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Scalfarotto: “Troppo silenzio sulle mafie pugliesi”

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Intervista di Roberto Calpita, Gazzetta del Mezzogiorno, 13 giugno 2021.

Sottosegretario all’Interno Ivan Scalfarotto, per «vivacità» delle mafie e infiltrazioni criminali nelle istituzioni, esiste un «caso Puglia»? 
«Le parole vanno dette: sì, la mafia esiste anche in Puglia ed è una bestia maligna che purtroppo si annida da noi anche in forme particolarmente sanguinarie e virulente, come per esempio nella provincia di Foggia. Un fenomeno, quello delle nostre mafie, di cui non si parla abbastanza e che attecchisce anche grazie al silenzio che le ha circondate. Dobbiamo avere chiaro che oltre a tutti gli sforzi che lo Stato mette in campo, a partire da donne e uomini di assoluto valore che vengono dispiegati sui nostri territori, c’è bisogno di affermare una cultura alternativa: quella operosa e civica dei pugliesi che devono riprendersi gli spazi civili e democratici che le mafie tendono a occupare come una metastasi. Dobbiamo poi puntare sullo sviluppo, sulla creazione della ricchezza. La politica deve incoraggiare e investire sulla creatività e l’intraprendenza di cui questa regione è ricchissima e non puntare soltanto a distribuire prebende e posti pubblici, che spesso creano quel meccanismo vizioso di dipendenza per cui non è più l’elettore a controllare la politica, ma il contrario». 

Lei ha ricevuto, dalla ministra Lamorgese, la delega agli Enti locali. A Foggia, e non solo, il clima è incandescente. Che tipo di collaborazione auspica con le Istituzioni locali? 
«Aver ricevuto questa delega è un grande onore e una responsabilità di cui sento tutto il peso. È un’importante occasione per dare inizio a un lavoro di squadra con le istituzioni e le comunità presenti sul nostro territorio. Il primo presupposto per avviare questa collaborazione è indubbiamente una costante comunicazione. Gli amministratori locali devono avere la percezione che lo Stato li "ascolti" e non li abbandoni, devono essere messi in condizione di esercitare il delicatissimo e fondamentale ruolo che svolgono come primo punto di contatto tra i cittadini e le istituzioni. Poi anche qui, e penso alla città di Foggia in particolare, è necessario che le migliori energie della città tornino a occupare spazi di democrazia che a me sembra da qualche tempo abbiano, per delusione e scoramento, abbandonato. Ho voluto tornare a Foggia anche per dare un messaggio di sostegno a quella città piena di talento e di capacità nella quale sono cresciuto e mi sono formato». 

Accanto alla quarta mafia e alla Sacra Corona Unita, tra le più pericolose d’Italia ora c’è l’allarme per la criminalità della Bat lanciato dal procuratore di Trani, Renato Nitti, e per le infiltrazioni nell’agricoltura. Ritiene che ci sia stata una sottovalutazione di carattere generale da parte degli apparati centrali dello Stato? 
«Per carità: lo Stato non sottovaluta e non ha mai sottovalutato la criminalità organizzata e certamente non dimentica la Bat, una terra di mezzo che soffre la presenza di una criminalità che a volte somma la forza negativa delle organizzazioni criminali che operano sia al nord che al sud della nuova provincia. La mia visita a Barletta aveva anche lo scopo di sottolineare questa attenzione e di ringraziare i servitori dello Stato che in queste terre lavorano con enorme abnegazione e straordinaria professionalità. Tra pochi giorni ci sarà l’inaugurazione della Questura ad Andria, alla presenza di altissime cariche istituzionali, a sostenere lo sforzo su questo importantissimo territorio». 

Tema Recovery. Quanti fondi andranno alla sicurezza e alla lotta alla criminalità? 
«Saranno investiti 300 milioni nella valorizzazione dei beni confiscati alle mafie. A questo proposito come Italia Viva abbiamo presentato anche un emendamento in Senato, che stanzia altri 350 milioni sulla missione. Ma il Recovery è soprattutto una grande occasione per creare una vera e propria ripresa nel Mezzogiorno: infrastrutture, investimenti, posti di lavoro. Offrire un’alternativa di legalità ai cittadini, soprattutto ai giovani, è la migliore forma di lotta alla criminalità organizzata. Bisogna sfatare l’idea che il modello economico della criminalità, che gode della totale assenza di regole, sia più conveniente ed efficace. È una menzogna assoluta che va combattuta affermando l’economia sana, quella crea valore e coesione sociale». 

Sempre sul Recovery. Il rischio che la mafia possa mettere le mani su questa montagna di soldi è reale e concreto. Come ci si sta attrezzando per impedirlo? 
«La Ministra Lamorgese ha più volte sottolineato questo rischio e ha affermato la necessità di tenere altissima l’attenzione. Per questo ha voluto istituire al Viminale un organismo permanente di monitoraggio e analisi sul rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso: un struttura interforze, costituita presso la direzione centrale della Polizia criminale del dipartimento della Pubblica Sicurezza, con lo scopo di intercettare ogni possibile iniziativa, da parte della criminalità organizzata, di espansione, alterazione del mercato o inquinamento del tessuto economico e condizionamento dei processi decisionali pubblici funzionali all’assegnazione degli appalti. Sono state inoltre concluse intese con Sace-simest, Cassa Depositi e Prestiti e Agenzia delle Entrate per il monitoraggio concreto dei flussi finanziari al fine di monitorare flussi e dati finanziari». 

Da più parti d`Italia arrivano le denunce su bande di giovani estremamente violente. Scuola a distanza e troppi social: ci si lecca le ferite del lockdown con spaccio, rapine e risse. Che ne pensa di questo fenomeno che soprattutto al Sud può essere l’anticamera del reclutamento da parte delle organizzazioni criminali? 
«Purtroppo il lockdown, con la chiusura delle scuole e più in generale con la privazione della socialità che è stata inflitta ai ragazzi, ha avuto un terribile impatto sulle nuove generazioni. La Puglia, tra l’altro, è stata la Regione in cui i giovani sono stati privati della scuola per più tempo: un primato di cui non andare orgogliosi, considerato anche il grave problema del tasso di abbandono scolastico che affligge il Sud. In ogni caso le forze dell’ordine hanno fatto un lavoro enorme e di grandissimo valore durante il lockdown, esercitando controlli tanto efficaci quanto discreti, e hanno gestito con la consueta professionalità anche i casi di risse e scontri tra bande giovanili».

Lei è stato molto colpito dal caso Saman, la giovane donna pakistana che sarebbe stata uccisa dalla famiglia perché troppo "occidentale". Ritiene che per l’integrazione si faccia poco? 
«La storia di Saman mi ha colpito nel profondo. Dobbiamo essere chiari, senza lasciare spazio ad ambiguità: l’Italia deve essere un Paese accogliente, dove sia possibile immigrare legalmente e integrarsi, ma integrarsi non significa solo lavorare e pagare le tasse. Ci sono valori, come la parità tra donne e uomini e l’autodeterminazione delle persone, che sono principi che tutti gli italiani, di qualsiasi origine, devono rispettare inderogabilmente. Dopodiché credo che sull’integrazione si possa fare di più: si parla spesso dello "ius culturae" come di una questione legata all’immigrazione e ci dimentichiamo che invece ha a che fare con ragazzi che non sono immigrati in Italia: sono nati e si sono formati qui» 

Alcune questure denunciano anche un rischio radicalizzazione avvenuto proprio durante il lockdown e che non riguarderebbe esclusivamente ragazzi di origini straniere. Poco meno di un anno fa a Milano è stato arrestato un pugliese per aver diffuso attraverso i social la propaganda dello Stato islamico. Il fenomeno esiste? 
«Il fenomeno è reale. Nessuna sottovalutazione: il nostro Paese ha dimostrato di avere una rete efficacemente concentrata sulla lotta all’estremismo islamico e si è dotato di un complesso di leggi di elevato standard in tema di contrasto al terrorismo. Non dimentichiamo infatti che, a differenza di altri Paesi, abbiamo vissuto durante gli anni di piombo la stagione del terrorismo di matrice politica e, poi, la stagione delle stragi di mafia. Questi difficili trascorsi hanno fatto dei nostri investigatori, delle nostre forze dell’ordine e della nostra intelligence dei campioni riconosciuti come tali a livello internazionale. Accanto a ciò, esiste un meccanismo di cooperazione multilaterale contro il terrorismo, sia all’interno dell’Unione europea, sia con le Nazioni Unite che funziona e sul quale lavoriamo con grande impegno».