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Migliore: "Le buone ragioni per una svolta maggioritaria"

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L'intervento pubblicato dal quotidiano "il Foglio", 25 agosto 2020.

La riflessione di Goffredo Bettini sul destino di Renzi come federatore del "centro" è stimolante ma, a mio parere, non convincente. Non mi convince, innanzitutto, l'ennesima riproposizione dello "schema a tre punte" di cui parlava Bersani, all'epoca della sciagurata foto di Vasto.

Una sorta di ossessione per l'alleantismo, tenuto insieme dall'essere contro, che ha spesso caratterizzato il dibattito interno del Pd. Una via di fuga dalla definizione di un progetto politico strutturato a beneficio di un'identità (in)definita per contrasto: prima antiberlusconiani, oggi argine ai sovranisti.

A dire il vero, nella versione di Bersani c'era almeno la cornice maggioritaria e la dichiarazione di intenti di passare a una democrazia decidente, salvo poi rimangiarsi tutto e dedicarsi anima e corpo al fallimento dell'unico progetto riformatore della Costituzione portato avanti da Renzi.

Oggi, convivono senza imbarazzi la vocazione proporzionale (direi più una vocazione allo sbarramento alto), l'alleanza strutturale con il M5S e il tono paternalistico con cui ci si rivolge a Italia Viva: "Non picconate, potete crescere anche un po' se fate come vi diciamo noi". Da molti anni sostengo l'esigenza di una democrazia decidente, in cui si sappia chi ha vinto il giorno delle elezioni. Perciò non abbandono né l'aspirazione a una riforma strutturale della Costituzione, a partire dal superamento del bicameralismo paritario e introducendo l'elezione diretta del premier, né a a una legge maggioritaria che possa selezionare le alleanze in base ai progetti e che renda contendibile l'individuazione della leadership.

Non è un sogno, ma un programma su cui vale la pena spendersi e la controprova l'avremo nella tornata elettorale del prossimo anno, quando al voto ci andranno le maggiori città italiane, dove auspico che non vi debbano essere caminetti romani tra Di Maio e Zingaretti per decidere i candidati, ma che si possa dare spazio alla democrazia con le primarie.

Il secondo tema è sulla natura delle culture evocate. Bettini dice, mi scuserà la sintesi, fate la Margherita, magari anche allargandovi un po' di più a destra. Tesi che trova sostenitori anche tra i miei amici, come Davide Faraone sulle pagine di questo giornale. Ecco, a questo novello cuique suum non riesco proprio ad abituarmi. Il tema, a mio parere, è che non esiste più da tempo un'identificazione tra il dichiararsi di una parte politica e le culture politiche tradizionali.

Intendo dire che non è certo superata la distinzione tra destra e sinistra, ma che gli attuali contenitori politici sono attraversati da proposte di destra e di sinistra, se volessimo usare vecchi schemi concettuali, che rendono incerta tanto la classificazione, basterebbe chiedere a tanti ragazzi, che la ricerca del mitico "centro", diventato più un'opzione di stile comunicativo che una definizione politologica.

Il nostro compito è leggere la realtà che ci circonda, facendo più inchiesta sociale e meno ricorso al politicismo. I crinali su cui misurarsi sono la collocazione europeista, il profilo garantista, l'opzione della società aperta sia socialmente che sul piano economico. Se non ora, vorrei dire, quando? Quando mettere mano a una gigantesca rimessa in discussione delle proprie piccole rendite di posizione? Un luogo di discussione all'altezza di una nuova Epinay, per candidarsi a trasformare davvero il paese.

Anche perché, senza questo sforzo di elaborazione collettiva, anche spendere i miliardi europei diventerà un percorso a ostacoli, tra un reddito di cittadinanza e quota100 da conservare e altri soldi da impegnare nella furia statalizzatrice del M5S. A proposito, ma che c'entra il populismo grillino con il riformismo e poi, cos'è questa storia di dirsi riformisti senza fare né proporre le riforme? La sfida, spero non solo nostra, non è quindi quella di occupare uno spazio politico residuo, ma far rinascere il nostro paese, senza essere ossessionati esclusivamente dalla propria sopravvivenza politica.