie peculiarità».

Ci sarà ancora spazio per le banche cooperative e mutualistiche?
«La presenza delle banche popolari negli ultimi anni si è notevolmente ridimensionata anche perché hanno commesso qualche errore. Ero membro della commissione d'inchiesta sulle banche nella scorsa legislatura e purtroppo ne ho avuto una diretta e dolorosa testimonianza in quella sede. Resta però un forte radicamento delle Banche di credito cooperativo che hanno dato vita a due gruppi dalle dimensioni nazionali. E sono convinto che le Bcc e le popolari potranno giocare un ruolo da protagonista anche nel futuro, sia nel credito tradizionale che nella sfida del fintech, se sapranno fare bene la banca finanziando le aziende di qualità, le società del terzo settore, le imprese innvative che operano nel green e nel sociale».