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Bellanova: «Morti sul lavoro, emergenza in Italia. Servono più controlli, rigore e metodo»

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Intervista a Teresa Bellanova sul Riformista

di Giacomo Guerrini

La tragedia di Firenze – dove quattro operai sono morti e uno è ancora disperso sotto le macerie causate da un crollo durante la costruzione di un supermercato Esselunga – porta nuovamente alla cronaca il dibattito sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta purtroppo di un costume ormai consolidato: indignazione, prese di posizioni solenni, minuti di silenzio per poi ricominciare esattamente come prima. Da giorni si dibatte su come invertire la rotta e garantire ai lavoratori in Italia condizioni dignitose e sicure per evitare il ripetersi di sciagure che ormai sembrano quasi all’ordine del giorno. Ma le morti sul lavoro non sono qualcosa di ineluttabile. Ne è convinta Teresa Bellanova, sindacalista prima e ministra poi.

Bellanova, cosa c’è che non va? Perché ciclicamente ci ritroviamo a piangere operai e lavoratori che muoiono mentre stanno compiendo il loro dovere?

«Sicuramente si deve fare di più e meglio. Non esiste nessuna morte bianca, non c’è nessun motivo plausibile perché nel 2024 si muoia di lavoro. Ogni tragedia è il riflesso di un mancato rispetto delle regole, che ci sono e vanno rispettate. Ed è molto grave, me lo lasci dire, che a perdere la vita in molti casi siano cittadini stranieri costretti a lavorare in nero per non essere regolarizzati nel rispetto della legge».

È sicura? Davvero tutti gli incidenti sono evitabili?

«Certamente! E lo dico con forza: si lavora per vivere e tutti hanno il diritto a fine turno di tornare a casa dalle loro famiglie. Ci sono le norme che vanno applicate, quella sulla sicurezza nei luoghi di lavoro è una buona legge. La formazione per lavoratori e imprenditori non può essere trascurata. E questo è un punto fondamentale. Sia chi presta la propria opera sia chi affida un lavoro deve essere a conoscenza di tutto ciò che serve per garantire la sicurezza. Non sono tollerabili distrazioni o, peggio ancora, omissioni consapevoli. Da qui si passa innanzitutto per garantire un quadro di certezza e dignità sui luoghi di lavoro».

Poi ci sarebbe il tema dei controlli.

«Se ci sono persone che manomettono i macchinari per accelerare i tempi di lavoro, se nei cantieri operano lavoratori in nero o addirittura immigrati sprovvisti del regolare permesso di soggiorno mi pare evidente che qualcosa non funzioni nel sistema di monitoraggio. Ci sono delle falle e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Occorrono più controlli, servono rigore e metodo. Non è più tollerabile che nel 2024 in Italia ci siano dei casi gravi di mancato rispetto delle più elementari norme di sicurezza».

Questo schema secondo cui un’opera può essere subappaltata a catena influisce? C’è un allentamento delle responsabilità?

«Ricordo che ai tempi del Governo Draghi si pensò a dei meccanismi che mantenessero la responsabilità in solido tra committente e subappaltante. È chiaro che un abuso di questo strumento porta a un indebolimento del sistema dei controlli con problemi evidenti. Meno relazioni ci sono tra le imprese che lavorano sulla stessa opera e maggiore è il rischio. Facciamo l’esempio di un soggetto che non ha portato a termine il suo compito e non lo comunica a chi dovrà intervenire successivamente: possiamo assistere a casi pericolosi in cui chi lavora rischia senza saperlo. Occorre che ci sia un legame saldo tra i vari soggetti che lavorano su un progetto ed è chiaro che più sono e meno sarà facile che ciò avvenga».

Senza fare classifiche che non avrebbero senso, non le sembra però che questo tema abbia perso di appeal? Penso al dibattito sul limite di velocità dei 30 km orari per salvare le vite dei pedoni e mi pare di non riscontrare niente di analogo per la questione della quale stiamo parlando. È così?

«Quella delle morti e degli incidenti sul lavoro è l’emergenza del nostro paese. Nessuno può voltarsi indietro, questa tema va posto nuovamente al centro dell’agenda politica e sociale. È inutile parlare di inasprire le pene se non si fanno rispettare le leggi. La certezza della pena e un quadro normativo certo e applicato fino in fondo sono le uniche armi per vincere questa guerra che ha già mietuto troppe vittime innocenti».

C’è chi ha proposto l’introduzione nel nostro sistema giuridico del reato di omicidio sul lavoro per sanzionare chi con il proprio comportamento causi tragedie. Che ne pensa?

«Questo è compito del Parlamento, che nel pieno delle proprie facoltà e delle proprie funzioni deciderà come riterrà più opportuno. Tuttavia ribadisco che più che l’inasprimento delle pene a mio avviso sarebbe utile garantirne la certezza e al tempo stesso operare in maniera costante perché le regole vengano rispettate».

Lei viene dal mondo del sindacato, è stata protagonista di lotte importanti. Pensa che i rappresentanti dei lavoratori abbiano perso potere? Potrebbero fare qualcosa di più?

«Si è indebolita la rappresentanza politica e possiamo dire sia accaduto altrettanto per quella sociale. Invece occorre un sindacato forte e autorevole che faccia sentire la voce dei lavoratori. Se io sono un lavoratore precario o, peggio ancora, un immigrato irregolare pagato a nero, sarà molto difficile che decida di denunciare chi mi paga per condizioni di lavoro non accettabili; cercherò di portare a casa la giornata e mantenere il mio posto. Insomma è impensabile che operai sfruttati o peggio ancora immigrati in condizioni di irregolarità denuncino situazioni allarmanti. Per questo c’è bisogno di un sindacato forte, autorevole e vigile. Sono i rappresentanti dei lavoratori che possono, in una situazione di parità e non di subalternità, costringere imprenditori che cercassero di eludere le regole di tornare nell’alveo della legalità».