L'intervento del professor Fortis su "il Foglio"
"Il crack preannunciato ma sempre sottovalutato della Banca Popolare di Bari, una specie di Popolare di Vicenza del sud, dimostra una volta di più quanto fosse necessaria e urgente la riforma delle più grandi popolari (in totale dieci banche) decisa dal governo Renzi nel 2015. Quello di Bari, infatti, è solo l'ultimo di una serie di dissesti che hanno colpito vari istituti, principalmente le tre popolari non quotate, cioè: Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca e, appunto, Banca Popolare di Bari", ha spiegato Marco Fortis nel suo intervento odierno su "il Foglio".
"Tre banche nelle quali i vertici e non il mercato hanno sempre potuto decidere unilateralmente il valore delle azioni, gonfiandone in modo scandaloso i prezzi anche col supporto di perizie compiacenti di esperti. Il risultato è che tutte queste tre banche alla fine sono saltate in aria, con danni spaventosi per migliaia di azionisti e investitori", ha spiegato Fortis, che ha aggiunto che "nei casi di Vicenza e Veneto Banca, la Riforma Renzi ha evitato che potessero aggiungersi ulteriori danni a quelli già provocati ai risparmiatori e ai soci azionisti dei due istituti a causa delle cattive gestioni degli anni precedenti".
"Di certo - ha proseguito Fortis - non ci sarebbe stato un crack delle attuali proporzioni della stessa Popolare di Bari se questa banca si fosse trasformata in Spa, come previsto dalla riforma delle popolari".
E, invece, "dopo la riforma a Bari hanno fatto di tutto per sottrarsi a tale obbligo e persino alcune istituzioni dello stato si sono frapposte alla trasformazione in Spa".
Il modello delle Popolari, ha spiegato Fortis, "col tempo ha tradito i propri ideali ed è diventato sempre meno trasparente. In particolare, alcune popolari sono divenute via via sempre più grandi, con logiche finanziarie e operative sempre più distanti dal tradizionale obiettivo di supportare economicamente le piccole e medie imprese dei territori e le comunità locali".
Inoltre, prosegue Fortis, "niente più dei crudi numeri spiega perché la riforma Renzi delle popolari fosse necessaria, a dispetto delle critiche e degli ostacoli riversati su di essa dal circolo lobbystico-politico-mediatico-burocratico. Infatti, tra il 2011 e il 2018, le dieci maggiori banche popolari hanno avuto perdite lorde cumulate a bilancio per 22,3 miliardi di euro (a cui si aggiungono le ulteriori perdite della Popolare di Bari del 2019 già emerse con la semestrale, pari a un'altra settantina di milioni, e quelle dell'intero anno di cui conosceremo l'esatta entità solo fra qualche mese)".
Peraltro, spiega il professore, "il vero epicentro del buco delle banche popolari (con circa 15 miliardi di perdite lorde cumulate dal 2011 al 2018, pari a oltre i due terzi delle perdite totali delle popolari) è stato il Veneto, non la Toscana. Nel solo 2014, anno precedente la riforma, le dieci maggiori popolari fecero registrare perdite lorde per 4,9 miliardi (di cui 3,7 miliardi delle tre popolari venete contro i 126 milioni della piccola Etruria)".
Inoltre, prosegue Fortis, "oltre alle perdite a bilancio registrate nei vari anni dalle popolari, va poi considerata la distruzione di valore azionario che ha interessato questi istituti".
Insomma, conclude Fortis, "è indubbio che la riforma delle popolari (invocata già da Ciampi e Draghi ma mai attuata) fosse indispensabile e urgente. Ed è altrettanto chiaro che se tale riforma non fosse stata colpevolmente frenata, la stessa Popolare di Bari avrebbe potuto forse evitare un tracollo così drammatico che costerà miliardi ai risparmiatori e ai contribuenti".