Intervista di Michela Tamburrino, "la Stampa", 7 febbraio 2020.
Da tre giorni Matteo Renzi si è messo in modalità Festival. Lo ha postato e twittato, scanso equivoci: «Dubito di chi con sdegno sostiene di non vederlo. Io mi ci diverto da sempre, è una straordinaria esperienza italiana».
Lo seguiva anche al governo?
«Fin da ragazzino. Da Presidente del Consiglio Luca e Paolo mi massacrarono, il tormentone "stai sereno" lo rilanciarono loro. Io avevo avuto l'incarico proprio nella settimana di Sanremo del 2014, era l'era Fazio. Da quel giorno se dico "stai sereno" a qualcuno mi prendo una querela».
Adesso le va di lusso, solo il piccolo accenno di Fiorello quando ha detto che tra i Matteo, l'unico che funziona in Italia è quello in tonaca con un Don davanti...
«Mi ha fatto ridere. Gli ho mandato un messaggio: "Facile prendersela con Orfini e Richetti?" (visto che anche loro si chiamano Matteo). Fiore è un grande».
Ha seguito il monologo di Rula Jebreal? Siete amici, giusto?
«Bellissimo ascoltare tanto coraggio. Giusto che una platea come questa abbia avuto modo di riflettere. Voglio bene a Rula, è un'amica, ma è una persona libera: mi ha anche molto criticato quando ero Presidente del Consiglio».
Tante polemiche anche quest'anno, con i testi delle canzoni passate in Vigilanza.
«La politica deve stare con il telecomando in mano senza intervenire e senza alimentare polemiche da populisti. Lo scorso anno fu ridicolo l'attacco di Salvini e Di Maio al brano di Mahmood».
Eppure ogni Sanremo ha la sua croce. L'anno scorso il nodo migranti, quest'anno la violenza sulle donne. A chi fa bene il tema civile?
«Al Festival e alla società. E pure alla politica. Nel mio ultimo Sanremo da premier il Festival ci ha molto aiutato nella battaglia sui diritti civili. Stavo per mettere la fiducia sulle unioni civili: a Saremo se ne parlò tanto e i segni arcobaleno aiutarono a creare un clima politico. Il monologo di Pierfrancesco Favino sull'immigrato clandestino commosse un pezzo d'Italia. È fisiologico che ci si interessi ad argomenti d'attualità. La società sente i problemi veri: Gessica Notaro, Rula Jebreal, Paolo Palumbo, è servizio pubblico. Poi succede che invece vengono premiate canzoni meno ficcanti e si tengono fuori cantautori di vaglia. Ma quello fa parte di altro, è gusto musicale».
Una settimana sabbatica per la politica. Le manca l'aria?
«Anzi. Riprenderei lo statuto in vigore nell'antica Grecia, quando durante le Olimpiadi s'interrompevano persino le guerre. Io più banalmente interromperei per una settimana i talk. Nessuno sentirebbe la mancanza».
Meglio le canzoni o lo show?
«Entrambi. Mi piace la coppia Amadeus-Fiorello con l'innesto di Tiziano Ferro. Ora aspetto Benigni. Organizzazione perfetta, si meritano il botto d'ascolti. Ma devo confessare che Lucio Presta mi aveva detto che prevedeva che ci sarebbe stato un grande share».
Ecco, ora si dirà che lei parla bene della manifestazione solo perché amico di Presta.
«Eddai. Ho lavorato con Presta per il film Firenze secondo me ma ho sempre seguito il Festival. Sono amico di Lucio come di Carlo Conti. Pensi che quando ero a Palazzo Chigi su Twitter facevano battute sul fatto lui fosse raccomandato da me. Che cosa ridicola. Chi è bravo merita solo applausi. Punto».
Ha individuato l'anima del buon politico in qualche cantante?
«Qualcuno di loro il politico vorrebbe anche farlo. Ma il modo migliore per rovinarlo sarebbe un mio endorsement».
Eppure tanti artisti che ci hanno provato poi sono fuggiti dalla politica. Delusi.
«Non siamo negli States dove un attore come Reagan può diventare presidente. Al massimo abbiamo un Grillo comico che diventa politico».
Junior Cally accusato di sessismo per una sua vecchia canzone, nel brano in gara se la prende con lei e con Salvini. Si è sentito offeso?
«Avevo già letto il testo. Frasi banali, un normale editoriale di un ideologo mainstream. La battuta è scontata. Ho sentito di peggio, ma parecchio. In passato lo Stato sociale irrise al rottamatore. Sono stato oggetto delle attenzioni di Crozza. Ma io non me la prendo mai e la canzone di Lodo Guenzi mi era pure piaciuta».
Che si aspetta dal Festival?
«Che mi diverta. Soprattutto che rispetti il rito della famiglia e degli amici davanti alla televisione. Anche se immagino le reazioni delle nonne quando Achille Lauro si è spogliato. Forse neanche uno spogliarello in senato avrebbe provocato così tanto clamore».
Tra gli U2 e i Coldplay?
«Faccio fatica a scegliere. Forse di un'incollatura gli U2 per la stima infinita che ho di Bono Vox».
Che canta a casa?
«Amo la musica ma non sono ricambiato. Comunque da quando abbiamo fatto la scissione lo stesso giorno, noi e i The Giornalisti, il mio pezzo forte è il brano di Tommaso Paradiso: non avere paura».