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Scalfarotto: "Non promesse ma risultati, è il metodo Draghi ed è il nostro"

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Estratto dell'intervista di Umberto De Giovannangeli, "Il Riformista",  10 Settembre 2022.

Essere di "centro" non significa essere "moderato" nei toni e nei contenuti. Lo dimostra Ivan Scalfarotto, sottosegretario agli Interni, figura di primo piano di Italia Viva. Scalfarotto è candidato al Senato nel collegio proporzionale del Piemonte 2 per la lista Azione e Italia Viva.

Il 25 settembre si avvicina e i sondaggi danno sempre la coalizione di destracentro in netto vantaggio sugli altri campi. Non crede che presentarsi divisi sia stato un regalo fatto a Meloni e Salvini? 

In realtà divisi dalla sinistra. Il Pd ha indicato, cosa che la sinistra fa da sempre, il pericolo democratico, il voto contro qualcuno invece che per qualcosa. Unica ragione di voto al Pd è di essere contro qualcun altro. Si tratta di una strategia sempre perdente, fin dai tempi di Berlusconi. L'unica volta in cui il Partito democratico ha avuto delle proposte, ha preso il 41% dei voti. Dopo di che, nonostante questo fosse il presupposto di Letta, lo stesso Letta ha da subito detto che lui non avrebbe voluto Italia Viva nella sua coalizione, perché, apro e chiudo virgolette, "Renzi ci fa perdere più voti di quelli che ci fa guadagnare". Questo è stato una sorta di messaggio diretto. La stessa cosa hanno fatto escludendo il Movimento 5 Stelle.Se davvero la strategia di Letta fosse stata quella di costruire un "fronte repubblicano", tutti insieme per arginare le destre, l'avrebbe dovuta gestire in ben altro modo. E invece ha parlato di "Agenda Draghi" ma non volendo noi e portandosi a casa Fratoianni che ha votato una marea di volte contro Draghi. La strategia del segretario Dem è stata ondivaga, zigzagante, poco comprensibile agli addetti ai lavori figuriamoci agli elettori.

Ma può esistere un' "Agenda Draghi" senza la scesa in campo del suo intestatario?

Bisogna anzitutto dire che c'è un metodo Draghi che prescinde dallo stesso Draghi. Il metodo Draghi è il metodo delle riforme fatte. Draghi è quello che dice nel giorno in cui si torna a chiedere la fiducia dopo che l'aveva persa sull'inceneritore, che quell'inceneritore va fatto. Dice che la legge sulla concorrenza va fatta. E lo stesso per quanto concerne la riforma del catasto. Draghi è quello che non si concentra sulla promessa e quindi sull'annuncio, ma punta dritto sulla realizzazione delle cose. E questo è il metodo di cui necessita in genere la politica italiana. E' come sui diritti civili. Il Pd non si cura di portare a casa le leggi ma si accontenta di proclamare un principio. Il ddl Zan non si modifica e se non viene approvato, pazienza. La politica, per dirla con Max Weber, è l'etica della responsabilità contro l'etica dei principi. Questo, secondo me, è il metodo Draghi. Che è poi anche il metodo della nettezza. E' quello che dice noi siamo nella Nato, siamo con l'Ucraina, siamo con l'Ue, tutte cose che i due schieramenti, di destra e di sinistra, non possono dire con chiarezza. Perché la destra c'ha Salvini che fa la quinta colonna di Putin. Ma sulla guerra e il sostegno all'Ucraina problemi e contraddizioni sono presenti anche nella coalizione di sinistra come peraltro nei 5 Stelle. Noi ci proponiamo come quelli che s'intestano il metodo Draghi. Mi lasci aggiungere che il presidente Draghi quando il Paese l'ha chiamato, si è messo a disposizione. Ove mai si creassero le condizioni perché lui dovesse essere richiamato in servizio, vedremo che cosa succederà.

Insisto su questo punto. Dice Renzi: "La partita è a due. O c'è la Meloni o c'è Draghi. Questa è la partita, questa l'unica sfida. E per questo la proposta politica di Calenda e Italia Viva è l'unica che può fare la differenza". E' un'altra botta al Pd?

No, la botta è a quella coalizione. Perché non c'è solo il Pd. Quella è una coalizione che ha imbarcato gente che non sta con Draghi. Problemi di metodo e di contenuto. Un esempio: se noi andiamo a rivedere le posizioni sul rigassificatore a Piombino, spaziamo dal no completo di Bonelli e Fratoianni, alla posizione timidissima del Pd che dice che sarà una cosa temporanea pur di tenere il piede in due staffe. Non sono come noi, e Draghi, che diciamo il rigassificatore va fatto. E subito. D'altro canto chi lo deve autorizzare è Eugenio Giani, che è il presidente Pd della Regione Toscana. E poi c'è il fatto, incontestabile, che Draghi non è stato sostenuto da una parte di quella coalizione rappresentata da Bonelli e Fratoianni.

Nella coalizione a guida Dem c'è anche Luigi Di Maio.

Onestamente non so come un elettore Pd possa votare per lui. Io vengo dal Pd, sono stato sottosegretario di Maria Elena Boschi negli anni della riforma costituzionale. E mi ricordo bene di cosa allora Di Maio diceva del Pd: il partito di Bibbiano, dipinto come una piovra mafiosa. Vabbè che la memoria è labile ma fino a questo punto mi pare francamente un po' troppo.

Cosa teme di più del centrodestra: un passato "nero" che permane o le incognite sul futuro?

Questa cosa di gridare al lupo al lupo del fascismo, è sbagliatissimo. Si ripete ciò che avvenne negli anni '90 con Berlusconi, quando si affermò che il leader di Forza Italia rappresentava un pericolo per la democrazia. E' come se il tutore della democrazia sia solo la sinistra. E questo è sbagliato. Quello che a noi preoccupa è il futuro. Ci preoccupa il fatto che Meloni e Salvini guardino entusiasticamente al "modello Orban" e a quello Kaczynski. Il loro sguardo politico è rivolto più all'Ungheria e alla Polonia che all'Europa occidentale, agli Stati Uniti, cioè ai Paesi con i quali noi normalmente ci confrontiamo, che poi sono il gruppo di Paesi del quale siamo parte, quelli delle grandi democrazie liberali. Quello di Orban e Kaczynski è un modello sbagliato perché non tutela lo Stato di diritto, tant'è che sia Polonia che l'Ungheria hanno seri problemi con l'Ue, al punto che se dovessero entrarci oggi non avrebbero le carte in regola per farvi parte. Ma non c'è soltanto questo. Non è solo un problema democratico. E' anche un problema economico.

In che senso economico?

Pensare che l'Italia divenga la sostenitrice delle "piccole patrie", significa negare il fatto che noi italiani prosperiamo se siamo parte della comunità internazionale. Sono appena usciti i dati sull'export dell'anno scorso. E l'export rappresenta per l'Italia un terzo del Pil. Noi siamo l'ottavo Paese esportatore al mondo. Siamo un Paese che acquista materia prima dall'estero e vende manufatti all'estero. Un Paese chiuso in se stesso, che non è protagonista sulla scena internazionale e che non investe nel multilateralismo, questo per un italiano significa spararsi nei piedi. L'idea di ricreare una piccola patria, non è sbagliata soltanto dal punto di vista dello Stato di diritto, delle garanzie costituzionali, ma è anche sbagliata perché è una ricetta che non è adatta alle nostre caratteristiche sono al contrario quelle di un Paese che sta bene quando sta dentro alle dinamiche internazionali con la massima apertura. Mi lasci aggiungere un'ultima considerazione riguardo al modello Orban e alla fascinazione che esso esercita su Giorgia Meloni. Parlo di Meloni che si propone come la possibile prima donna presidente del Consiglio. E che si rifà a uno che ha sostenuto a più riprese e pubblicamente che il problema è che le donne, poiché sono troppo istruite non fanno più figli e quindi bisognerebbe che studiassero di meno e lavorassero di meno. Ricordo che Giorgia Meloni ha attaccato la legge Golfo-Mosca, quella sulle quote rosa nei Consigli d'amministrazione. Così non va bene. Anche lì, è stato un problema di diritti, di parità di genere nel mondo del lavoro, e al tempo stesso un problema economico. Perché se noi facciamo smettere di studiare le donne e le ragazze, non facciamo bene alla crescita del Paese che invece ha bisogno del talento femminile. Ed è paradossale che una donna porti avanti queste tesi.