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Massardo: "Subito una no tax area regionale"

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Intervista di Matteo Macor, "Genova - la Repubblica", 10 settembre 2020.

Né «il sovranismo di destra», né «il populismo di sinistra». Né «il modello privato lombardo», né «la sanità iper-pubblica a tutti i costi». Né «la mancanza di visione di questi cinque anni di governo regionale di centrodestra», né «le proposte non sostenibili dell'attuale sinistra». Ha trovato l'unica strada percorribile nel "mezzo", Aristide Massardo, candidato sostenuto da Italia Viva, +Europa e Psi alle Regionali in programma tra 10 giorni. Il primo dei candidati a uscire allo scoperto, a lungo in lizza per diventare il candidato comune di Campo progressista e M5s e oggi terzo incomodo tra i due principali sfidanti al voto, l'ex preside della Scuola politecnica di Genova presenta la sua proposta ospite della redazione di Repubblica, nel secondo forum pre elettorale.

Sondaggi alla mano difficilmente troverà un seggio in Consiglio regionale, avendo rinunciato al posto di capo lista (entrerebbe solo arrivando primo o secondo tra i candidati presidente), ma «da questa esperienza - fa capire Massardo - potrà nascere e continuare un percorso politico importante».

Professore, dalla cattedra è passato a eventi di campagna elettorale, tribune politiche, scontri a distanza tra candidati. Che regione ha scoperto, in queste settimane?
«Un territorio che solo in questi giorni, dopo la pausa mentale di agosto, è tornato con l`attenzione sui temi che contano. Molte persone che, anche complice tutto il tempo perso sui nomi e sugli equilibri di partito, si sono distaccate dalla politica. E soprattutto tanti problemi: dalla riapertura delle scuole al deficit infrastrutturale che ci ha rovinato l'estate, dai 90mila posti di lavoro a rischio al rischio idrogeologico».

Nulla di nuovo, in realtà..
«Sì, problemi ai quali però la politica fino ad adesso non ha saputo, voluto rispondere. La sensazione è che in questi anni la politica sia diventata una rincorsa all'evento o all'inaugurazione, un continuo indossare giubbini e caschetti da cantiere per mettersi in mostra. Il presidente Toti ha inaugurato ogni singolo pilone del nuovo ponte sulla Valpolcevera. Era il caso?».

Pensa che la partita sia così chiusa come pare dai sondaggi? Toti sta puntando tutto sul presentarsi già come il presidente bis in pectore.
«Una strategia, legittima ma sgradevole, arrogante, molto poco rispettosa. Solo il fatto che stia sfuggendo alle richieste di confronto con gli altri candidati, penso sia gravissimo. Se anche avesse il 90 per cento dei voti, non vorrebbe dire aver ragione su tutto. L'idea stessa di democrazia prevede il confronto di idee, anche di chi è in minoranza».

Quale sarà, anche alla luce di questo modo di vedere la politica, il suo vero obiettivo di questo tentativo elettorale?
«Io ho fatto una scelta personale, con l'idea che nella politica andrebbero messe in gioco le persone che hanno competenze. Non mi importa avere un posto come tanti altri, troppi candidati, non mi sono neanche messo in lista, ho già un mio lavoro che mi piace e mi fa guadagnare bene. Ma ho voluto costruire una lista di persone competenti, sia quelle in arrivo dai partiti, sia quelle della società civile, per provare a portare sul territorio una certa idea di riformismo. Lontana dalla destra sovranista antistorica e antieuropeista che ha fatto già troppi danni, ma anche da una certa sinistra fuori dal mondo, per cui tutto quello che è diverso dalle proprie idee è il male».

L'impressione, seguendo la campagna elettorale del suo principale sponsor politico, ltalia Viva, è che il vostro bersaglio principale sia più il centrosinistra che il centrodestra. Dove li cercate, i voti?
«Il voto non olet, come si suole dire. Da una parte c'è questa destra, dall'altra la scelta di un candidato come Sansa ha spostato fortemente il centrosinistra verso sinistra. Noi siamo moderati, nel senso di riformisti che pensano di poter cambiare le cose con gli strumenti a disposizione, non con urla o proclami. E i voti li cerchiamo in una vasta area moderata composta da elettori delusi. Dalle parti dal centrosinistra in particolare da partiti che si sono buttati sull'antipolitica, su un populismo di sinistra che tutto sa tranne che di nuovo».

Attaccando così tanto il centrosinistra, vi accusano, non rischiate di fare il gioco di Toti?
«L'obiettivo è portare consiglieri in Consiglio regionale non per fare finta opposizione, ma per proporre idee su cui coagulare forze e spazi, a destra come a sinistra, non avanzare proposte tanto per fare. Voglio credere che portando progetti e iniziative in Regione, qualcosa possa servire. Detto questo, io rappresento una coalizione di più partiti, e ognuno di loro è naturale faccia anche in Liguria la propria politica in chiave nazionale».

Lei lavora in università, in questa campagna elettorale sono stati messi al centro i giovani. Pensa di poter cambiare un po' le cose, anche con numeri così bassi come quelli che vi attribuiscono i sondaggi?
«Sì, ad esempio rivoltando le proposte che vedo fare da altri candidati. Io non mi preoccupo che i giovani se ne vadano dalla Liguria, ma che non ritornino. Conosco bene l'importanza di fare esperienze fuori regione, il problema è che questa terra è un corpo statico. Statica vuoi dire stato morto, in cui non c`è nulla, dove manca quel disequilibrio necessario per generare cose nuove, positive».

Cosa servirebbe, per generare movimento positivo? Le realtà ci sarebbero, da hub come Wylab, incubatore di startup.
«In Liguria, il problema delle startup è duplice. Da una parte, siamo pochi. Dall'altra manca un tessuto in grado di garantire a startupper e giovani imprese di avere finanziamenti costanti e spazi. Spazi non tanto "fisici", ma culturali. La Liguria, terra di industria e partecipazioni statali, dovrebbe averli. E invece la Regione se ne disinteressa. Non ha mai lavorato per creare una cornice dove permettere agli imprenditori di lavorare».

Come superare questa mancanza di sensibilità?
«Servono prima di tutto infrastrutture, fisiche e "mentali", e serve ritarare il sistema. Filse, ad esempio, va rigirata come un calzino. L`omologa piemontese è una macchina da guerra, hanno varato il fenomeno Easy Park, portato lavoro e soldi sul territorio. La nostra finanziaria per lo sviluppo economico invece di attrarre finanziamenti è un collo di bottiglia, con cui la Regione decide come spenderli. E poi andrebbe creato un sistema di integrazione tra le tante multinazionali che abbiamo in casa, da Siemens a Abb o Hitachi fino a Fincantieri e Ansaldo Energia. Quello che per il momento non succede, a dir la verità, neanche con Iit. Una monade lontana da tutto, la cui opera di "fertilizzazione" sul territorio rimane purtroppo molto limitata».

Sulla sanità si gioca tanto di questa tornata elettorale. Che tipo di gestione avete in mente?
«Vanno utilizzati immediatamente i soldi del Mes. Un miliardo per rimettere in funzione e rendere moderni il sistema infrastrutturale del settore, gli ospedali che mancano. Penso al Felettino, assurdità di una città come Spezia dove ancora pochi giorni fa era chiuso il Cup, sei mesi dopo il lockdown. All'ospedale della Valpolcevera, a Pietra ligure o all'ampliamento necessario del Pronto soccorso del San Martino. In questi anni non c`è stata una visione, si è solo lavorato per privatizzare un settore e si sono lasciati scappare grandi professionisti. Dall'altra parte, però, non dimentichiamoci che una riforma della sanità deve essere anche sostenibile. Non è progettatile una sanità di prossimità da 6 miliardi».

Quale dovrebbe essere, per lei, il primo passo per cambiare un sistema con così tante falle?
«Una due diligente sulla sanità ligure, magari anche cara, qualche centinaia di migliaia di euro, ma che dia una fotografia reale del settore. E indichi la strada per far convivere nel modo giusto pubblico e privato. Privatizzare tutto è sbagliato, ma smantellare il privato e rendere tutto pubblico non fattibile. Se siamo arrivati a questo eccesso di privatizzazione, mi chiedo, è forse perché il pubblico non funzionava? Ognuno deve fare il suo, senza doppioni. Un ospedale oncologico privato oltre all'Irccs di San Martino, farebbe perdere attività pubblica fatta bene».

Cosa farà, il 22 settembre, se non arriverà a sedersi in Consiglio regionale?
«Non ho mai smesso di farlo, ho dato esami fino a pochi giorni fa, non ho codice a barre né bisogno di una poltrona. Abbiamo un capo lista di grande valore, Valter Ferrando, con cui portare avanti un progetto politico più ampio e a lungo termine, con sua visione nazionale, che a maggior ragione in questo momento di grande confusione nel Pd e nel M5s sono sicuro richiamerà in molti. Al di là del voto ligure».