Lettera di Sandro Gozi al «Corriere della Sera» del 20-03-2024
Egregio Direttore,
ho letto con attenzione l’intervento del ministro della Difesa Guido Crosetto pubblicato dal suo giornale. Secondo il ministro, una vera politica di difesa dell’Unione sarebbe oggi impossibile perché subordinata al vincolo dell’unanimità e perché, in assenza di un’Europa politica, l’unica strada percorribile resterebbe la NATO. È una lettura che non solo ignora le opportunità già presenti nei trattati, ma che rischia di tradursi in una resa preventiva all’immobilismo. Troppo a lungo l’Europa ha eluso le proprie responsabilità in materia di difesa. Troppo a lungo ha vissuto nell’illusione di una protezione americana incondizionata e nella comodità di logiche nazionali incapaci di confrontarsi con la realtà geopolitica del presente. Ma il tempo delle illusioni è finito. Il mondo si sta riorganizzando intorno a grandi poli di potere, e l’Europa non può più permettersi di restare spettatrice, protagonista nel commercio ma debole e divisa sul piano militare.
L’idea che tutto sia bloccato dall’unanimità non tiene conto delle diverse possibilità in realtà esistenti già oggi. Gli strumenti per agire ci sono, se solo si volesse utilizzarli. La Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO) consente agli Stati volenterosi di rafforzare la propria integrazione nel settore della difesa senza attendere il consenso di tutti. L’articolo 44 del Trattato sull’Unione Europea permette missioni militari con la partecipazione di chi è disposto ad agire, senza che i più riluttanti possano porre veti. L’errore più grave, dunque, è credere che l’Unione sia condannata alla paralisi. La NATO resta essenziale, ma è perfettamente possibile costruire un potere militare europeo autonomo e una strategia europea di difesa. Dipendere esclusivamente dalle scelte degli elettori americani ogni quattro anni è una scommessa pericolosa, soprattutto di fronte alla possibilità concreta che un futuro accordo tra Donald Trump e Vladimir Putin ridisegni gli equilibri globali a nostro svantaggio.
Certamente, dobbiamo superare la logica delle alleanze occasionali, dei vertici ad hoc che possono anche generare inutili rivalità. Oggi possiamo e dobbiamo costruire finalmente una capacità di difesa europea comune, strutturata e permanente. Le alternative sono tre.
La prima, l’unanimità nel Consiglio europeo, è senza dubbio un vicolo cieco nel contesto attuale: illusorio pensare che i 27 Stati membri possano muoversi compatti su una questione tanto cruciale. È il punto sollevato dal Ministro Crosetto.
La seconda, un trattato intergovernativo tra gli Stati volenterosi, da trasferire successivamente nei trattati UE come accaduto per Schengen, potrebbe essere una soluzione, ma di ultima istanza. La terza – la più realistica e pragmatica – è un utilizzo più ambizioso della cooperazione strutturata e permanente prevista dal trattato UE (PESCO), che da strumento tecnico può diventare la base giuridica e politica per la costruzione di una forza europea comune e operativa. È questa la direzione da seguire.
Un quadro strutturato di questo tipo potrebbe includere un Consiglio dei ministri della Difesa dell’Ue, capace di coordinare strategia, operazioni e investimenti comuni. Rendere effettiva la clausola di assistenza reciproca tra Stati membri, come già previsto dai trattati. Spingere per incremento significativo dei fondi destinati alla difesa europea: perché senza investimenti, non esiste una vera potenza militare. Senza considerare poi che i trattati possono sempre essere modificati e che sarà indispensabile farlo prima di procedere con il prossimo allargamento. Abbiamo già perso troppo tempo. Trent’anni sono passati dal Trattato di Maastricht. Settanta dal fallimento della Comunità Europea di Difesa. La storia non ci perdonerà un’altra occasione sprecata. Gli Stati pronti ad avanzare devono farlo subito, senza aspettare chi esita. E l’Italia, Paese fondatore e storicamente motore dell’integrazione europea, deve decidere da che parte stare: se nel gruppo di testa, con Francia, Germania, Polonia e Spagna, o se rassegnarsi a un ruolo marginale, prigioniera delle proprie ambiguità e di una retorica che ha già fatto troppi danni, anche in questi giorni. L’Europa della difesa non è un proclama, è una costruzione. E la costruzione deve iniziare adesso.