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Sbrollini: "Rendere la salute dei cittadini fulcro delle politiche urbane".

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Intervista a Daniela Sbrollini per "Panorama Sanità" del 1-07-2024

di Maria Giulia Mazzoni

La nostra conversazione con Daniela Sbrollini, Vicepresidente della Commissione affari sociali del Senato, si sviluppa attorno ad un concetto semplice e chiarissimo: la sanità pubblica rappresenta un vero e proprio modello di tutela della salute e dovremmo considerarlo come un pilastro essenziale del sistema. Tra emergenze ed esigenze, la senatrice entra poi nel merito di criticità e punti di forza.

Lei è oggi vicepresidente della Commissione Affari sociali del Senato. I problemi della nostra sanità sono molti e per il prossimo futuro non sono pochi quelli che parlano di “rischio collasso” per il sistema nel suo complesso. Facciamo il punto: quali i principali pericoli all’orizzonte?

La sanità pubblica italiana rappresenta ancora oggi, in Europa e nel mondo, un vero e proprio modello di tutela della salute, che ha garantito agli italiani, nel corso degli anni, il miglioramento delle condizioni di vita, la riduzione delle patologie, maggiore longevità e benessere e una risposta collettiva ai bisogni di salute e di vita di cittadini, famiglie e società nel suo complesso. Sono tuttavia diverse le criticità che affliggono il nostro Ssn, come il divario nella quantità e qualità dei servizi forniti dalle singole Regioni, legato sia alla diversa dotazione infrastrutturale, sia a capacità di programmazione e gestionali non omogenee. A gravare sul sistema c’è l’insufficiente compensazione del ridimensionamento dei servizi ospedalieri ordinari con un rafforzamento di quelli territoriali, soprattutto in alcune Regioni, e le difficoltà di accesso fisico (liste di attesa) ed economico alle cure; e ancora, lo spostamento della domanda verso il privato come scelta obbligata per ritardi o mancanza di prestazioni da parte del settore pubblico, la carenza di personale e, non ultimo, l’assenza di investimenti e programmi di spesa di prospettiva nel settore.

Servono più soldi, o più organizzazione?

Dobbiamo investire sul nostro Sistema Sanitario e affrontare le emergenze, ma con una visione di lungo periodo. Sul piano dell’assistenza territoriale, nonostante i servizi sanitari e sociosanitari diffusi capillarmente sul territorio e il fondamentale ruolo di “filtro” svolto dai medici di base, il pronto soccorso viene percepito come unica opportunità per essere valutati adeguatamente, con conseguenti difficoltà sul piano delle risposte di tipo emergenziale. L’assenza di risorse, il blocco delle assunzioni nelle regioni in piano di rientro e il tasso di turnover negativo hanno determinato un aumento dell’età media del personale medico e infermieristico, spesso costretto a turni estenuanti e ininterrotti che in non pochi casi si sono riflessi direttamente sulla salute dei medici e degli infermieri. La necessità di immettere nuovo organico nel Ssn è dimostrata anche dalla forte carenza di personale, anche per effetto dei pensionamenti. Occorre la determinazione di mettere in campo le risorse adeguate e utilizzarle con un’ampia prospettiva per affrontare le criticità.

Sono sempre più i concordi nel dire che al Servizio Sanitario non servano tanto “aggiustamenti”, quanto una vera e propria riforma strutturale. Lei concorda?

È necessario avere un punto di vista strategico e considerare la sanità, a sua volta, come un pilastro essenziale per tutto il sistema. Anzitutto reperire le risorse finanziarie necessarie a rispondere alle criticità e, quindi, elaborare un quadro strutturale di interventi: favorire il ricambio generazionale del personale medico e infermieristico, assicurare maggiore attrattività alle professioni sanitarie, incrementando le remunerazioni e le indennità specifiche, elaborare un piano nazionale pluriennale di interventi di prevenzione e un piano di potenziamento della sanità e assistenza territoriale. E ancora, adottare un piano nazionale di edilizia ospedaliera che comporti il rinnovamento delle strutture sanitarie, i cui edifici risalgono, nel 70 per cento dei casi, a più di cinquant’anni fa, e garantire l’equo accesso alle cure e ai trattamenti su tutto il territorio nazionale. In questo scenario l’innovazione farmaceutica gioca un ruolo fondamentale e importante, che non può essere relegato al mero calcolo del costo del farmaco e della spesa farmaceutica, ma che piuttosto va considerato come valore aggiunto e risorsa che contribuisce al miglioramento della qualità di vita delle persone.

Non abbiamo preso il Mes. La domanda è secca: ci possiamo permettere di rinunciare a quei fondi?

È sfumata la possibilità di ottenere i circa 37 miliardi di euro la cui unica condizionalità sarebbe stata l’utilizzo di tali risorse esclusivamente per sostenere il finanziamento, diretto e indiretto, del sistema sanitario nazionale. Queste risorse avrebbero rappresentato puro ossigeno per il nostro sistema. Preconcetti ideologici e fake news non possono in alcun modo giustificare l’assenza di risorse e risposte rispetto alle esigenze di cura e assistenza di cittadini e famiglie. A medio e lungo termine occorre battersi in Europa per la riapertura dei termini del Mes sanitario, a cui il governo italiano, per motivi ideologici, ha detto no e che invece ci consentirebbero di risolvere l’emergenza e mettere a sistema il nostro servizio sanitario nazionale, che è ancora un fiore all’occhiello dell’Italia. Ma dobbiamo salvarlo, e non con provvedimenti spot.

Lei è molto attenta al tema della prevenzione. Questa è a detta di molti una carta che dovremmo giocarci al meglio sia in chiave “salute” per i cittadini, ma anche in ordine alla sostenibilità del sistema. Facciamo abbastanza su questo punto?

La promozione di un’adeguata politica di prevenzione costituisce una questione chiave per il presente e per il futuro. Si tratta, infatti, di un punto imprescindibile per una politica che voglia realmente affrontare, su un piano globale, le criticità relative alla salute e alla tenuta del sistema. Ma, ancora oggi, in un momento così complesso per la nostra sanità, la prevenzione troppo spesso è la vittima sacrificale di tagli, il cui impatto negativo ricade sul sistema stesso e sui cittadini. È una deriva che rischia di divenire inarrestabile: non investendo a sufficienza in prevenzione, il sistema si fragilizza e diventa sempre più difficile, anche per mancanza di volontà politica, trovare le risorse adeguate.

Il problema è anche ascrivibile a una cattiva comunicazione?
È sbagliato il modo in cui comunichiamo le nostre campagne di prevenzione o il problema è culturale (e allora sarebbe opportuno intervenire partendo dalle scuole)?

Il 43% degli italiani non fa più prevenzione. I motivi sono economici e sociali, ma anche culturali: non c’è la conoscenza dell’importanza di questo tema. Bisogna anzitutto puntare sulla promozione di una cultura che supporti le scelte politiche in questa direzione. Occorre un forte impegno di sensibilizzazione a tutti i livelli, anche sul piano mediatico, per mettere il tema al centro del discorso pubblico. Bisogna agire con strumenti educativi e culturali, e con la comunicazione, senza incertezze, a partire dalla consapevolezza che ogni euro che investiamo oggi sulla sanità e sulla salute dei cittadini significa poi dimezzare i costi, rendere più efficace il contrasto alle malattie croniche e avere cittadini sani. Occorre un nuovo patto tra le istituzioni, il mondo medico e scientifico, i pazienti, che renda la prevenzione un cardine del sistema, e un nuovo patto educativo tra famiglia e scuola: è con questo scopo, per promuovere questa alleanza educativa, che ho depositato anche una proposta di legge per ripristinare il medico scolastico in quanto presidio fondamentale per la sicurezza dei bambini nelle scuole.
Lo stesso si potrebbe dire per obesità e diabete dove gli stili di vita sono fondamentali. I numeri sui giovanissimi, soprattutto, sono significativi. Lei è vicepresidente dell’Intergruppo ad hoc e chi meglio di lei può dirci quale è la 
situazione e cosa potremmo fare per provare a invertire un trend che impatta, tra le altre cose, su un’ampia gamma di cronicità? L’impegno contro l’obesità e  il diabete richiede un lavoro comune su più fronti. A partire dalla prevenzione, ma non solo. Come evidenziato dai recenti Stati Generali sul Diabete, promossi insieme dall’Intergruppo parlamentare Obesità diabete e malattie croniche non trasmissibili, FeSDI - Federazione delle società diabetologiche italiane e Università di Roma Tor Vergata, serve una rete endocrino-diabetologica più forte e un accesso davvero equo e uniforme alle cure in tutto il Paese. Occorrono maggiori investimenti su prevenzione e diagnosi precoce, e questo vale, oltre che per il diabete, per tutte le malattie non trasmissibili, e promuovere la concreta digitalizzazione del sistema sanitario. È importante che questi temi siano al centro dell’agenda politica. Lo scorso 4 marzo, in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità sono stata tra i firmatari di una mozione depositata presso il Senato, in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità, che ha incorporato i contenuti del “Manifesto per il contrasto all’obesità, come malattia cronica da affrontare in maniera sinergica multidisciplinare e olistica, libera da pregiudizi, stigma e discriminazione”, sottoscritto da oltre 20 organizzazioni in Italia.

A proposito di scuola e di buone abitudini: lo sport è una tessera importantissima in campo educativo, sociale e di salute. Lo abbiamo scritto in Costituzione, ma secondo lei il messaggio è passato anche nel Paese?

Lo sport è un “farmaco” che non ha controindicazioni e fa bene a tutte le età. Promuovere sport e attività fisica significa agire per la salute dei cittadini, ma non solo, perché lo sport è un grande motore di sviluppo su più fronti, da quello economico a quello sociale. Ritengo che le istituzioni debbano lavorare di più per far sì che sport e attività fisica possano essere al centro degli stili di vita delle persone. Come Intergruppo parlamentare siamo fortemente impegnati in questo obiettivo, e io stessa ho presentato un disegno di legge per dare la possibilità a pediatri, medici di medicina generale e specialisti di inserirlo in ricetta medica, così che le famiglie possano usufruire delle detrazioni fiscali. È fondamentale mettere questo tema al centro delle politiche di prevenzione e dell’agenda istituzionale, e agevolare le condizioni che consentano la pratica sportiva e l’attività fisica alle persone di tutte le età.

In passato è stata impegnata attivamente nell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani). Quale ruolo possono assumere comuni e città per riuscire ad essere vicini ai cittadini in modo “salutare”?

Credo che il ruolo dei Comuni, anche alla luce della mia esperienza di intensa collaborazione nel corso degli anni con questa realtà, possa essere molto importante. Il contesto attuale di forte urbanizzazione rende sempre più urgente mettere in atto politiche sociali, culturali ed economiche che portino a uno sviluppo urbano consapevole con la salute come obiettivo primario. L’urbanizzazione è una delle maggiori sfide di sanità pubblica del nostro tempo, dobbiamo affrontarla con tutti gli strumenti a disposizione, in un approccio globale, a partire dall’incentivazione dello sport e dell’attività fisica, che svolgono di certo un ruolo fondamentale. Oggi più della metà della popolazione mondiale vive nelle città, che contribuiscono per il 70 per cento alle emissioni globali di carbonio e per oltre il 60 per cento all’uso delle risorse. Questo fenomeno di grande urbanizzazione va conciliato con il diritto di ogni cittadino a una vita sana e integrata nel proprio contesto urbano. Occorre rendere la salute dei cittadini il fulcro delle politiche urbane, promuovere un assetto One Health che tenga conto delle connessioni tra salute umana, animale e ambientale considerando tutti i rischi per la salute umana.

Innovazione e digitalizzazione. Quanto possono agevolare il percorso di cura delle malattie croniche e quali i loro limiti?

La telemedicina rappresenta una risorsa essenziale per l’evoluzione virtuosa del nostro Sistema Sanitario. È un dato di fatto e un valore, questo, trasversalmente riconosciuto. Eppure per implementare questo percorso è opportuno richiamare l’attenzione sulle contraddizioni, anche solo di carattere burocratico, che lo ostacolano e su cui è urgente intervenire. L’uso della telemedicina, attraverso l’assistenza e il monitoraggio dei pazienti a distanza, offre la risposta sanitaria adeguata alle esigenze di una popolazione che registra un forte invecchiamento e un aumento delle malattie croniche ed è elemento imprescindibile della ristrutturazione e razionalizzazione del sistema sanitario. La telemedicina può svolgere un ruolo essenziale nell’accrescere l’equità nell’accesso ai servizi socio-sanitari nei territori remoti, ridistribuire le risorse umane e tecnologiche tra diversi presidi, consentendo di coprire la necessità di competenze professionali spesso carenti e assicurare la continuità dell’assistenza sul territorio, e offrire, grazie alla disponibilità di servizi di teleconsulto, un supporto ai servizi mobili d’urgenza o per le zone remote. Occorre rimuovere tutti gli ostacoli che ne rallentano l’affermazione nel nostro Sistema Sanitario.

Con le lezioni che avremmo imparato dal Covid si potrebbero scrivere pagine di letteratura. Le faccio la domanda opposta: c’è qualcosa secondo lei che avremmo dovuto imparare, e che invece non dimostriamo di aver fatto?

Penso che l’esperienza drammatica del covid debba farci riflettere ancora a fondo. Manca ancora una visione di lungo periodo per affrontare non solo le emergenze sanitarie, ma anche la quotidiana tutela del diritto alla salute. Nonostante la lieve ripresa degli ultimi due anni, i volumi delle prestazioni sanitarie non sono ancora tornati ai livelli pre- pandemici, né per le prestazioni programmate né per quelle urgenti. Ciò incide negativamente su un sistema di prevenzione tradizionalmente carente in ragione della mancanza di risorse finanziarie, umane e strumentali adeguate, cui si potrebbe dare risposta attraverso l’elaborazione di un piano nazionale pluriennale di interventi. I lunghi tempi d’attesa non riguardano solo le tempistiche relative alla diagnosi, ma anche quelle relative agli interventi terapeutici e assistenziali-riabilitativi, che vengono posti in essere con ritardi che spesso finiscono inesorabilmente per aggravare il quadro clinico del paziente. Si registrano criticità anche sul piano dell’assistenza di lungo termine prestata nelle strutture ospedaliere, il che significa difficoltà da parte del Ssn di garantire cure e assistenza con continuità e al di là di un orizzonte emergenziale. Per salvaguardare il servizio sanitario nazionale e garantire personale e strumentazione è indispensabile stanziare nuove risorse, prestando un sostegno concreto a tutte le strutture e le professionalità che si impegnano, nonostante le difficoltà ad adoperarsi per proteggere la salute dei cittadini.