Colloquio con Francesco Bei, "la Stampa", 28 gennaio 2020.
Matteo Renzi te lo ritrovi di solito dove non lo aspetti. Come lo scorso agosto, quando sorprese tutti e divenne il principale sponsor di un governo insieme a quei grillini che fino al giorno prima aveva trattato (ricambiato) come la peste. Così anche oggi, mentre tutti lo danno intento a tramare contro Giuseppe Conte per sostituirlo con qualcun'altro, magari Dario Franceschini, il "senatore semplice di Scandicci" ti sorprende: «Certo che Conte deve andare avanti, assolutamente. Non saremo noi a fare polemiche su questo. A patto che il governo alzi il suo tasso di riformismo, altrimenti faremmo un grande regalo a Salvini».
All'indomani del voto in Emilia e Calabria, il leader di Italia Viva offre tre chiavi di lettura del risultato. La prima riguarda il Movimento Cinque Stelle, che «va peggio del previsto», segno di un «declino inesorabile».
Un avvitamento che può far saltare il governo e riverberare i suoi effetti sulla legislatura? Niente affatto, anzi: «Si apre un'opportunità vera per imporre al governo un'agenda riformista. E la legislatura resterà in piedi, anche perché dove vanno? Non credo che i Cinque Stelle abbiano tutta questa fretta di tornare a casa».
La seconda riflessione investe il Pd, che «a questo punto si trova a un bivio e deve scegliere se essere un partito riformista oppure no». È proprio il declino dei Cinque Stelle, per Renzi, a «caricare il Pd di questa responsabilità» e il terreno per misurare queste scelte di Zingaretti è molto concreto: «Finora lo schema è stato questo: i Cinque Stelle facevano i populisti, io lottavo contro di loro e il Pd stava nel mezzo. Ma adesso sulle concessioni che facciamo? Facciamo pagare Autostrade di più, anche molto di più, oppure continuiamo a parlare di una revoca che giuridicamente non sta in cielo né in terra? Oppure sulla prescrizione, che si fa? Noi questa settimana votiamo in aula il progetto di legge di Enrico Costa e manteniamo i nostri emendamenti al decreto Milleproroghe. Speriamo che il Pd rafforzi la sua identità riformista, saremmo i più felici di questo, ma sia chiaro che non faremo sconti».
Il terzo fenomeno messo in luce dal voto di domenica riguarda invece il centro e quell'area «liberaldemocratica e riformista» dove Italia Viva ambisce a collocarsi. «Forza Italia ha toccato percentuali incredibili, in Emilia sta al 2,6 per cento. Questo apre per noi scenari fantastici, abbiamo davanti una prateria».
Anche perché il Pd, per Renzi, ancora deve capire cos'è. «Un soggetto che va dalle Sardine a Leu?». Be', ma comunque ha vinto e anche bene in Emilia e pure in Calabria, nonostante la sconfitta di Callipo, è il primo partito. «Invito a non sottovalutare il fatto che in Emilia si vince grazie al riformismo di Bonaccini, mentre nello stesso giorno c'è una sconfitta severa in Calabria. Non bisogna dormire sonni tranquilli, perché Salvini è ancora fortissimo e sarebbe un errore enorme sottovalutarlo».
Il compito di Italia Viva sarà dunque quello di un pungolo, «perché non si facciano errori che farebbero solo il gioco di Salvini. La ricetta giusta è più pragmatismo e meno ideologia, più buon senso e meno populismo». E se le cose andranno così, Italia Viva pensa di poter coprire uno spazio importante anche in Italia, «come En Marche in Francia o Kadima anni fa in Israele. È una scommessa ma il progetto sta marciando. E il prossimo week end a Roma faremo la nostra prima Assemblea Nazionale».
Quanto a Nicola Zingaretti, che a caldo ha salutato la vittoria in Emilia come un voto che ha definitivamente archiviato la sconfitta del 4 marzo (quando al Nazareno c'era Renzi), l'interessato fa spallucce: «Non capisco perché fanno polemica. Sono al governo grazie al voto del 4 marzo 2018 e all'operazione di agosto. Fosse stato per loro oggi avremmo dato i pieni poteri a Salvini, altro che storie».
Infine, ancora l'Emilia. Visti i risultati, non c'è un filo di rammarico a non aver fatto debuttare la lista di Italia Viva proprio lì? Renzi rivela un retroscena. «È stato Stefano, che per me è un fratello, a chiedermelo. È venuto a Firenze, siamo andati a pranzo, e mi ha chiesto di non presentare la lista per evitare tensioni con il Pd. Ma in Toscana ci saremo e anche in Puglia. Contro Emiliano».