Intervista a Matteo Renzi per «El País» del 20-10-2025
di Íñigo Domínguez
Come vede la situazione politica in Italia? Lei è molto critico con Meloni.
Meloni è un’influencer. È la migliore a comunicare, ma non è affatto brava a governare. Dice che va tutto molto bene, ma abbiamo un debito pubblico crescente; una pressione fiscale di quasi il 43%; 190.000 giovani che abbandonano l’Italia; un aumento del costo della vita; un numero record di poveri, 5,7 milioni. Ma lei dice che va tutto bene, e l’aiuta il fatto che una parte molto ideologica della sinistra parli solo di questioni legate all'ideologia, quando dovremmo parlare di salari, pensioni, costo della vita, inflazione. Per questo il mio progetto, Casa Riformista, ha avuto successo in Toscana, semplicemente perché parla di queste cose.
Però Meloni non cala nei sondaggi, dopo tre anni.
Guardi, a me davano il 40% fino alla fine, non significano niente. Giorgia Meloni ha vinto l’ultima volta perché a sinistra eravamo divisi. Ha vinto con il 26%, e lì è rimasta. Non è un consenso travolgente. Se la sinistra è unita, Meloni andrà a casa.
Lei crede che le elezioni si vincano al centro.
Esattamente.
Il problema è che oggi sembra più difficile che mai, perché la politica è molto polarizzata. Esiste un elettore moderato orfano?
Può essere inferiore numericamente, ma paradossalmente è più decisivo. Quindi non credo al declino del centro.
Che bilancio dà di Meloni finora? Quando è arrivata, fuori dall’Italia è scattato l’allarme perché l’estrema destra arrivava al potere, e invece si è mostrata abile e pragmatica.
Meloni è bravissima ad avere molte facce, è un camaleonte. Era contro l’euro e ora è pro euro, era contro la NATO e ora è pro NATO. La verità è che il fatto che l’avessero dipinta come una fascista l’ha aiutata, perché poi la gente ha visto che era una persona normale. Ma Meloni non fa nulla, non è che faccia qualcosa di buono o di cattivo, semplicemente non fa nulla. Dopo tre anni, un tempo enorme in Italia, cosa ha fatto? Il mio Governo in meno tempo ha fatto persino troppo, e ha commesso alcuni errori, ovviamente. Loro sono bravi solo sui social.
Meloni va d’accordo con Ursula von der Leyen, che lei neppure apprezza molto.
Meloni in Europa è la migliore alleata di Von der Leyen. Io penso che Von der Leyen sia un’incompetente. Ha sbagliato con il Green Deal, perché per proteggere l’ambiente non ha senso limitare le imprese in Italia, Spagna o Germania e farle trasferire in India e Cina; ha sbagliato anche sul posizionamento dell’Europa, sull’intelligenza artificiale…
E che opinione ha del ruolo dell’Italia in Europa? È uno dei pochi governi europei con stabilità.
Se facciamo un paragone calcistico, abbiamo fallito un rigore. Abbiamo un Governo stabile, la Francia no. Il contrario di quanto è sempre accaduto. Con questo Governo avremmo potuto essere leader europei, ma Meloni non ci è riuscita. Non ha ottenuto nemmeno buoni risultati economici perché la Spagna, che ora è molto più instabile, ha un tasso di crescita cinque volte superiore in termini di PIL. È come se una Spagna-Italia finisse cinque a uno. Non è un gran risultato.
Von der Leyen ha seguito Meloni anche nel suo piano di deportare i migranti in Albania, che è stato un fallimento. Quando lei era al governo, esisteva l’Operazione Mare Nostrum, che ha salvato migliaia di persone. Ora è un’Europa più spostata a destra. Cosa dovrebbe fare l’UE in materia di immigrazione?
Il problema non sono le persone che necessitano di essere salvate in mare. Bisogna salvarle. La vera questione è garantire il rispetto della legge per chi arriva. Non è un problema di passaporti, ma di applicare il rispetto delle regole a tutti. La sinistra è troppo debole sulle questioni di legalità. Dobbiamo essere molto fermi nel dire che chi sbaglia deve pagare. Che siano di Firenze, Madrid, Senegal o Connecticut, non mi importa quale sia il loro passaporto. Mi importa che se rispetti le regole, bene; se non le rispetti, paghi. Questa è la questione. Che cosa fa Meloni, l’influencer? Una campagna d’immagine in Albania, spendendo 800 milioni di euro per un centro per migranti dove non va nessuno. Però sembra la donna che ha risolto il problema dell’immigrazione. Ovviamente, non è vero.
Il titolo della sua sessione al forum di Barcellona è Quo vadis Europa? Dove va l’Europa? Il rapporto Draghi, un anno fa, parlava di moltissime cose che si potevano fare, e se ne è applicato solo l’11%.
La questione è molto semplice. Quo vadis Europa? Da nessuna parte. Perché è ferma. La domanda non è dove va, ma perché è ferma. E la sfida è sapere dove dobbiamo andare. Mario Draghi ce lo ha detto, così come Enrico Letta, con un altro rapporto importante. Il problema è se la gente ha voglia di farlo. Von der Leyen non sta facendo ciò che è necessario.
E perché non c’è voglia? In teoria, c’è una maggioranza che è d’accordo.
Non c’è perché manca la politica, perché l’Europa è diventata la casa della burocrazia. Questo è il nostro problema oggi. Dobbiamo trasformare l’Europa nel luogo della politica, cioè far sì che le cose accadano, e non solo discutere di questioni tecniche.
Come superare l’ostacolo delle decisioni all’unanimità?
Dobbiamo creare un’Europa a due velocità, dove chi vuole avanzare, avanza e chi non vuole resta indietro. Certo, abbiamo permesso a persone come il primo ministro ungherese Viktor Orbán e a Paesi come il suo di appropriarsi del nostro denaro, delle nostre tasse, per ricostruire il loro Paese, e poi farci la morale e lamentarsi dell’Europa. L’ho detto a Orbán nel 2015: se vuoi lamentarti di ciò che fa l’Europa mi sta bene, ma almeno smetti di prendere i soldi degli italiani per mandare avanti l’Ungheria.
In ogni caso, sembra che l’UE abbia preso almeno una direzione chiara con il piano di riarmo. Che opinione ha di tutti questi investimenti nella difesa?
Vorrei vedere cosa succede davvero. Per ora, mi sembra solo chiacchiera. Il problema non è spendere di più, ma meglio, nella difesa. Stiamo investendo in sistemi troppo antiquati, ci manca coordinamento e non colleghiamo ciò che è fondamentale: la finanza con la difesa. La difesa, con un ecosistema di capitale di rischio, può produrre risultati straordinari. Non dimentichiamo che così è nata internet.
Quando lei era presidente del Consiglio, nel 2014, la Russia si è annessa la Crimea ed è scoppiata la guerra nel Donbass. Immaginava che saremmo arrivati dove siamo oggi?
No, ora dobbiamo prendere un’iniziativa diplomatica europea, almeno essere un attore chiave insieme a Trump. Prima o poi Russia e Ucraina devono arrivare a un accordo. La domanda non è se lo faranno. La domanda è quando.
Lei è amico e ammiratore di Tony Blair, protagonista nel piano di pace di Trump per Gaza. È uno scenario molto incerto. Che ruolo può svolgere l’Europa?
Credo che Blair sia stato decisivo. E con lui Jared Kushner. Dobbiamo riconoscere il loro lavoro straordinario, così come quello dei leader arabi. Per me, ciò che è fondamentale in questa vicenda è che l’Europa non si preoccupi solo di avere un ruolo nella ricostruzione, ma anche nella gestione politica. Quello che sta accadendo in Medio Oriente è la vittoria dei dirigenti arabi riformisti e moderati contro gli estremisti islamici di Hamas, Hezbollah e gruppi guidati dall’Iran. La vera guerra che si conclude con Gaza non è solo quella tra Israele e Palestina, ovviamente, ma una interna al mondo arabo, dove per dieci anni gli estremisti hanno cercato di impadronirsene. E se riteniamo che i riformisti abbiano vinto, siamo di fronte a un evento politicamente storico, a un cambio d’epoca.
Come si sconfigge quest’ondata di populismo di estrema destra crescente in Europa e nel mondo?
Creando nella sinistra non solo l’area più ideologica, che va benissimo che esista, ma anche il settore riformista. Altrimenti, ragazzi, non vinceremo mai.
Questa settimana Marine Le Pen ha detto che, in realtà, ciò che invidia di Meloni sono i fondi europei che, dice, pagano loro.
E ha ragione. Meloni parla male dell’Europa dopo che le hanno salvato i conti. Si opponeva ai fondi del PNRR, nati nella pandemia con il fondo Next Generation EU e ora, grazie a quelli, ha un PIL positivo, anche se la Spagna li sta usando meglio. Ma questo è tipico di Giorgia. La conosco da quando eravamo ragazzi.
Come vede la Spagna dall’Italia?
Da lontano, tutto sembra sempre andare male. La verità è che la dinamica interna della Spagna è molto difficile da capire dall’esterno. Diciamo che Pedro Sánchez è stato molto machiavellico, per usare un’espressione italiana, nel riuscire a formare governi e maggioranze quando non aveva numeri sufficienti. In questo è stato bravo, con molta abilità politica, ma non mi metto nelle dinamiche di altri Paesi. Mi bastano i guai che ho a casa mia.
