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Lucia Annibali sul caso di Saman: «Un altro sopruso sulle donne»

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L'intervista a Lucia Annibali su la Gazzetta di Parma del 5/06/2021

Il caso di Saman, la ragazza pakistana scomparsa a Novellara (che secondo gli inquirenti sarebbe stata uccisa dai familiari), pone ancora una volta al centro le tante facce della violenza sulle donne. E` un tema sociale e culturale sul quale l`onorevole Lucia Annibali (Italia Viva), cittadina onoraria di Parma, si batte da anni con coraggio e determinazione. La sua riflessione, a tutto tondo, va oltre gli stereotipi, compresa anche l`immagine della donna con l`occhio nero, che accompagna spesso la comunicazione relativa a queste tematiche.

Onorevole Annibali, ogni giorno la cronaca porta alla ribalta femminicidi e violenza sulle donne, come nel caso della ragazzina pakistana che non voleva un matrimonio combinato. Perché non riusciamo a fermare questo bollettino di guerra?
La violenza maschile sulle donne è un fenomeno strutturale, non emergenziale. Ed è bene ricordarlo. E` qualcosa di profondamente radicato nel mondo, un problema culturale e trasversale. Esistono molti livelli, ma sostanzialmente è l`esercizio di un controllo sulla libertà personale e anche i matrimoni forzati rientrano nella casistica. La pandemia, con l`isolamento che si è reso necessario, ha messo in evidenza e acuito le dinamiche dei rapporti violenti, oggi più che mai servono risposte di sistema.

Nel caso di Novellara rientra anche il tema dell`integrazione.
Premesso che si debbano appurare ogni volta le reali responsabilità, è ancora una volta la cultura patriarcale a determinare la violenza. La famiglia non è d`accordo con l`esigenza di libertà di espressione, autonomia, indipendenza e quindi esercita un controllo che può sfociare in eventi estremi e drammatici.

Una strada lunga e in salita anche nel nostro Paese. Un giovane su tre reputa la violenza un fatto privato della coppia. Non è sconcertante?
Le storie delle donne e dei loro figli non sono vicende che si consumano in un angolo piccolo e nascosto, sono le storie del nostro Paese, parlano di come è strutturata la nostra società, con i suoi stereotipi e pregiudizi. Esiste ancora un forte retaggio culturale che non permette di guardare ai fatti con limpidezza.

Che cosa intende dire?
Se pensiamo ad altri reati come, ad esempio, uno scippo, non ci domandiamo come la vittima teneva la borsetta e di che colore era. Le responsabilità sono sempre molto chiare. Mentre nei casi di violenza c`è sempre una sorta di confusione nel raccontare le responsabilità. Pertanto, anche su un piano comunicativo, le modalità non vanno a vantaggio delle donne, che devono superare il senso di connivenza cucito loro addosso rispetto a ciò che succede. E` un errore molto grave, a me è successo in un`intervista: la donna è comunque compartecipe della violenza che subisce. Se continuiamo a raccontarla così non ne usciremo mai.

Chi deve intervenire?
L`infrastruttura socio-culturale, a cominciare dalle scuole, per favorire lo scardinamento dei ruoli prestabiliti. Pensiamo, ad esempio, al tema ripreso in questi giorni che riguarda l`area Stem, l`acronimo di science, technology, engineering, mathematics, che non deve essere che non deve essere solo materia "maschile". Ma che fatica.

Come interviene la giurisprudenza in Italia?
La nostra legislazione è piuttosto avanzata in materia, dalla ratifica della convenzione di Istanbul e alla legge sul femminicidio. Anche il Codice rosso ha aspetti importanti, che sono andati a colmare diverse lacune. Tuttavia, in termini generali, bisognerebbe abbandonare l`idea di affrontare questo tema su un piano penalistico. La repressione arriva quando la formazione e la prevenzione hanno fallito e comunque sappiamo che il processo penale accerta semplicemente la responsabilità dell`autore del reato. Invece occorre investire di più sulla prevenzione, la formazione e sul "dopo" che riguarda le donne. A cominciare dalla riconquista di una autonomia economica e dalla capacita professionale. La violenza distrugge ciò che si era costruito in precedenza, impone di rivedere tutto della propria vita. L`esigenza primaria delle donne non è la vendetta, ma ritrovare libertà, sicurezza e autonomia. Questo dibattito va affrontato senza stereotipi, occorre piuttosto interrogarsi sulle caratteristiche della nostra società, sull`organizzazione economica e sociale. Per questo si parla di empowerment femminile, di imprenditoria, di favorire le donne sul piano economico, per una società più equa e più forte. Occuparsi di violenza significa lavorare sulla struttura della società e sugli elementi che la indeboliscono.

Servono anche risposte tempestive. Come agire?
E` vero. Per quanto si progredisca sul piano normativo, c`è sempre uno spazio che non si riesce a colmare tra l`esigenza di aiuto e la risposta. Incidono tanti fattori: le indagini hanno la necessità dei loro tempi e a volte c`è anche l`incapacità di saper riconoscere subito una storia di violenza. La percezione è spesso indebolita proprio dall`imprinting culturale. Fino a poco tempo fa prevaleva una sorta di necessità di ricomporre le liti e di rimettere insieme le parti; una scelta che in caso di violenza non bisogna assolutamente fare. Il dibattito deve essere più elevato, bisogna conoscere i sentimenti delle donne.

Esistono forme di aiuto alla indipendenza economica delle donne vittime di violenza? L`aspetto economico tiene in scacco la donna. Per questo è stato creato il cosiddetto "reddito di libertà", un sostegno economico mensile erogato alle donne e ai loro figli per ricostruire un progetto di autonomia. E` una iniziativa importante perché rappresenta un aiuto concreto per il "dopo" e stiamo cercando di implementarla. A questo si lega anche il tema dell`educazione finanziaria cioè allertare anche le più giovani su atti che possono trasformarsi in violenza. Ad esempio, la difficoltà nella gestione delle risorse familiari, l`utilizzo dei bancomat, le firme in bianco di documenti che possano portare al degrado economico. Per questo servono progetti di formazione e informazione per fornire strumenti di difesa.

Qual è il ruolo della comunicazione?
Bisogna raccontare la grande forza delle donne che vivono un`esperienza di violenza e il loro coraggio di darsi una nuova possibilità, fornendo un`immagine reattiva e costruttiva. Non solo. Per intercettare i bisogni a livello territoriale servono luoghi di ascolto. Esistono diversi protocolli, come ad esempio a Parma, città sempre attenta su queste tematiche, anche attraverso volontariato e mutual aid. Il nodo cruciale è che le donne hanno bisogno di essere credute.