Intervista a Raffaella Paita per «Il Secolo XIX» del 5-02-2025
di E. ROS.
«O le primarie o un nome nuovo ,autorevole, in grado di recuperare la visione di città internazionale che Genova non ha da tempo. Un nome come quello di Luigi Cocchi».
Raffaella Paita finora è stata in disparte, a osservare le vicende genovesi da Roma. Ora la senatrice e coordinatrice nazionale di Italia viva interviene per confermare l'adesione del suo partito alla coalizione, ma anche per proporre due possibili vie d'uscita dall'impasse. E sentirla parlare di primarie, dopo lo strappo del 2015 di cui fu protagonista (era candidata e vinse contro Sergio Cofferati, che non accettò il risultato e lasciò il partito tra mille polemiche), fa un certo effetto: «Lo dico io, bisogna che il Pd ligure superi quel trauma: facciamo esprimere il popolo del centrosinistra».
Senatrice Paita, Iv è ancora convinta di sostenere il centrosinistra a Genova?
«Mi faccia fare una premessa: in Parlamento stiamo lavorando per rafforzare l'opposizione al governo Meloni, Renzi si spende con molto vigore per questo: ci vuole un'alternativa, in questo paese, ad una premier che è ancora popolare, ma i cui problemi cominciano ad emergere. Un governo che condanna gli italiani alla crescita zero virgola e al crollo della produzione industriale e del potere d'acquisto del ceto medio, tra pressapochismo e balle gravi come quelle sul trafficante libico Almasri: perché non hanno detto chiaramente che c'è un interesse di Stato? Idem sui centri per migranti in Albania, un grande spreco di soldi. Di fronte a tutto questo è imperativo dare un filo conduttore per una proposta alternativa credibile e seria al paese. A cominciare dai territori».
Alle regionali abbiamo assistito ai veti sulle forze politiche, ora c'è la coalizione ma non un candidato che vada bene a tutti, perché?
«Dopo la sconfitta, che è stata tutta politica alle regionali, figlia dell'esclusione della nostra lista, ho chiesto un cambio di registro. Intanto nel capire che senza il centro non si vince. Ma soprattutto per convincere i genovesi ci vuole una idea di città che recuperi uno spirito nuovo eppure antico, quello di Pericu: un sindaco orgogliosamente riformista e democratico, civico, che senza fare della propaganda ha fatto sognare Genova con una dimensione nazionale e internazionale».
Nemmeno con la destra?
«Con Doria la città perse il sogno. E subentrò pure la rassegnazione. Bucci ha avuto il merito, con il suo piglio, di avere rinfuso uno spirito di orgoglio alla città e gliene do atto. Ma Genova non è più tornata ad essere protagonista in Italia, nel Mediterraneo, nelle sfide sull'intelligenza artificiale, con una grande funzione industriale. Eppure le qualità ci sarebbero».
Cosa serve, per una nuova proposta?
«Serve una nuova visione di città a partire dal nuovo piano regolatore portuale che deve integrarsi con l'impostazione urbanistica della città. Penso alla valorizzazione del centro storico e a un grande incubatore per le tecnologie del mare. Per questo non può bastare un Piciocchi che dica "vado avanti". Ma nemmeno avversari che dicano solo "facciamo tutto il contrario". Senza contare che con la destra al governo abbiamo un porto paralizzato da un anno e mezzo nonostante il lodevole lavoro dei commissari, una città che perde opportunità e manca la forza di dire "ora basta". Si deve innestare una discussione di cui ancora ho visto poco: i dieci punti della coalizione che ho visto vanno bene, Viscogliosi e Musso hanno fatto un gran lavoro. Ma sono generici, per un programma servono idee e proposte più forti».
Cosa dovrebbe fare il Pd in questa situazione di stallo e difficoltà?
«Il Pd ha tutto il diritto e tra virgolette anche il dovere di avanzare le sue proposte, ma quando la situazione si avvita in questo modo bisogna prendere una decisione. Mi lasci dire che considero tutti e tre i nomi in campo, Armando Sanna, Federico Romeo e Alessandro Terrile, proposte all'altezza. Ma se manca l'X factor della leadership, si può anche dire che si chiede agli elettori di contribuire».
Con le primarie? Proprio lei, Paita?
«Lo dico proprio io perché penso che sarebbe importante per tutti chiudere i conti con il fantasma del 2015, ricostruire la fiducia reciproca e superare quel trauma. È sbagliato dire "questo non mi piace", facciamo esprimere il popolo e diciamo chiaramente prima che chiunque vince avrà l'appoggio convinto di tutti».
Non è tardi? Al voto mancano circa cento giorni...
«Si possono organizzare in 20 giorni e nel frattempo lavorare ancora sull'idea di città, un collante che tenga insieme la proposta senza tentennamenti su temi come la Gronda o il Galliera, su cui siamo disposti a lavorare perché siano coniugati in maniera nuova e propositiva. Io credo che se puntiamo sul futuro possiamo vincere, recuperando uno spirito dei genovesi che è di orgoglio senza essere di arroganza».
E in alternativa?
«L'alternativa è trovare una figura capace di incarnare quell'idea di città, senza doverla costruire dal nulla. Intendo qualcuno che abbia per storia personale e capacità professionali, quelle garanzie di autorevolezza e di visione che servono».
Ma esiste una figura del genere a Genova?
«So che esiste. So che probabilmente non mi parlerà per aver fatto il suo nome ma lo dico con il cuore e la testa di chi ama Genova ed è stufa di tatticismi. Luigi Cocchi, presidente dell'ordine degli avvocati sarebbe un sindaco meraviglioso. Una garanzia di indipendenza e di attenzione allo sviluppo e alla crescita, ma anche ad ambiente e territorio».
E se invece la capacità di trovare questa figura non ci sarà?
«Noi siamo corretti, lo siamo stati sinora con il centrosinistra. Ma siccome pensiamo di essere capaci di offrire questa prospettiva ai genovesi, mi chiedo perché rinunciare al punto di vista del nostro popolo o a un nome così autorevole. Se me lo spiegano, lo capisco. Nel frattempo io ci metto idee e coraggio. Come sempre».