Intervista di Alessandro Rossi, "Mondo Padano", 18 marzo 2022.
Partiamo dalla crisi fra Russia e Ucraina: perché, a suo giudizio, si è arrivati a questo punto?
«C'è un aggressore e un aggredito. Uno che ha usato le armi in modo massiccio, invadendo uno stato sovrano con cui c'erano delle controversie. Non c'è dubbio sulla paternità delle responsabilità e su chi siano i colpevoli. Detto questo, credo che ci sia un progetto egemonico di Putin che si muove intanto sull'Ucraina, ma non è detto che finisca li».
La reazione adottata dall'Europa fino ad ora è stata proporzionata?
«C'è un incendio e dobbiamo cercare di spegnerlo, non di allargarlo. E la reazione europea è andata tutta in quella direzione, con le sanzioni, ma anche - va detto - con l'invio di armi difensive, perché un arma controcarro serve solo se c'è un carro armato come nemico e le armi contraeree sono necessarie solo se c'è un attacco aereo».
Le sanzioni rischiano di avere un impatto molto rilevante anche sulla nostra economia. Come possiamo fronteggiare una situazione che si annuncia molto complicata non solo sul fronte energetico?
«Purtroppo è così. Le sanzioni hanno un grande effetto anche sulla nostra economia. Ma è la guerra che ha effetti sulla nostra economia. Perché il prezzo del gas, del grano e del mais salgono per effetto della guerra. Dopodiché, ci sono sanzioni come il limite alle nostre esportazioni o ad alcune importazioni a cui dovremo far fronte allargando lo sguardo ad altri mercati o acquisendo una maggiore capacità produttiva interna».
La Russia ha fatto leva sulla dipendenza dal gas dell'Europa. I nostri Paesi hanno deciso di attrezzarsi per emanciparsi da Mosca per il proprio fabbisogno. Ma ci vorrà tempo... Nel mentre, rischiamo di essere ancora esposti alle crisi internazionali.
«È evidente che questo è il fronte sul quale siamo maggiormente esposti: approvvigionamenti alternativi, estrazioni dirette dai nostri giacimenti, massicce campagne di realizzazione di energie alternative sono le strade che siamo costretti a percorrere e le stiamo provando tutte. A un certo punto, bisognerà anche lavorare sulla compressione dei consumi».
Restando in questo campo, i giorni scorsi il presidente Draghi ha dichiarato come l'Italia si appresti a reagire per ridurre la propria dipendenza dall'estero, puntando sulla diversificazione delle fonti. Fra queste, però, non ha citato il nucleare. Perché?
«Il ragionamento che stava facendo il Presidente Draghi riguardava la risposta da dare nell'immediato. In altra sede, ha aperto al nucleare e in particolare alla ricerca sui nuovi modelli di realizzazione di centrali nucleari. Ma è evidente che, nell'immediato, se vogliamo pensare a come affrontare questa situazione, non lo possiamo fare costruendo una centrale nucleare perché, prima di averla, passerebbero anni».
Quando, secondo lei, l'Italia avrà nuovamente delle centrali nucleari sul territorio nazionale?
«È difficile dirlo, oggi. Tuttavia, la fusione nucleare è una tecnologia completamente diversa da quella su cui abbiamo fatto i referendum. E, per misurarsi sul futuro, non è possibile restare vincolati a un referendum vecchio e ormai superato. Prima di tutto, le scelte verranno sempre fatte all'interno di una logica di sicurezza. Detto questo, al di là delle prospettive della fusione nucleare, ricordiamoci che a 80 km da Trieste c'è la centrale nucleare di Krsko. Ricordiamoci che la Francia ha molte centrali nucleari che non sono certo lontane dai nostri confini. E ricordiamoci che la vicina Svizzera ha diverse centrali nucleari attive. In tutti questi casi, si tratta di centrali nucleari a fissione, esattamente come quelle che aveva l'Italia prima del referendum con cui si è deciso di chiuderle. Mi sembra, dunque, un dibattito poco produttivo quello di restare fuori dalle nuove tecnologie quando le nuove tecnologie possono essere quelle che ci rendono autonomi e che difendono l'ambiente. Stiamo parlando delle risposte per i nostri nipoti, non per la nostra generazione».
Passiamo al passaggio politico più importante che l'Italia ha affrontato a inizio anno: l'elezione del capo dello Stato. Mattarella ha accettato di restare al Quirinale di fronte alla situazione di stallo che si era prodotta e Draghi è rimasto a Palazzo Chigi. Aldilà del valore di entrambi, su cui nulla puo avere nulla da obiettare, come valuta questo epilogo?
«No, questa volta non è un accordo al ribasso. Al contrario, abbiamo trovato la migliore soluzione per le Istituzioni, anche perché chi doveva fare la regia per favorire candidature alternative, si è dimostrato incapace di saperlo fare. Ma, dal nostro punto di vista, dato che proponemmo Mattarella nel 2015, quale miglior soluzione rispetto al fatto di averlo ancora al Quirinale? Anche quello che sta succedendo ci conferma ancora di più che questa è stata la scelta giusta, fatta peraltro in un momento in cui non sapevamo che l'avremmo apprezzata ancora di più in questi giorni così terribili».
Guardiamo avanti: crede che il Governo arriverà al termine della legislatura?
«Io non ho mai dubitato che questo Governo avrebbe finito la legislatura. Poteva avere un epilogo diverso solo se Mario Draghi fosse stato eletto al Colle. E continuo a pensare che questo Governo governerà fino in fondo, forse anche oltre».
Sempre guardando al futuro, prima che scoppiasse la guerra nel cuore dell'Europa, all'interno dei partiti e delle coalizioni si era aperto un dibattito su più fronti, in vista delle politiche del 2023.
«Sono consapevole che sia stato un bene fermare questo dibattito perché oggi la priorità per il Paese e per il mondo è un'altra».
È verosimile che si vada verso una modifica della legge elettorale? Come vede le attuali coalizioni?
«In sordina, ripeto quello che dico da mesi e cioè che secondo me la legge elettorale non cambierà e che queste due coalizioni sono entrambe a trazione estremista e populista, una a sinistra e una a destra. Una guidata dal duo Salvini e Meloni e l'altra dal duo Landini-Conte. Confidiamo sempre che prevalga il riformismo vero che è fatto di parole moderate, di fatti concreti e di forte adesione ai valori dell'Europa e dell'atlantismo».
Quale spazio potrebbe avere l'area politica di centro, all'interno della quale si può collocare anche Italia Viva?
«Lo spazio è gigantesco perché è dato da tutti quegli elettori che non si riconoscono nelle estremizzazioni che citavo prima. Ma, adesso, occupiamoci di come affrontare questa guerra e questa crisi che sono le cose cose che interessano agli italiani».
Restando in questo ambito, quale potrebbe essere il rapporto fra Italia Viva e Azione, che poche settimane fa ha celebrato il suo primo congresso durante il quale Carlo Calenda ha avuto parole di grandissimo apprezzamento nei confronti di Renzi, giudicato come il miglior premier dai tempi di De Gasperi?
«Non c'è mai stata un'affermazione nostra contro Carlo Calenda. Siamo nello stesso campo e dobbiamo giocare la stessa partita. Questa è la nostra lettura».
Onorevole Rosato, un'ultima domanda: il 2022 era iniziato nel segno della speranza sul fronte della pandemia, ma gravato dal problema dell'impennata dei costi dell'energia e delle materie prime e ora anche da una guerra nel cuore dell'Europa. Quali sono le sue previsioni per quest'anno?
«Sarà un anno duro, mentre doveva essere un anno di ripresa. Ricordiamoci, inoltre, che il Covid non è sparito. Sarà un anno difficile per la ripresa economica, sperando che di ripresa economica si possa parlare. All'interno di questo discorso - bisogna essere onesti - fare previsioni di breve e medio periodo in merito a una ripresa dei rapporti commerciali con la Russia, significa essere molto ottimisti rispetto al fatto che domani i carri armati russi facciano dietrofront e tornino all'interno dei loro confini».