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Scusi Ministra, avrei una domanda. Le lettrici di Elle incontrano Elena Bonetti

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L'intervista pubblicata dal magazine "Elle", 6 marzo 2020.

Cosa voglio di più. Era il titolo della ponderosa indagine lanciata lo scorso 8 marzo da Elle per conoscere esigenze e aspettative delle italiane nei vari ambiti della loro vita. I dati di quella ricerca, durata 8 mesi, sono confluiti a novembre nella quarta edizione del forum di Elle Active, dove politici, sociologi, docenti universitari e altri ospiti sono stati invitati a commentarli.

Tra loro, la Ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti: una laurea in matematica, un passato da insegnante, due figli e un marito molto “paritario” che abitano a Mantova, un eloquio eccellente e una grande tenacia dentro un fisico minuto. Inutile dire che è stato colpo di fulmine. Trovare un’interlocutrice così attenta e preparata su temi tanto importanti per le donne ci è sembrata un’occasione da non farsi sfuggire. Per questo le abbiamo chiesto di tener aperto il dialogo con il giornale.

A distanza di un anno il cerchio si chiude: in vista della prossima giornata delle donne, la ministra ha accettato di incontrare noi e alcune delle lettrici di Elle che ogni settimana ci scrivono per raccontarci le loro storie. La famosa distanza tra paese reale e istituzioni si è accorciata nella biblioteca Chigiana, dentro il palazzo del governo, dove la ministra ci ha dato appuntamento. Siamo in dieci ad aspettarla. Elena Bonetti arriva puntualissima: abbiamo un’ora e mezza del suo tempo prezioso.

La direttrice Maria Elena Viola rompe il ghiaccio sul tema più caldo: il tasso di natalità è sceso al minimo storico, le donne lavorano troppo poco fuori casa e ancora troppo tra le mura domestiche. Tutto ricade sulle loro spalle. Partiamo da qui: non ci può essere parità senza il coinvolgimento degli uomini.
Ministra Bonetti: È uno dei punti cardine del Family Act, la prima legge delega italiana sulle politiche familiari, che tra breve giungerà al Consiglio dei ministri. Un provvedimento che vuole innanzitutto dare una risposta all’emergenza denatalità. Siamo arrivati ai livelli demografici del 1918, cioè il periodo del primo conflitto mondiale. E la ragione non è che le potenziali mamme sono troppo impegnate a fare carriera: nel nostro Paese solo il 50% delle donne in età lavorativa ha un impiego, al Sud solo una su tre è occupata. A scoraggiare le coppie è il fatto che non riescono a proiettarsi in una dimensione di futuro, vivono in un eterno presente perché non hanno più fiducia nel domani e non se la sentono di rischiare. Compito delle istituzioni è restituire ai giovani la libertà di scegliere e il coraggio della speranza. Per fare questo non è sufficiente un sostegno economico, bisogna ridare dignità alle donne, che vanno messe nelle condizioni di non dover rinunciare al lavoro per avere figli, e creare una nuova alleanza tra mondo maschile e femminile. Per questo nel pacchetto sono previsti 10 giorni di congedo paternità obbligatorio, l'Unione Europea ce ne chiede 15, noi lo vorremmo estendere, risorse permettendo, a un mese. È il primo passo per vincere il pregiudizio secondo il quale la cura dei figli è un’attività di serie B e come tale va affidata alle donne e a pochi partner “eroici”. In questo senso è necessario anche un cambio di mentalità.

Emma Ciccarelli, consulente familiare: Sono mamma di 4 figli. Dopo la nascita del terzo sono stata licenziata e sono passata alla libera professione. So che è in programma un assegno universale per i figli dalla nascita all’età adulta: è previsto anche per le famiglie numerose? E per le coppie separate?
Ministra Bonetti: L’assegno universale è uno dei capitoli del Family Act, che è alla rifinitura finale. Si tratta di un contributo economico diretto mensile, avrà una parte fissa e un’altra variabile legata all’Isee, sostituirà gli attuali assegni familiari e le agevolazioni fiscali. Ma non può essere l’unico strumento di sostegno alle famiglie. Avere figli non è solo un fatto privato, ma un valore per tutta la società, con ripercussioni sul pil, le risorse previdenziali, tutto. Il contributo economico per ciascun figlio non va visto come un sussidio, ma come un investimento, una sorta di restituzione del contributo sociale ed economico che le famiglie mettono in campo. Vale per tutti i figli. Il nostro obiettivo è il benessere del bambino, e questo principio non può essere relativizzato sulla base del contesto familiare o del reddito, o del fatto che si viva in un paese da una o più generazioni. Oltre all’assegno universale c’è un capitolo sull’educazione, che riconosce alle famiglie un contributo per le spese educative fin dall’asilo nido, e che comprende anche baby sitter, campus estivi, corsi sportivi o musicali. Queste sono tutte spese che torneranno alla società, perché servono a formare i cittadini di domani.

Ivana Lazzarini, mediatrice familiare: Sono scout e mamma adottiva. Nel nostro Paese l’adozione nazionale è considerata un’impresa impossibile, l’internazionale un percorso lungo e costoso, dell’affido si sa poco. Come si può far crescere la cultura delle adozioni e dell’affido?
Ministra Bonetti: Può aiutare moltissimo costruire una cultura dei diritti delle bambine e dei bambini che metta al centro, prima di tutto, il loro benessere in ogni campo. Sul tema della burocrazia, le famiglie devono essere messe nelle condizioni di avere servizi più efficienti e un’informazione migliore. Su questo mi sto già impegnando a lavorare.

Martina Bacigalupi, fundraiser: Il mio lavoro mi garantisce uno stipendio fisso, quello di mio marito, freelance, è variabile. Nel 2015 mio figlio si ammala, prendo due anni in aspettativa: grazie al mio contratto, sono coperta. Ora il pupo sta bene. La mia storia racconta che il lavoro delle donne non è accessorio ma prioritario per la famiglia. Cosa prevede il Family Act per l’occupazione femminile?
Ministra Bonetti: Nella nostra società ci è stato consegnato un modello che non è più in linea con i tempi attuali. Il lavoro femminile non è un “di più”, ma un contributo fondamentale per la crescita del Paese. E ignorarlo è autolesionistico. Sappiamo che le ragazze oggi hanno un’altissima formazione, si laureano più e meglio dei ragazzi, eppure i dati ci dicono che a un anno dalla laurea si ribalta la prospettiva. È come se noi allenassimo una squadra di serie A per poi mandare in campo quella di serie B o metà e metà. Non si vince la partita così. Nel Family Act c’è un capitolo che prevede diverse soluzioni per la conciliazione tra famiglia e lavoro: tutele per chi ha figli fragili, una indennità che incoraggi le donne a tornare al lavoro dopo la maternità – sono tante quelle che abbandonano perché non hanno aiuti o impiegano buona parte dello stipendio, già basso, per pagare la baby-sitter – un sostegno all’imprenditoria femminile e sgravi fiscali per le aziende che riorganizzano il lavoro creando flessibilità e smartworking. Sono spese non solo di welfare, ma di investimento per le imprese e la collettività.

Maria Giuseppina Cimino, responsabile risorse umane: A parte il Laos, nessun Paese al mondo ha raggiunto l'uguaglianza di genere, dal report del World Economic Forum sappiamo che gli uomini guadagneranno più delle donne ancora per 202 anni. Come possiamo intervenire?
Ministra Bonetti: Soprattutto nel settore privato il divario è importante. Come fare dal punto di vista normativo a sanare questa situazione? Ci vuole un intervento non punitivo, ma incentivante, proattivo. Va in questa direzione il primo Piano nazionale strategico per la parità di genere che sia mai stato fatto nel nostro Paese e su cui stiamo lavorando: sarà pronto a fine anno e tra le misure essenziali prevede il gender mainstreaming e il bilancio di genere, ovvero strumenti che, nel pubblico e nel privato, certifichino l’impatto sul divario di genere: quanto ne produce, come si sana e come valorizzare le donne. Questo percorso darebbe alle aziende un indice di qualità che potrebbe riconoscere vantaggi fiscali. Di pari passo, in Parlamento ci sono già alcuni disegni di legge che vogliono obbligare le aziende con più di 100 dipendenti a rendere note posizioni e stipendi. La parità salariale è uno dei passaggi imprescindibili dell’empowerment femminile. Non solo, l’autonomia lavorativa e finanziaria è la base per non incorrere nella violenza economica che spesso colpisce le donne e che toglie loro lo spazio per ricostruirsi una vita indipendente, salvandosi da relazioni tossiche.

Francesca Innocenti, operatrice antiviolenza: Da più di 10 anni sono al fianco di donne che vivono situazioni di violenza domestica nelle case rifugio di Latina. Dopo la prima fase, vanno accompagnate verso la piena autonomia economica. Sono previsti fondi per questi percorsi?
Ministra Bonetti: Per chi è vittima di violenza, fisica, sessuale, psicologica, economica, è essenziale sentirsi parte di una comunità che ti accoglie e sia in grado di ridarti dignità restituendoti un’immagine positiva di te stessa. Per riuscirci è fondamentale non dipendere più dagli altri, essere nelle condizioni di affittare una casa per sé e per i propri figli. In questa direzione abbiamo sbloccato 30 milioni di euro dati alle Regioni e stanziato un miliardo che, sommato a un altro già esistente, crea un fondo di garanzia per un “Microcredito di libertà” da assegnare alle donne attraverso la rete dei centri antiviolenza. È un progetto di contrasto alla violenza economica che ho annunciato a novembre e da allora abbiamo lavorato senza sosta per stendere la prima bozza. A breve ne sentirete parlare. Non dimentichiamo poi che nel nostro Paese c’è tutta una rete di Case rifugio, che aiutano le donne maltrattate o abusate ad allacciare delle relazioni e non sentirsi più sole. È nella solitudine che si instaura quella mancanza di fiducia che impedisce alle donne di uscire da situazioni potenzialmente a rischio.

Barbara Leda Kennedy, coordinatrice di Ingenere.it: Mi sono sempre occupata delle politiche di parità ma le ho veramente capite solo diventando mamma quando un evento inatteso è piombato nella mia vita: mia suocera. Per l’ispettorato del lavoro, la prima motivazione di chi lascia l'impiego, uomini e donne, con un bambino sotto i 3 anni è l’assenza di "parenti di supporto", ovvero i nonni flessibili. Possiamo pensare a servizi per l’infanzia più elastici, aperti presto e tardi, anche d’estate?
Ministra Bonetti: L’educazione dei bambini, ma anche degli adolescenti, non deve essere più vissuta come una questione privata, che va gestita a seconda delle proprie possibilità. Le famiglie devono essere messe nelle condizioni di potere avere accesso a percorsi educativi di cui si fa carico la comunità. Nell’ultima legge di bilancio già approvata abbiamo previsto 2 miliardi e mezzo per costruire nuovi asili nido, riqualificare le scuole d’infanzia e creare centri polifunzionali che offrano servizi ad orari flessibili. Riorganizzare per esempio le scuole sui tempi di vita attuali è indispensabile, di fatto questa rete c’è già, penso ai centri estivi, ma è pagata dai singoli, invece anche l’educazione non scolastica è ricchezza collettiva e va sostenuta dal pubblico. A questo proposito il Dipartimento per la Famiglia sta scrivendo un bando, che si chiama Educhiamo, con lo stanziamento di 30 milioni per progetti di educazione e presto sarà accessibile sul sito il link con le informazioni per partecipare.

Monica Pasquino, docente: Dopo un percorso di gender studies a Stanford, da 10 anni faccio parte di una start up universitaria che lavora nelle scuole sulle matrici culturali che generano violenza di genere. Quali politiche intende attuare nel Piano strategico nazionale per il contrasto alla violenza contro le donne per promuovere percorsi educativi nelle scuole?
Ministra Bonetti: La scuola è uno dei luoghi fondamentali per creare condizioni di reciprocità tra donne e uomini, di riconoscimento, di relazioni positive che promuovano la valorizzazione più profonda della donna. I percorsi educativi sono tanti ed è necessario che tutti vi siano ammessi, senza pregiudizi e stereotipi. Ai bambini e alle bambine bisogna permettere di pensarsi capaci di dare un contributo in qualsiasi contesto, perché non esistono materie per maschi e per femmine, ma ognuno dei due interpreta i saperi in modo differente. Sono una matematica che vive la sua materia in una dimensione femminile ed essa è per me un luogo abitato dall’intelligenza e dalla passione da cui nessuna bambina deve essere esclusa. Penso per esempio alle materie Stem, a cui è importante che le ragazze si avvicinino perché sia gli uomini che le donne sono chiamati a contribuire al progresso scientifico e alla costruzione del nostro futuro.

Silvana Agatone, ginecologa: Sono preoccupata dal numero crescente di obiettori di coscienza che rifiutano di praticare aborti: cosa fare?
Ministra Bonetti: Credo che la libertà di ciascuno non sia mai slegata dall’esercizio di una responsabilità collettiva. La libertà di accedere all’interruzione di gravidanza è personale ma la scelta non dovrebbe mai essere fatta nella solitudine, perché è nella solitudine che si attuano tragedie personali non più superabili. La legge prevede che per una donna ci sia un medico con cui costruire un percorso di consapevolezza e di libertà di scelta, e questo deve essere garantito. Ma serve anche una comunità, una rete sociale, che accompagni la donna e le permetta di scegliere non sentendosi sola. Non si tratta di cambiare la normativa, ma di costruire relazioni. Oggi spesso la decisione avviene in tempi molti rapidi, dove non hai tempo di chiedere, ad esempio, oltre agli elementi medici, che cosa vuol dire diventare madre di un bambino con una certa patologia, puoi solo spaventarti. Ecco, vorrei che questo non succedesse più.

Alessandra Di Pietro, giornalista: Che cos'ha in programma per l’8 marzo?
Ministra Bonetti: Quest’anno vogliamo raccontare e mettere in luce i volti delle donne che per prime nel Paese hanno aperto una strada nella storia. Lo facciamo con progetti che prendono avvio proprio l’8 marzo e con una campagna istituzionale, che abbiamo chiamato “la prima donna”. Ogni giorno nel nostro Paese ci sono donne che aprono una strada e liberano nuove possibilità, sono volti noti e altri nascosti. Vogliamo ringraziarle e incoraggiarle, perché la prossima “prima donna” possa essere ogni donna, ogni ragazza, ogni bambina.