Pubblichiamo l'intervento integrale di Matteo Renzi tenuto il 17 giugno 2020 al Senato della Repubblica.
Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio dei ministri, signor Ministro degli affari europei, colleghe e colleghi,
l'intervento ampiamente condivisibile del Presidente del Consiglio e l'intervento del presidente Casini, che come Italia Viva condividiamo dalla A alla Z, mi permettono di provare ad offrire un contributo diverso dal solito, in vista dell'appuntamento molto importante di venerdì prossimo. Oggi, signor Presidente, inizia l'esame di maturità, la maturità in presenza. Circa mezzo milione di ragazzi nostri connazionali tornano nelle classi, dopo la delicata vicenda degli ultimi tre mesi. È la generazione del 2001: diciamo che ha vissuto un'odissea nello spazio negli ultimi mesi, non riuscendo e non potendo tornare a finire il proprio impegno scolastico, come probabilmente avrebbero voluto e come forse era suo diritto.
Oggi affrontano una maturità che li fa sognare, ma che forse per qualcuno è un incubo. È comunque la certezza che quella generazione diventa adulta, come ha detto molto bene nei giorni scorsi Paolo Giordano, importante scrittore. La maturità e questo: l'inizio degli esami che non finiscono mai. Da tale punto di vista, nel dare un grande abbraccio e un pensiero a questi nostri connazionali, dovremmo prendere esempio da loro e dire che oggi inizia anche un altro esame di maturità in presenza, che riguarda l'intera classe dirigente europea: riguarda lei, signor Presidente del Consiglio, e il suo Governo; tutti noi, senatrici e senatori, me e l'intera classe dirigente del nostro Continente. Diciamo le cose come stanno, infatti: in tanti raccontano che il virus ci renderà migliori, ma ho qualche dubbio, nel senso che quest'analisi sociologica, psicologica e caratteriale la faremo alla fine; può darsi che sarà così, per carità, ma sicuramente il virus ha scardinato la geopolitica internazionale e ha cambiato l'Europa.
Se non ci diciamo questo, non siamo coerenti, e mi rivolgo anche alle opposizioni, che dovranno cambiare il proprio modello di azione nei prossimi mesi, perché il virus ha cambiato il linguaggio della politica e le regole della geopolitica. Perdonatemi, ma vi invito a provare a fare un flashback e a riavvolgere il nastro a quattro mesi fa. È cambiato moltissimo, ad esempio negli Stati Uniti d'America, dove quattro mesi fa si immaginava una vittoria in carrozza del Presidente uscente e per vari motivi il mondo sembra cambiato; a me colpisce che con i privati si vada nello spazio e poi un uomo, un cittadino americano, muoia, perché non riesce a respirare, schiacciato dal ginocchio di un poliziotto (e accade negli Stati Uniti d'America, che hanno visto il primo Presidente di colore). Una delle più belle considerazioni che il presidente Obama ci ha consegnato in tanti momenti informali, a cui molti di noi hanno partecipato, è quella che la storia va a zig zag e non possiamo immaginare un percorso sempre uniforme e unitario. È cambiato molto in Cina: quattro mesi fa si parlava di trade, 5G e basta; oggi è investita da notevoli elementi di riflessione.
È cambiato molto in Brasile, dove il modello Bolsonaro ha fallito, non soltanto sul coronavirus. Sta cambiando molto in India, uno dei Paesi più colpiti nelle ultime settimane e che pure, fino a qualche settimana fa, un mese fa, vedeva una premiership assolutamente fortissima. Come ricordava da ultimo il presidente Casini, sta cambiando molto nel Mediterraneo, non necessariamente in meglio, dove si sente sempre più forte una leadership russa, coerente con il disegno di soft power che il presidente Putin ha sempre avuto, ma a cui si somma un intervento turco che deve far riflettere noi e la NATO.
In questo scenario, l'Unione Europea ha battuto un colpo. Lo dico ai sovranisti: dovete riconoscere che ciò è avvenuto. Sarebbe interessante domandarsi - e lo dico guardando il Ministro per gli affari europei, con il quale più volte abbiamo fatto riflessioni sul punto - se non sia stato anche frutto della Brexit, che quattro mesi fa era su tutti i giornali: forse, se vi fosse stata ancora Londra dentro l'Unione europea, non avremmo potuto fare tutto quello che è stato fatto e che lei, signor Presidente, ha fatto assieme ai suoi colleghi. È un paradosso, un contrappasso interessante su cui riflettere, ma il punto centrale è che il mondo sta cambiando. Allora, vogliamo discutere di MES o non MES? Spoiler: sono per il sì, ma questo dibattito è infinitamente più piccolo di quello vero che oggi serve all'Europa, incentrato su quale sarà il ruolo suo - e quindi dell'Italia - nei prossimi dieci anni. Iniziano gli anni Venti: ruggenti, secondo i film americani del secolo scorso, anche se in realtà fino a un certo punto, perché furono quelli del fascismo e dei fascismi in Europa e della grande depressione in America; anche se risaliamo al XIX secolo, negli anni Venti i moti liberali si affermarono in una determinata stagione della storia. Insomma, gli anni Venti sono sempre pericolosi e affascinanti.
Che tipo di anni Venti immaginiamo per l'Europa? Su questo non voglio fare la Cassandra né il profeta, ma ci sono elementi che dovremmo analizzare: penso che la pandemia sia stata una prova drammatica e che sicuramente dovremo essere prudenti e stare attenti alle seconde ondate, con tutto quello che ci siamo detti, senza però il terrorismo psicologico di chi minaccia 151.000 posti in terapia intensiva, quando sono meno di 200; sicuramente però occorre prudenza. La prossima pandemia, la prossima crisi globale - permettetemi di dirlo sperando di avere torto - non sarà una crisi sanitaria, ma sarà una crisi legata al cyberattack, alla cybersecurity; tema ampiamente sottovalutato nel dibattito internazionale. Se noi scommettiamo sull'Industria 4.0 - e facciamo bene a farlo - basta un cyberattack per cambiare la storia di un prodotto agroalimentare che viene trasformato o di un pezzo dell'automotive. Questi temi vedono un'Europa protagonista o vedono l'Europa come era fino a quattro mesi fa, ai margini, alla finestra, da spettatrice.
Questo per me è il punto di discussione su cui sogno, auspico e spero che il nostro Paese faccia sentire il proprio impegno e la propria voce. Il mondo dei prossimi anni è infatti un mondo di robotica, di intelligenza artificiale e di innovazione, ma è anche un mondo in cui abbiamo scoperto che lo smart working, che è bellissimo, che funziona e che abbiamo fatto bene a implementare e implementeremo, non basta, perché la scuola non si può accontentare della didattica a distanza, ha bisogno di essere comunità. (Applausi).
Per quanto riguarda le aziende - apprezzando che lei negli Stati generali si apra al confronto con importanti manager e imprenditori - ho parlato con un'importante amministratore delegato che mi ha detto che è inutile continuare a raccontare dello smart working, che l'azienda è innanzitutto una comunità. Va bene valorizzare lo smart working perché riduce il traffico e aumenta la scommessa digitale, ma serve altro. In tutto questo scenario, penso che l'Europa abbia battuto un colpo. Lo ha fatto con la Banca centrale europea (BCE), lo ha fatto con il recovery fund, su cui confermiamo il nostro impegno, lo ha fatto con il programma temporary support to mitigate unemployment risks in an emergency (Sure) - mi piace ricordare l'impegno su questo di Pier Carlo Padoan nella scorsa legislatura -, lo ha fatto con tutti i vari punti che sono stati oggetto della vostra discussione fino a questo momento e che sicuramente continuerà. Mi sia consentito mandare un pensiero riconoscente non soltanto a tutti i leader, ma anche alle leader donne di questo continente (Applausi); Angela Merkel, ma anche Christine Lagarde e Ursula von der Leyen hanno dimostrato infatti che quando le donne guidano determinate Istituzioni svolgono un ruolo che in alcuni casi è decisamente superiore anche a quello degli uomini.
Abbiamo però un problema oggi; il nostro problema è essere conseguenti con ciò che abbiamo detto, essere capaci cioè di fare un esame di maturità a casa nostra, sbloccando ad esempio - come lei ha più volte detto e noi siamo dalla sua parte - il piano infrastrutture. Le do atto che nelle ultime settimane e negli ultimi mesi molti degli impegni che lei ha preso stanno diventando realtà, con fatica - come è naturale che sia - a cominciare per noi dall'importantissimo Family Act. La scommessa di fondo è però quella di avere una visione dell'Europa. Su questo punto vado a terminare, non volendo provocare i nostri amici delle destre, ma riconoscendo che ci sono due destre oggi, non in Italia, ma nel mondo. È un dato di fatto oggettivo e guardate che queste due destre si confrontano per motivi nobili, non per motivi futili. Chi di noi ama la democrazia americana sa che l'elemento costitutivo della grande storia della destra americana è stato quello di esportare la libertà; valeva per Bush, ma valeva anche per Ronald Reagan quando, di fronte al muro di Berlino, impugnava il martello e diceva «butta giù questo muro, Mr Gorbaciov». Oggi il muro - interessantissime alcune riflessioni di Massimo Recalcati su questo - è diventato invece il simbolo di una nuova Europa e di un nuovo mondo, il muro in Messico, ma anche il muro di Orban, che pure era uno di quelli della destra popolare europea che sognava il superamento della visione del passato e la libertà. Allora qui c'è un punto e davvero termino su questo: il coronavirus ci ha mostrato che il mondo sovranista, portato alle estreme conseguenze dei padroni a casa propria, di nessuno immigrato che arriva, di una globalizzazione bloccata, è un mondo che è triste e non è adatto all'Italia. (Applausi).
La scommessa vera che noi abbiamo di fronte come Italia è scommettere sul mondo della globalizzazione, sull'apertura, sulla capacità di guardare al futuro. Se questo vi emoziona, ne sono orgoglioso, perché i primi ad aver capito che dovete cambiare linea, amici della Lega, siete voi, in quanto ciò che è accaduto in questi mesi dimostra che il vostro sogno sovranista si scontra con la realtà. Signor Presidente del Consiglio, le auguriamo buon lavoro nella videoconferenza. Porti con sé i ragazzi del 2001, perché per i ragazzi del 2001 l'Europa è quel luogo che si chiama casa. Signor Presidente, concludo con un bellissimo testo di David Foster Wallace, rivolto come saluto a dei ragazzi che raggiungono la laurea. Il testo racconta di due giovani pesciolini che sono nel mare e che procedono tranquillamente. Passa un vecchio pesce nella direzione opposta, li saluta e chiede loro: com'è l'acqua? I due pesciolini piccoli, abituati a crescere nell'acqua, non dicono niente, salutano e poi uno dei due più in là chiede all'altro: cos'è l'acqua? Signor Presidente, per la nuova generazione non c'è la domanda su com'è l'Europa, perché l'Europa è casa nostra. Siamo all'altezza dei sogni della generazione del 2001. Si faccia valere, signor Presidente del Consiglio. Noi siamo con lei. (Applausi).
Chi lo desidera, può rivedere l'intero intervento su Facebook o qui di seguito.