L'intervento pubblicato dal quotidiano "MF", 27 maggio 2021.
Da luglio 2020 alla guida di Renault c'è un eccellente dirigente italiano, Luca de Meo. Nessuno pensa per questo che la più grande casa automobilistica francese sia diventata improvvisamente italiana né in altri Paesi Ue investimenti italiani vengono considerati pericolosi e messi sullo stesso piano di quelli cinesi, come a volte accade a Roma. Le relazioni tra Francia e Italia sono solide, hanno radici profonde nella storia, affondate nel terreno di cultura, economia, arte e cooperazione.
L'Italia è il terzo partner commerciale della Francia dopo Germania e Cina. Nel 2020 abbiamo esportato prodotti in Francia più di quanti ne abbiamo importati, aumentando il deficit commerciale transalpino nei nostri confronti. I francesi sono i primi investitori in Italia, principali datori di lavoro stranieri con oltre 200 mila occupati. Per questo sono insensati gli strali che le forze nazionaliste e populiste italiane scagliano contro Parigi, come ha fatto di recente l'onorevole Giorgia Meloni in un'intervista a MF-Milano Finanza. Praticare lo sport di attaccare i partner europei per racimolare facili consensi in Italia, ignorando la verità dei fatti e fondando le proprie tesi su affermazioni false o errate, è abbastanza comune tra le forze estremiste italiane, quasi stessimo giocando una perenne partita di calcio con ultrà sugli spalti.
Ci avevano provato in passato i leader M5S Di Maio e Di Battista incontrando i gilet gialli; lo aveva fatto anche il segretario della Lega Matteo Salvini. Tutti indicavano Merkel e Macron come nemici pubblici numero uno dell'Italia. Io sono convinto che la presenza di investimenti europei in Italia sia sempre una buona notizia per il nostro Paese e che le chiusure reciproche tra Paesi europei siano assurde: sbagliate quando accadono e vengono invocate a Parigi o a Roma.
Non sono l'unico a pensarla così: Meloni potrebbe bussare alla porta di Confindustria per farsi raccontare quanto l'ingresso di partner europei ha il più delle volte rafforzato le aziende italiane che hanno preso in mano. I sovranisti italiani stendono spesso tappeti rossi agli amici sbagliati, come Polonia e Ungheria, non solidali con noi sulla questione migranti. Paesi che hanno cercato di bloccare il Recovery Plan e dove sono in vigore politiche oscurantiste contro libertà delle donne, aborto, università e libertà di stampa, dove l'omofobia è un principio cardine dell'azione di governo.
Se ora l'Ue è frenata e se non siamo stati capaci di lottare contro la concorrenza fiscale sleale all'interno del mercato lo dobbiamo a quel modello confederale che vorrebbe Meloni in cui veti e decisioni all'unanimità su tasse o politica estera sarebbero estesi a tutte le politiche europee. La vera ricetta per la paralisi. Se come italiani possiamo guardare con ottimismo verso l'uscita da questa drammatica crisi sanitaria, economica e sociale è grazie alle scelte coraggiose dell'Europa, dei suoi leader. È grazie a Macron e Merkel se l'Italia ha ottenuto oltre 200 miliardi di risorse del Recovery Plan contro i 29 della «perfida» Germania o i 40 dei «nemici» francesi. Strani nemici questi europei.
Ormai siamo entrati in una nuova fase: l'asse tra Draghi e Macron può essere il pilastro su cui rifondare l'Ue. La visione europea dei due leader converge: non c'è vera sovranità per nessuno senza una nuova sovranità europea di fronte a sfide come digitale, finanza, clima, sicurezza, salute e difesa. L'alleanza tra i due Paesi può essere chiave del successo per entrambi e per il futuro dell'Europa. Come ha insegnato Marco Pannella, senza un'Europa sovrana e democratica, senza una patria europea, non esisteremo sulla scena globale e perderemo anche le nostre patrie nazionali. Questa è la vera sfida per la nostra generazione.