Intervista di Roberto De Ponti, "Corriere Fiorentino", 17 settembre 2022.
Matteo Renzi, come ci si sente a fare una campagna elettorale da mezzala, lei che ha sempre preferito giocare da centravanti?
«Benissimo. Parlo di cultura, terzo settore, dissesto del territorio, sanità: sono gli argomenti per cui ho iniziato a fare politica. E siccome credo nel progetto ho fatto volentieri un passo indietro per farlo partire. Faremo un grande risultato, a cominciare da Firenze».
Quanto durerà la sua alleanza con Calenda? C'è stato un tempo in cui non vi amavate moltissimo...
«Divido le dichiarazioni dai fatti. In alcuni talk del passato Calenda è stato molto duro contro di me. E mi è dispiaciuto anche perché non ho mai capito perché. Ma se ci basiamo sui fatti, anziché sui tweet, vediamo che abbiano sempre lavorato insieme. Industria 4.0, piano del Made in Italy, battaglia in Europa, la richiesta di un termovalorizzatore per Roma, il Jobs Act: sulle cose da fare siamo sempre stati d'accordo. Contano i fatti; non le chiacchiere».
Se il matrimonio tra Calenda e Letta fosse durato più di tre giorni, lei avrebbe dovuto fare i conti con il quorum.
«Al contrario. Proprio il fatto che loro avessero fatto l'accordo ci stava dando la certezza del quorum: tutti i sondaggi ci hanno visto salire al 4-5% in una settimana. Perché saremmo stati liberi di fare una campagna controcorrente e coraggiosa. Ma avere al nostro fianco Calenda e Azione vale doppio. È un progetto che dà cittadinanza a chi non vuole finire alleato dei populisti. E stando insieme diamo respiro e futuro a questa scommessa».
Italia Viva non ha mai preso in considerazione l'ipotesi di allearsi con il Pd? O è il Pd che non ha mai voluto?
«Il Pd ci ha cacciato prima ancora che potessimo discutere. Lo ha fatto per il noto risentimento personale di Enrico Letta, che ha detto ai giornali: "Italia Viva ci fa perdere voti". Non la pensava così un anno fa, quando telefonava costantemente a Scaramelli per chiedergli i voti necessari a essere eletto a Siena. Oggi invece ha pensato di vendicarsi per il 2014, ma facendolo ci ha risolto un problema. Pensava di farci fuori e grazie a lui siamo rinati. Il 26 settembre gli invierò un mazzo di fiori con un bigliettino e scritto "Grazie"».
Non ha mai pensato di chiedere il copyright per il suo «stai sereno»? Persino La Russa l'ha rievocato...
«Magari, ci avrei fatto un sacco di soldi...».
Oggi siete il terzo polo, ma l'appellativo «terzo polo» non ha mai portato grande fortuna a chi se n'è appropriato. I sondaggi pubblici dicevano che in realtà voi sareste il quarto, di polo...
«Può darsi che siamo il secondo, il terzo, il quarto o il quinto. Ma abbiamo un presente: se facciamo il 10% saremmo decisivi. E soprattutto abbiamo un futuro. Se anche fossimo sotto il 10%, avremmo piantato un seme. Nel 2024 ci presenteremo in Europa con la lista Renew Europe e saremo sicuramente in doppia cifra. E poi se ci sarà la riforma costituzionale con l'introduzione del ballottaggio per l'elezione diretta del "sindaco d'Italia" nel 2027 torneremo maggioranza. Il nostro è un progetto di lungo respiro. Lo avevamo lanciato alla Leopolda tre anni fa. È stato azzoppato dalle indagini giudiziarie di cui ho parlato ne Il Mostro. Ma abbiamo tempo, coraggio e forza per portarlo avanti».
Ha ragione Letta nel sostenere che il voto utile è necessario, e che non votare Pd significa far vincere la destra?
«Enrico dice il falso. Quando hai quattro schieramenti, non due ma quattro, il voto utile non esiste. O meglio: tutti i voti sono utili. Se è costretto a rifugiarsi dietro il voto utile significa che nemmeno lui crede in ciò che propone. Facciamo un riepilogo?».
Facciamolo.
«Allora: chi vota per il Pd, elegge Di Maio e Fratoianni; chi vota destra, elegge Salvini e Meloni. Chi vota noi, elegge Calenda e Renzi. Se votate destra governa la Meloni. Se votate il centro, proveremo a riportare Draghi. Già una volta ci dicevano che era impossibile, eppure...».
Draghi però ha appena detto «no» alla possibilità di un secondo incarico da premier.
«E che cosa avrebbe dovuto dire? Sono a disposizione? Fa benissimo a non entrare in campagna elettorale. Sappiamo tutti che la differenza la farà, e l'ha fatta, solo la chiamata di Mattarella».
È vero però che la legge elettorale dà un grande peso ai collegi uninominali, dove viene premiato solo un vincitore: sembra fatta apposta per esasperare il bipolarismo, non terzi o quarti poli.
«Con quattro poli i collegi uninominali sono importanti ma non decisivi. Le ricordo che anche la volta scorsa con il Rosatellum gli schieramenti erano tre, non due».
I padri di questa legge elettorale così criticata siete lei e Rosato: Letta vi imputa anche questa colpa.
«Ancora un'ossessione personale di Enrico. La nostra legge elettorale, quella su cui ho messo la fiducia, si chiamava Italicum e prevedeva il ballottaggio. Dopo che abbiamo perso il referendum, il governo successivo - con Gentiloni e Finocchiaro, ambedue esponenti del Pd - ha messo la fiducia su questa legge elettorale, sostenuta anche da Salvini e Berlusconi. Prende il nome da Rosato perché Rosato era capogruppo del Pd. Ma ormai Letta fa tenerezza: mi accusa di qualsiasi cosa. Fra poco mi riterrà responsabile anche del buco dell'ozono».
Qualche suo vecchio amico rimasto nel Pd, giusto per non fare nomi l'ex ministro Lotti, alla fine si è trovato escluso dalle candidature. Lei è ancora convinto che si sia trattata di una ritorsione contro gli ex renziani?
«Non metto bocca nelle vicende interne degli altri partiti».
Parliamo del suo, allora: su quali punti si basa il programma politico della sua coalizione?
«Sanità: siamo gli unici a dire che servono 37 miliardi di euro per il Mes. Gli altri si sono dimenticati di infermieri, dottori, liste di attesa».
Continui.
«Cultura: siamo gli unici che parlano di investimenti educativi. Mentre la Meloni candida il Tremonti di "con la cultura non si mangia", noi diciamo che per ogni euro speso in sicurezza, dev'esserci un euro speso in cultura».
Altro?
«Ambiente: rilanciamo domani il progetto di Renzo Piano "Casa Italia" per il rammendo del territorio. Sulle questioni economiche, dalle tasse ai posti di lavoro, noi portiamo risultati, gli altri vivono di slogan».
E questi punti vi avvicinano più al programma del centrodestra o a quello del centrosinistra?
«A nessuno dei due. Io penso che un moderato, che votava Berlusconi, non possa riconoscersi nella Fiamma. E penso che un riformista, di quelli del 40%, non possa votare Di Maio e la sinistra estremista. Questi due mondi, più o meno in egual misura, faranno il successo di Italia Viva sul serio».
I sondaggi dicono che avete eroso più voti al Pd che non a Forza Italia o alla Lega. Era quello che immaginava, oppure sperava in uno sfondamento a destra?
«I dati dicono che stiamo prendendo in maniera equivalente a sinistra come a destra. E in più recuperiamo delusi e potenziali astensionisti».
Andiamo al 26 settembre. L'Italia avrà scelto chi deve governare e ci sarà una maggioranza pronta a costituire un governo. Azione e Italia Viva a quel punto che cosa faranno? Che genere di opposizione?
«Civile. Sui contenuti. Non ideologica ma opposizione».
Del Pd lei è stato segretario e premier. Che effetto le fa vedere, come ha raccontato il «Corriere Fiorentino», che nella Casa del Popolo di Vie Nuove, ai suoi tempi una roccaforte dem, molti elettori storici del Pd dicano di essere pronti a cambiare partito perché «il Pd non è più il partito dei lavoratori»? L'accusa, nemmeno velata, è che questa deriva sia cominciata durante la sua gestione. Un signore anziano ha detto: «Il Pd è come la Dc, che cosa c'entra con la sinistra?».
«Rispondo dicendo che il Jobs Act ha creato un milione e zoo mila posti di lavoro, la metà a tempo indeterminato. L'unica forza politica che in qualche modo lo rifiuta è un partito che ha cambiato nome e ora si chiama Movimento 5 Stelle. Io non prendo lezioni da chi ha svenduto la propria identità, io ho abbassato l'Iva per il ceto medio. Loro sono bravi a chiacchiere, noi con i fatti. Quanto a Vie Nuove, sono pronto a un dibattito, a discutere con Letta faccia a faccia quando vuole, con o senza occhi di tigre».
Da premier, ha rimarcato Letta, lei aveva promesso interventi a Piombino con bonifiche e rigenerazione del territorio che poi non si sono mai viste. Sempre Letta, si è sentito di chiedere scusa ai cittadini per lei, anche se lui allora era «distante centinaia di migliaia di chilometri».
«Ennesima bugia. Letta o non sa o non capisce, e conoscendolo penso che non sappia. Quando il mio governo ha messo a disposizione 50 milioni per Piombino, ha anche indicato un commissario straordinario, l'allora governatore Enrico Rossi, per evitare intoppi burocratici. Se i soldi non sono stati spesi, Letta non deve chiedere conto a me, ma a Rossi, il suo candidato a Siena. Mi sembra un franco tiratore, Letta: attacca Rossi, attacca il Jobs Act, scritto da Tommaso Nannicini candidato del Pd a Prato. Contento lui...».
Piombino è tema di campagna elettorale. Voi avete preso subito posizione a favore del rigassificatore. Ma non avete esagerato aggiungendo «anche a costo di militarizzarli»?
«Non è esagerato. Per fare il Tap abbiamo dovuto militarizzare. Dopodiché sono convinto che gli abitanti di Piombino siano ragionevoli e che l`esercito non serva».
L'aeroporto di Peretola è sempre stato uno dei suoi cavalli di battaglia, così come la stazione dell'Alta Velocità a Firenze. Ma quanto deve ancora aspettare la Toscana per cominciare ad avere infrastrutture all'altezza?
«Chi vota Pd vota contro l'aeroporto, la candidata del Pd Cucchi è stata chiara, così come è stata chiara a favore dell'aeroporto la nostra candidata Saccardi, vicepresidente della Regione. Ma un elettore del Pd come fa a votare contro l'aeroporto? Così si fa crollare anche l`aeroporto di Pisa. Poi si andrà tutti a Bologna».
Un pronostico: la coalizione che vince durerà? Oppure ci ritroveremo a breve con una nuova crisi di governo?
«Non sono un indovino. Penso che se la politica ha un senso conviene a tutti fare le riforme e fare finalmente un passo avanti verso il sindaco di Italia».