Mentre crescono le persone in povertà gli enti che normalmente sostengono le famiglie e i singoli fanno fatica a riempire i pacchi alimentari con tutti i prodotti. E la ragione è che la burocrazia e le sue lungaggini hanno creato un buco negli approvvigionamenti. «Si sono accumulati ritardi e così alcune derrate vanno in esaurimento e prima che tutto torni alla normalità passeranno mesi…», è la constatazione di Giovanni Bruno, presidente di Banco Alimentare.
Sono alcuni mesi che Fondazione Banco Alimentare lancia l’allarme per i ritardi che si sono accumulati nella definizione dei bandi Agea, l’agenzia nazionale che si occupa delle erogazioni in agricoltura.
Il risultato è che gli scaffali da aprile in avanti hanno iniziato a svuotarsi sempre più, ma non arrivavano i prodotti per sostituire quello che veniva erogato agli enti caritativi che poi direttamente danno il pacco alimentare alle persone in difficoltà.
La filiera dell’aiuto
Per comprendere quanto i ritardi accumulati nella definizione dei bandi influisca sul flusso dei beni basti pensare che nel 2023 la Fondazione Banco Alimentare ha distribuito oltre 115mila tonnellate di aiuti in cibo, di queste 45mila sono frutto delle donazioni e del recupero lungo la filiera, oltre 10mila provengono dalla solidarietà sollecitata durante la Giornata natazionale della Colletta Alimentare e iniziative simili, ma oltre 60mila tonnellate sono invece frutto degli aiuti legati al Fondo europeo per gli indigenti Fead e al Fondo nazionale.
«I ritardi che si sono accumulati sono notevoli, e per recuperare il buco di forniture ci vorrà purtroppo ancora tempo», osserva Giovanni Bruno, presidente nazionale della Fondazione Banco Alimentare. «Purtroppo non è una situazione facile e temo che fino a fine agosto non si riuscirà a risolvere e chi ci va di mezzo sono le persone».
Gli scaffali vuoti
E così mese dopo mese gli scaffali dei singoli Banchi alimentari, presenti nelle diverse regioni italiane, hanno iniziato a svuotarsi. «A seconda delle scorte che ciascuna realtà era riuscita a fare quest’assenza di rifornimenti incide in maniera maggiore o minore sulla capacità di rispondere ai bisogni», continua Bruno. «Ma bisogna anche considerare che una volta fatto il bando e assegnato l’incarico non si risolve tutto e il giorno dopo arrivano i prodotti. Ci vogliono settimane, mesi per produrre ad esempio pasta, latte, biscotti… si tratta di extra produzioni che richiedono tempo e intanto le persone che hanno bisogno continuano a crescere come testimoniano i dati Istat sulla povertà».
Purtroppo non è la prima volta
I tanti enti caritativi e gli stessi banchi, ammette Bruno «per garantire un poco a tutti hanno dovuto ridurre un po’ le quantità, ma quando gli scaffali sono vuoti…».
E non è la prima volta, ricorda il presidente del Banco Alimentare, già 10 anni fa (ne avevamo parlato qui ) era stata fatta una colletta alimentare straordinaria per il buco nelle forniture dovute alla chiusura di un programma europeo d’aiuto e all’avvio di Fead.
«Da settembre le cose dovrebbero migliorare», osserva infine Bruno, «ma quello che ci vorrebbe davvero è un aumento dei fondi a disposizione di Agea, ma anche evitare le lentezze che abbiamo visto quest’anno».
I fondi nazionali vanno aumentati
La necessità di aumentare i fondi viene osservata anche da Maria Chiara Gadda, vicepresidente della commissione Agricoltura alla Camera: «Si devono stabilizzare ad almeno 100 milioni l’anno i fondi nazionali sugli aiuti alimentari – che per altro sono una doppia misura perché aiutano anche la filiera agroalimentare – per dare una programmazione alle associazioni, e sburocratizzare l’uscita e l’iter lunghissimo dei bandi Agea».
«So bene che è più facile per certa politica mettere risorse su misure come la card alimentare, che monetizza il bisogno ed è un bonus una tantum con una serie di paletti che non fotografano per nulla le mille facce della povertà» aggiunge Gadda. «Sulla card c’è di fatto scritto il nome e il cognome di chi ringraziare al governo, mentre mettere il Terzo settore nelle condizioni di operare non paga in termini di consenso. Il punto è, però, che per il Terzo settore la distribuzione del cibo è un’occasione di incontro e presa in carico delle fragilità, un modello generativo che alla comunità serve».