L'intervento di Matteo Renzi in Aula del 16 giugno 2022
Signor Presidente, signora Ministra della giustizia, noi non voteremo la sua riforma.
Una riforma della giustizia e dell'ordinamento giudiziario serve, ma la sua riforma serve meno di quello che noi speravamo. Non tocca il potere delle correnti; non tocca la responsabilità dei magistrati, per cui chi sbaglia spesso non paga; soprattutto - me lo lasci dire per la stima che come, lei sa, nutro nei suoi confronti - lascia un po' di amaro in bocca per la modalità con cui è arrivata al traguardo.
Colleghi, la separazione dei poteri, cardine della democrazia liberale, si fa non soltanto con il potere politico che rispetta i limiti del potere giudiziario (sacrosanto), ma anche evitando che il potere giudiziario definisca le regole e le norme attraverso un'incredibile e massiccia presenza di magistrati negli uffici tecnici dei Ministeri che fanno e disfanno le leggi.
Questa non è responsabilità della ministra Cartabia, perché è una cosa che ci portiamo dietro da anni, ma questa riforma non cambia assolutamente niente in tale ambito.
Allora votate contro? No, ci asteniamo perché la riforma non fa danni, a differenza di altre scelte del passato (è una riforma più inutile, che dannosa), e anche perché siamo consapevoli che l'avvento dell'autorevole ministra Cartabia ha portato il Governo un passo in avanti nella gestione della giustizia rispetto agli ultimi anni.
Signor Presidente, non posso dimenticare che per tre anni il ministro della giustizia ha sostenuto - cito testualmente - che gli innocenti non vanno in carcere. È bene ricordare all'ex ministro Bonafede che negli ultimi trent'anni ogni giorno tre innocenti sono finiti in carcere. Il sito www.errorigiudiziari.com svolge un servizio pubblico di straordinaria efficacia su questo.
Inoltre, non è vero che non paga nessuno. Non pagano i magistrati che sbagliano ma - diciamolo qui, perché i cittadini lo sanno visto che ci sono passati - paga lo Stato. Ogni anno, più o meno, paghiamo tra i 25 e i 30 milioni di euro di danni, che non risarciscono il dolore di chi viene messo in carcere ingiustamente, ma che vengono pagati con le tasse del contribuente. Il magistrato non paga, il contribuente sì.
Questo non è stato colto da quel Ministro, che allora diceva che gli innocenti non vanno in carcere, che diceva cose ancora peggiori sul rapporto tra garantismo e giustizialismo e faceva cose ancora peggiori sul Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP). Il punto fondamentale è che questa riforma non fa danno, ma non è quel passo in avanti che serviva. Davvero pensiamo che la giustizia sia il problema principale del Paese? La risposta è evidente: apriamo i giornali di questa mattina e tutti noi abbiamo il cuore a Kiev, anzi in quel treno, in cui il nostro Presidente del Consiglio, a cui va un ringraziamento sentito e sincero, assieme al presidente francese Macron e al cancelliere tedesco Scholz, ha dato un'immagine iconica fantastica di come l'Europa, finalmente, dopo quattro mesi, accanto alla necessaria partecipazione con i nostri fratelli ucraini, sceglie la strada anche della diplomazia, non lasciandola totalmente nelle mani dei turchi, degli israeliani o dei cinesi.
È chiaro che le preoccupazioni dei cittadini sono innanzitutto per l'inflazione e il costo della vita: non è la giustizia il problema considerato numero uno. Tuttavia la giustizia è un dramma, non per i politici che vi incorrono, come una narrazione monocorde, stanca e noiosa continua a far passare, ma per quel cittadino a cui viene sottratta la possibilità di vivere, nel caso in cui incappi in un procedimento da innocente e non riesca a provarlo, se non dopo tanti anni. Questo racconto costante, per cui la politica vuole fermare la magistratura, intanto si scontra con un dato di fatto. Ci sono straordinari magistrati, bravissimi, a cui va la nostra gratitudine, ma tale racconto si scontra con una considerazione che nessuno ha il coraggio di fare in questa Assemblea, ovvero che negli ultimi trenta anni, gli anni del «clima infame», per utilizzare una citazione significativa, non c'è stata una parola di verità sui due magistrati simbolo del nostro Paese. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino meritano ovviamente la riconoscenza e la stima di tutti noi e la gratitudine eterna del Paese Italia, ma non sono stati premiati nemmeno dopo la loro morte da un racconto vero su quello che è successo. Non è stata la politica a bloccare Giovanni Falcone. Il Ministro di grazia e giustizia Martinazzoli ha costruito l'aula bunker per il processo alla mafia. Il Ministro di grazia e giustizia Claudio Martelli, ne voglio dare pubblicamente atto in questa sede, salvò Falcone, portandolo a Roma a lavorare. Erano parti della magistratura e del CSM che dicevano che Falcone non aveva l'autorevolezza e l'indipendenza per guidare la lotta alla mafia, era quella parte politica della magistratura, alcune correnti, che oggi dovrebbero fare mea culpa. Raccontare, a tratti in modo vergognoso, che è stata la politica a bloccare i magistrati e che c'è stata la trattativa Stato mafia è servito, in questi trenta anni, a dare l'immagine dei politici come brutti e cattivi e di quella parte "correntizzata" della magistratura come la parte dei buoni. Abbiamo il coraggio di dirlo, o no?
Signora Ministro, quando delle espressioni di correnti organizzate parlano di cordone sanitario contro avversari politici, indipendentemente dalla discussione sui reati, lo fanno per scelte che i politici compiono ed è una cosa ancora più grave. Se infatti perseguono un reato, fanno il loro mestiere, ma se dicono che ci vuole un cordone sanitario contro un avversario politico, dentro la rivista di una corrente della magistratura, il silenzio delle istituzioni è grave. Signora Ministro, aver lasciato passare il messaggio che la vicenda Palamara si possa chiudere con un capro espiatorio è la negazione della giustizia. La giustizia si fa quando si dice la verità, non quando si trova un buon capro espiatorio, che paga per tutti. Quelle modalità con cui il CSM ha agito e con cui il dottor Palamara ha agito sono le stesse con cui si continua ad agire e si è agito per decenni, in un rapporto costante tra politica e magistratura. In questo Parlamento, se vogliamo, facciamo i nomi di chi ha partecipato agli incontri con i magistrati. Non ci possiamo continuare a prendere in giro su questi temi.
C'è un dato di fatto, signora Ministro: quando una procura della Repubblica ignora l'allarme di un carabiniere, che scrive che un genitore sta per ammazzare la moglie o il figlio e quella stessa procura della Repubblica si preoccupa di arresti molto più visibili, mediatici e show, ignorando che un carabiniere, cioè un pezzo dello Stato, scrive di arrestare una persona perché potrebbe fare male al figlio e quel figlio viene ucciso, la reazione non può essere semplicemente l'invio degli ispettori in quella procura.
C'è bisogno che qualcuno paghi per questo.
Quando, di fronte allo scandalo MPS, c'è un dirigente che cade dal quarto piano e le indagini vengono fatte in modo vergognoso o superficiale, il fatto che nessuno dica una parola da parte delle istituzioni su chi ha sbagliato non riuscirà mai, certo, a lenire il dolore di quella famiglia, ma è una questione di etica.
Il fatto che in questo momento storico, signora Ministra, ci siano magistrati che molestano sessualmente le colleghe e che, dopo tante discussioni in quest'Aula e fuori, vengono giudicati responsabili di quella molestia sessuale e pertanto sanzionati dal CSM con la perdita di due mesi di anzianità, è una vergogna, perché se c'è la molestia sessuale si colpisce, altrimenti è inutile fare le campagne sul numero antiviolenza 1522. Dove sono le istituzioni a dire che quei magistrati stanno sbagliando?
Rispettare i magistrati che stanno bene il loro lavoro è il presupposto, ma c'è bisogno di punire chi sbaglia.
Signor Presidente, è chiaro che questi non sono gli unici temi di discussione politica in questa fase; c'è un tema più ampio che riguarda la pavidità della politica, che si misura anche nel fatto che troppo spesso abbiamo utilizzato indagini tutte a scopo giustizialista.
È di ieri la vicenda su cui qualcuno dei 5 Stelle potrebbe avere il coraggio di chiedere scusa alla famiglia Boschi, ma non lo farà. Nel residuo tempo a vostra disposizione in Parlamento potreste trovare un minimo di coraggio per chiedere scusa; non lo farete, non è questo il punto. Il punto è che 7 milioni di italiani sono andati a votare al referendum e sono stati presi in giro perché 7 milioni di italiani sono una minoranza.
Ricordatevi che le battaglie sui diritti le fanno le minoranze, che poi diventano maggioranze; e quei 7 milioni di italiani saranno decisivi alla prossima campagna elettorale per avere una giustizia giusta e un Paese diverso. Buon lavoro!
Chi lo desidera può rivedere l'intervento completo a questo indirizzo o qui di seguito.