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Referendum, Camillo D'Alessandro: "È una riforma che ci getta in un burrone"

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Intervista di Angelo Picariello, "Avvenire", 16 settembre 2020.

"La riforma Renzi non c'entra con questa proposta di riforma. Anzi, a dire il vero, questa non è nemmeno una riforma vera e propria. Ogni paragone con il taglio dei parlamentari che era previsto nell'ambito della riforma bocciata dal referendum del 2016 è improponibile". Così Camillo D'Alessandro, deputato di Italia Viva, vicepresidente della commissione Lavoro della Camera, motiva il suo No al referendum costituzionale.

Anche se Matteo Renzi ha preferito non schierare il partito. Perché lei è per il No?
Perché a fronte di una riduzione ridicola dei costi si lascia inalterato il sistema di funzionamento delle Camere, non si tocca il bicameralismo paritario, con il risultato che si taglia solo la rappresentanza. Altra cosa, imparagonabile, era la riforma Renzi che prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto, una sola Camera elettiva, la rivisitazione complessiva dei poteri tra Stato e Regioni che avrebbe superato il caos dei conflitti di competenza esploso, nella sua massima evidenza, con la pandemia, tra venti sanità regionali diverse e ordinanze last minute diverse da regione e regione, il trasporto pubblico in tilt.

Ma il Sì non potrebbe rappresentare un primo passo per riaprire quel cantiere bocciato dal referendum?
Il fallimento di questa proposta referendaria di taglio dei parlamentari sta nel fatto che, il giorno dopo, non sarebbe nemmeno applicabile. Tanto è vero che già parlano di correttivi futuri. Se per caso si dovesse tornare a votare e il Parlamento non facesse in tempo a varare un'altra fondamentale modifica costituzionale (occorrerà almeno un anno, un anno e mezzo, e in politica tutto può succedere) avremmo il paradosso, nelle Regioni medio-piccole, che con il 20% una forza politica non eleggerebbe un solo rappresentante al Senato. Sarebbe la fine della democrazia.

Meglio non fare danni, lei dice, se poi bisognerà aspettare che il Parlamento ponga riparo...
Io la definisco teoria del burrone: intanto ci gettiamo nel vuoto sapendo di cadere e poi si vedrà. Il punto è che le legislature passano, le leggi elettorali cambiano al cambiare delle maggioranze, la Costituzione resta.

Sullo sfondo però si intravede una questione politica, più che tecnico-costituzionale.
Una questione di "visione politica", direi. Quel che è in gioco è il cedimento culturale, sentimentale a chi alimenta il "popolo di Barabba" a cui dare in pasto, di volta in volta, una menzogna che mina il fondamento delle democrazie liberali, la rappresentanza. L'antipolitica di convenienza. Gli effetti saranno distorsivi. Con la riduzione del numero non ci sarà più spazio per novità, per investimenti sulla nuova classe dirigente, per i giovani. Un gruppo garantito si perpetuerà nel tempo. Di fronte a collegi grandi, i candidati si concentreranno nelle aree più densamente abitate, una grande parte del Paese non sarà rappresentata: i piccoli comuni e le aree interne non avranno alcuna possibilità di entrare in Parlamento. In particolare al Senato, con 200 componenti, cristallizzeremo l'instabilità e il potere di ricatto dei singoli. E già accaduto con la riduzione del numero dei componenti dei consigli comunali e regionali, dove poche unità detengono le sorti delle maggioranze.

Ma c'è stato un impegno, che ha dato il via libera a questo governo. Di cui siete parte, oltre che "promotori".
Ciò che tradiscono i sostenitori del Sì, almeno quelli di maggioranza, è il patto assunto con la nascita del Conte 2, che certamente prevedeva il taglio, ma con contestuali riforme, dai regolamenti parlamentari alla legge elettorale, alla modica costituzionale per la elezione al Senato. Riforme neanche avviate.