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Scalfarotto: "Gli spari dal balcone segno della decadenza foggiana"

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L'intervista pubblicata da "L'edicola del Sud", 15 gennaio 2022.

Ivan Scalfarotto, 56 anni, sottosegretario all'Interno, ha trascorso tutta la sua infanzia e adolescenza a Foggia, prima di trasferirsi per lavoro a Milano e intraprendere una carriera che lo ha portato a lavorare come direttore delle risorse umane in grandi gruppi privati, soggiornando a Londra e a Mosca. Alla politica è arrivato attraverso il suo impegno per i diritti civili, in particolare contro la discriminazione delle persone Lgbt (è sposato dal 2017 con Federico). Par-lamentare dal 2013, è stato sottosegretario con i governi Renzi, Gentiloni e Conte II.

Onorevole Scalfarotto, Tano Grasso ha parlato di una sorda resistenza di Foggia agli interventi contro la criminalità, specialmente riguardo allo scioglimento del Consiglio Comunale. Lei crede sia vero? E da cosa dipende?
«Una premessa necessaria: per me, Foggia è un luogo del cuore. È stata la città della mia formazione, dei primi passi del mio impegno, delle mie durevoli amicizie. Guardo a lei con affetto e con una inevitabile nostalgia Quando ne ascolto o ne verifico le attuali condizioni ne soffro molto. Né credo sia solo questione del "profumo del ricordo che cambia in meglio", come dice Guccini».

Perché? Com'era la Foggia dei suoi ricordi?
«Era una città sicura, per cominciare. Un posto dove potevi uscire la sera senza timore di essere aggredito o rapinato, dove il commercio era fiorente, in cui il quartiere Ferrovia era il rione della buona borghesia, e il viale della Stazione, salotto buono della città, completava con piazza Giordano e corso Vittorio Emanuele l'itinerario di quella piccola reminiscenza paesana che era lo struscio. Non una città senza problemi, tutt'altro; ma c'era voglia, c'era impegno».

Impegno culturale o anche politico?
«Molto spesso le due cose coincidevano. Penso a Carlo Gentile o Peppino Normanno, o Gerardo De Caro e suo figlio Paolo. Persone profondamente vocate all'impegno sociale, civico, politico. Dentro una vita pubblica che allineava persone di grande spessore e qualificazione. Ricordo consigli comunali in cui sedevano quattro o cinque parlamentari. Essere passati da questo a chi sparacchiava sulla terrazza dice cosa è successo. La vita pubblica si è ristretta e immiserita, ha messo ai margini le energie migliori, e queste persone si sono in qualche modo ritratte, chiuse nell'isolamento o in piccole isole di anime salve. Siccome la Natura ha in orrore il vuoto, lo spazio lasciato da queste persone è stato occupato da altri. E da altro».

Dalla criminalità?
«Anche. Il difetto di partecipazione, la diserzione della politica, l'autoesilio dei migliori, creano indirettamente le condizioni perché si inserisca la feroce determinazione della criminalità organizzata. La mia idea è che in questo territorio sia successo. Non stupisce che la cura desti reazioni e ostilità superiori a quelle che aveva provocato la malattia perché chi si è ritratto la vive come un monito e un rimorso; chi invece puntava a spolpare la comunità si ritrova ostacolato nei suoi propositi».

Ma c'è stata anche sottovalutazione da parte dello Stato. È d'accordo?
«Sì, ma anche questo va contestualizzato. L'atroce assassinio dei fratelli Luciani, nel 2017, ha rappresentato una svolta. Ma lo Stato ha scelto per la Capitanata le sue donne e i suoi uomini migliori, con ottimi prefetti e ottimi questori. Fu uno di loro, Piernicola Silvis, a sottolinearmi la scarsissima risonanza che le vicende foggiane avevano presso l'opinione pubblica nazionale. Ricordo un tentativo di rapina condotto con modalità militari, addirittura bloccando gli accessi alle città, che non ricevette alcuna attenzione dai media Quelle zone d'ombra, quei silenzi erano obiettivi alleati della criminalità. Affrontai l'argomento con il capo di Gabinetto dell'allora titolare del Viminale, Angelino Alfano. Fu con quell'ottima funzionaria, che si chiamava Luciana Lamorgese, che concordammo un'urgente visita del ministro a Foggia».

Quelle zone d'ombra sono più illuminate? Quei silenzi si sono diradati?
«Si sono fatti dei passi avanti. Penso ai bei libri scritti da magistrati, o da giornalisti come Foschini. Ma il contrasto ai poteri criminali e all'aggressività delle mafie passa per una sfida ineludibile».

Quale?
«Il ritorno della politica a se stessa. Finché è solo carriera, finché si usa il potere per ottenere consenso anziché il consenso per ottenere il potere, finché è la confusa nebulosa in cui tutto è uguale e indifferente, non contano più le idee o la collocazione e destra e sinistra sono intercambiabili la vita pubblica non avrà alcuna attrattiva per quelli che somigliano al ragazzo appassionato che ero io quaranta anni fa. E senza queste persone non riusciremo a ritrovare una visione. Una comunità senza visione è facile preda dei peggiori».