La notizia su "la Repubblica", in un articolo a cura di Cristina Nadotti, 3 luglio 2020.
Una certificazione che attesti l'impegno dell'azienda nel garantire la parità di genere. Tra le proposte elaborate dalla équipe al femminile "Donne per un nuovo Rinascimento", voluta dalla Ministra per le Pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, c'è l'indice di inclusione, così come spiega oggi, in un approfondimento, il quotidiano "la Repubblica".
Il documento elaborato dal gruppo, del quale fanno parte imprenditrici, docenti universitarie, scienziate, lo definisce «uno strumento semplice, veloce, snello e oggettivo», per misurare «la situazione interna del personale nelle organizzazioni sulle diverse dimensioni».
Si tratterà, insomma, come spiega il quotidiano, di un indice che servirà a misurare se l'azienda assume donne e uomini in parti uguali, se li restribuisce nello stesso modo e se al suo interno le possibilità di carriera sono le stesse.
Spiega la Ministra Bonetti a "la Repubblica": «Ormai le aziende hanno capito che riconoscere e attuare le politiche che garantiscano la parità di genere serve a far crescere le imprese. La trasparenza sulle reali pari opportunità nel lavoro non fa bene soltanto alle donne, ma alle strutture in cui lavorano, perché significa che le risorse sono valorizzate meglio».
La Ministra Bonetti spiega che l'indice di inclusione sarà paragonabile alle certificazioni verdi o bio in alcune aziende, strumenti «capaci di stimolare il cambiamento e di riverberare effetti nell'intero sistema produttivo e sociale».
La necessità di un indice appare evidente nei numeri che aprono il documento, come spiega "la Repubblica": dal documento della task force, si evince che "nel 2018 il tasso di occupazione femminile in Italia, prendendo in esame la popolazione tra i 15 e i 64 anni) è stato del 49.5%, contro il 67,6% maschile. La parità non c'è, ma la disparità è ancora maggiore quando si parla di salario, poiché le donne guadagnano in media il 10% in meno. Soprattutto, difficilmente riescono a raggiungere posizioni apicali e quando diventano manager e amministratori delegati non ricevono gli stessi compensi degli uomini. La percentuale di donne in posizioni manageriali in Italia è del 27% del totale dei manager e nelle posizioni apicali le differenze di reddito sono più elevate, pari a circa il 23%. Questo anche perché le donne sono meno presenti nei settori più remunerativi: in altre parole, se le donne sono il capo, in genere lo sono in aziende meno grandi e meno di prestigio rispetto ai colleghi maschi. Qualcosa è cambiato con l`introduzione delle quote di rappresentanza nei consigli di amministrazione e collegi sindacali delle società quotate, dove le donne rappresentano oggi il 37% dei membri, un incremento tra i più significativi in Europa. Ma proprio il fatto che quel misero 37% sia un passo in avanti, dimostra quanto svantaggiato fosse il punto di partenza. E poi c'è la maternità vista come un handicap: secondo 1`Istat una donna su tre lascia il lavoro alla nascita del primo figlio".
L'indice di inclusione non potrebbe da solo cambiare una situazione così disastrosa e infatti il documento insiste ancora su osservatori permanenti e, tra le altre misure, su proposte concrete come l'istituzione di un conto corrente e strumenti finanziari gratuiti per ciascuna donna al compimento dei 18 anni di età, iniziative utili per promuovere l'indipendenza finanziaria.
La Ministra Bonetti ha specificato al quotidiano che l'adesione delle aziende all'indice di inclusione sarebbe volontaria. «Voglio battermi per introdurre incentivi finanziari per le imprese che lo adotteranno - ha spiegato la Ministra Bonetti a "la Repubblica" - come la defiscalizzazione delle spese di formazione. Deve passare l`idea che i soldi investiti per la promozione della parità di genere portano vantaggi alle imprese».