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Sandro Gozi: "I recovery bonds, la formula giusta per non spaccare l'Europa sul virus"

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Intervista di Valerio Valentini, "il Foglio", 31 marzo 2020.

A metà della chiacchierata, Sandro Gozi getta lo sguardo molto più in là. "Siccome credo che da questa crisi si dovrà uscire con più Europa, e non con meno, credo che possa succedere che alla fine ci sia un gruppo di paesi, un'avanguardia tra i 27 stati membri, che decida di percorrere con maggiore velocità la via dell'unione fiscale, sanitaria, militare".

E pare quasi di vederlo, allora, l'ultimatum lanciato dai paesi del sud ai falchi del nord: osi accettano gli eurobond oppure tutto salta per aria. "Attenzione, però", frena subito l'europarlamentare renzian-macroniano, esponente di Renew Europe, "perché produrre spaccature dentro l'eurozona sarebbe traumatico. In questa accelerazione verso una maggiore integrazione, i paesi che condividono la moneta unica, compresa la Germania, devono essere il nucleo inscindibile".

E insomma sembra crederci, Gozi, alla possibilità di convincere gli amici tedeschi, sulla via di quei "recovery bonds" che a lui sembrano la soluzione migliore per trovare nuove risorse. "Nei prossimi dieci giorni ci sarà una sorta di lavorio ai fianchi nei confronti della Germania. Perché stavolta i margini ci sono: a Berlino c'è un dibattito reale, seppure sottotraccia. Se un esponente di spicco della Cdu, come Reiner Wieland, vice presidente del Ppe, si esprime in favore dei `recovery bonds', vuol dire che anche in Germania si rendono conto che il vento sta cambiando davvero".

Anche perché, lui che lo conosce bene, garantisce che Emmaneul Macron fa sul serio. "La sua è stata una svolta politica coraggiosa, che per la prima volta ha portato la Francia a schierarsi convintamente a fianco dei paesi del Mediterraneo".

Scelta di campo decisa, dunque. "Che sia reale lo si è capito nelle scorse settimane. Quando, per la prima volta da molto tempo, Parigi ha rigettato il solito compromesso al ribasso arrivato da Berlino: una linea di credito ai paesi in difficoltà costruita intorno al Mes. Una risposta inaccettabile per Macron. Che ha invece dato slancio all'altra iniziativa, quella che ha portato alla firma della lettera da parte di nove paesi dell'eurozona, tra cui anche Spagna e Italia, e intorno alla quale si sono registrate anche l'adesione di Cipro e le aperture dei tre stati baltici e di Malta".

Significherebbe isolare i falchi del nord. "Significherebbe ribadire che per una nuova Europa servono nuove risorse". Quali? "Quelle dei recovery bonds", insiste Gozi, con una pignoleria quasi eccessiva sui termini. "Ne ho discusso anche con Romano Prodi, che lo ritiene un aspetto secondario. E invece sono stato contento che anche Giuseppe Conte abbia scelto questa sigla, che aiuta a sgomberare il campo da un equivoco. Qui nessuno, e neppure il governo italiano, deve pensare di sfruttare la crisi sanitaria per accollare il proprio debito sulle spalle altrui. Ma al tempo stesso, per affrontare le conseguenze di questa crisi, l'Unione deve emettere dei titoli di debito comuni, e attraverso quelli finanziare le misure necessarie per reagire alla pandemia. Le soluzioni, nello specifico, possono essere varie: si può pensare al Mes, oppure a un rifinanziamento della Bei o del Bilancio europeo attraverso nuove entrate fiscali da devolvere direttamente nelle casse di Bruxelles. Perché è evidente che una maggiore integrazione fiscale è indispensabile".

Nell'immediato, però, forse utilizzare il Mes come fondo comune per l'emissione dei "recovery bonds" sarebbe più facile. "Certo. E infatti sbaglia Conte a voler rimuovere ogni riferimento al Mes solo per non indisporre il M5s. Gli approcci ideologici sono l'ultima cosa di cui l'Italia ha bisogno. Così non andiamo lontano. Né ci andremo, però, con una Commissione timida".

Ha sospeso il Patto di stabilità e le norme sugli aiuti di stato. "Non basta. Lo dico anche a Paolo Gentiloni: a Commissione non può limitarsi di volta in volta a individuare il minimo comune determinatore tra i vari governi, e proporlo come soluzione. La Commissione, al contrario, deve essere il pungolo che spinge gli stati ad alzare l'asticella dei compromessi. E, magari, dovremmo deciderci una buona volta ad abolire l'Eurogruppo, un organo non ufficiale e totalmente privo di trasparenza, il luogo dei veti e degli egoismi nazionali. Non può essere quella la sede dove discutere del futuro dell'Europa".