Intervista di Savino Gallo, "il Quotidiano del Commercialista", 6 febbraio 2020.
Questa volta, è bastato un tweet per scatenare le reazioni dei commercialisti. Autore Luigi Marattin, deputato di Italia Viva, che tramite il popolare social network diceva di aver spiegato, nel corso di un'assemblea pubblica in Toscana, "perché fare la dichiarazione dei redditi senza più bisogno di un commercialista non solo è possibile, ma necessario. Fisco più semplice, e più leggero su chi lavora e produce". Dichiarazioni che molti hanno interpretato come un attacco alla categoria e che hanno addirittura portato al lancio di una raccolta di firme finalizzata a chiedere chiarimenti all'ex Consigliere economico del Governo Renzi.
Onorevole Marattin, ha saputo delle reazioni dei commercialisti? A molti è sembrato quasi che fossero loro i colpevoli delle "complicazioni" fiscali. Intendeva davvero dire questo?
"Si, ho saputo. Interpretazione piuttosto peculiare, devo dire. I commercialisti sono le principali vittime della complicazione, non i colpevoli. Diversi anni fa, ad un'assemblea dell'Ordine, affermai che lo Stato dovrebbe mettere a disposizione di ogni commercialista un supporto psicologico, per aiutarlo a orientarsi nell'incredibile giungla di complicazioni che il Fisco gli getta tra i piedi. So per certo che quella frase non è mai stata dimenticata, per quello sono rimasto perplesso quando il mio post dell'altro giorno è stata interpretato, da alcuni, in quel modo così assurdo".
Anche altri rappresentanti della politica hanno parlato di semplificazione e di contestuale eliminazione del commercialista. Perché questa equazione sembra così automatica? Perché semplificare il sistema fiscale deve per forza voler dire eliminare il commercialista?
"Ma chi ha parlato di eliminazione del commercialista? Io ho detto che sogno un sistema IRPEF talmente semplice che sia anche possibile per qualsiasi cittadino, se lo desidera, fare la dichiarazione senza commercialista. Era un termine di paragone ideale. Un Fisco più semplice è anche (e soprattutto) interesse dei commercialisti. O sbaglio?"
Senza dubbio. Costruito magari con il loro aiuto, mentre invece sembra esserci un deficit di ascolto. Spesso, quando si interviene sulla materia fiscale, lo si fa senza consultare la categoria, che vive sul campo le complicazioni del sistema tributario. Crede sia auspicabile un'inversione di tendenza in questo senso?
"Quando siamo stati al Governo, due Sottosegretari al MEF erano commercialisti (Enrico Zanetti e Luigi Casero). E il nostro confronto con l'Ordine era costante. Poi, come in tutte le categorie, non è mai facile avere interlocuzioni istituzionali che siano totalmente rappresentative della platea. Devo dire però che su questo è possibile una seria autocritica: probabilmente gli sforzi di ascolto e recepimento delle proposte avrebbero dovuto essere maggiori. Io all'epoca ero un semplice consigliere economico, senza alcuna discrezionalità politica. Ma ho fatto tesoro di quello che ho visto — e dei rapporti che ho costruito — in caso mi dovesse servire in futuro".
È possibile che ci sia una percezione pubblica negativa di questa professione, magari legata al fatto che i commercialisti siano costantemente associati agli evasori o che siano considerati solo come un costo per le imprese e i contribuenti?
"Io non vedo nessuna particolare percezione negativa sui commercialisti. Non peggiore di quella che c'è su avvocati, economisti, politici. Anzi, credo che ci sia una percezione notevolmente migliore rispetto a queste categorie citate".
Lei è tra i principali sostenitori della digitalizzazione del Fisco. Tra fatturazione elettronica, dichiarazioni precompilate e scontrino elettronico, si sta andando in questa direzione. È lecito sostenere (come fanno ADC e ANC nella lettera aperta che pubblichiamo oggi, si veda "Gentile Onorevole Marattin oggi il commercialista è necessario al Fisco") che i commercialisti abbiano contribuito in modo sostanziale al funzionamento di tali strumenti, inviando per conto dei loro clienti i tanti dati richiesti dall'Amministrazione finanziaria?
"Si. Ma mi sento come Joseph K ne Il Processo di Kafka. Sono sotto processo ma non so neanche io per cosa, visto che concordo con tutto quello che mi sta dicendo. Ho solo detto che voglio un Fisco molto più semplice, e ho usato volutamente un'immagine forte. Qualcuno ha voluto leggere che volessi sterminare i commercialisti".
Ha spiegato che conosce bene i commercialisti e che "la stragrande maggioranza di loro chiede alla politica ben altro che non la garanzia di continuare a fare le dichiarazioni dei redditi". Sa che da queste frasi è scaturita una raccolta di firme? Stando ai numeri forniti dalla Fondazione nazionale commercialisti, oltre l'80°% della professione, ad oggi, vive di assistenza fiscale di base. Con la petizione si chiede di sapere come mai le abbia questa visione della categoria.
"Conosco abbastanza commercialisti per poter affermare con relativa sicurezza che molti di loro chiedano alla politica di essere messi nelle condizioni di lavorare tanto, lavorare bene, lavorare semplice. A cominciare da un'economia che permetta il fiorire dell'attività di impresa (per avere maggiori opportunità di lavoro), un'amministrazione finanziaria dal volto amico e non repressivo, un maggior riconoscimento della loro professionalità rispetto a esercizi abusivi della professione, un sistema fiscale più equo nei loro confronti, un sistema di sostegno familiare che non li consideri lavoratori di serie B rispetto al lavoratore dipendente. Sentirsi il bersaglio di una raccolta di firme per aver affermato questo sta tra il surreale e l'incredibile".
Nel medio-lungo periodo, crede sia necessario per i commercialisti riposizionarsi, magari provando ad abbandonare gli ambiti "classici" di attività?
"Credo sia inevitabile. E capisco possa creare ansia e smarrimento. Lo è stato (e lo è) per ogni categoria che è stata costretta a fare i conti con un mondo che cam bia. Ma è un processo inevitabile, che la politica non deve dare per scontato o — peggio — già acquisito ma deve saper accompagnare gradualmente per non lasciare nessuno da solo. Il commercialista è il primo confidente del contribuente, ed è su questo rapporto che si devono costruire le attività del futuro. Così come bisogna riprendere il discorso sulle specializzazioni. Tutto ciò però, me lo consentirà, è un tantino diverso dal chiedere a gran voce che «tutto cambi affinché tutto rimanga com'è». Anche perché quel «com'è», purtroppo, è ben lungi dall'essere uno stato ottimale. Dopodiché, ha certamente legittimità anche una posizione passatista, affezionata al vecchio ruolo del commercialista, da conservare sempiternamente nei secoli dei secoli qualsiasi cosa succeda nel mondo. Ma mi faccia dire che, semplicemente, non credo che questa posizione sia nel miglior interesse del commercialista, del cliente e dell'intera società. È solo la mia opinione, naturalmente".