La nuova Enews di Matteo Renzi
Buona Estate a tutti!
Nella vita di tutti i giorni fa molto caldo.
Nella vita politica internazionale, purtroppo, il mondo letteralmente brucia.
Ho cercato di spiegare in un lungo post (lo trovate qui) la mia visione sulla situazione in Iran. Qualche mio amico mi ha scritto: “Eh, Matteo, però io vorrei risposte secche. Sì o no alle bombe, sì o no alla reazione, sì o no alla pace”. La politica estera, però, non è un quiz: è fatica, studio, impegno. Spesso richiede tempi lunghi. Dieci anni fa io sono stato invitato alla Knesset a parlare davanti a Netanyahu e poi sono andato a Teheran per un bilaterale con l’Ayatollah Khamenei: la politica estera, nel bene e nel male, non si fa con gli slogan. Si fa parlando con tutti. E quando arriva il momento della guerra le risposte da Libro Cuore non servono: serve la politica. L’ho spiegato nel lungo post. E se qualcuno dei nostri amici dice che così facendo diamo l’idea di non avere una posizione secca, rispondo: in politica estera anche le sfumature valgono. Altrimenti diventiamo come Tajani, la banalità fatta Ministro: guardate questo reel di Italia Viva, imbarazzante.
Sarà bello parlare più approfonditamente di questi temi nella nostra assemblea nazionale di Genova il 5 luglio alle 11:30. E ovviamente alla Leopolda del 3-4-5 ottobre cui vi invito da subito a iscrivervi.
Nel frattempo, attendiamo le prossime, decisive, 72 ore per capire quale sarà la rappresaglia iraniana agli attacchi americani e le mosse successive.
Venendo invece alle questioni interne:
a) La vicenda dello spionaggio ai danni dei giornalisti è sempre più incredibile. E il bello è che tocca a me difendere giornalisti contro cui ho sempre discusso o litigato. Ma una cosa è discutere con i giornalisti e una cosa è spiare i giornalisti. Mi fa ridere chi mi dice: ma proprio tu che hai querelato decine di persone ti metti a fare il paladino della libertà di stampa? È il sintomo che ormai il populismo annebbia definitivamente le menti. È ovvio che io querelo chi dice il falso su di me. Se uno scrive che io sono un ladro, ho il dovere – non solo il diritto – di agire in sede giudiziaria per difendere il mio onore. Ma se accetto che le Istituzioni comprino software che spiano i giornalisti non è più problema di onore o di querele: è un problema di Stato di diritto. Chi non lo capisce è in malafede! Ne ho discusso, in modo acceso, con Lilli Gruber, Gad Lerner, Lina Palmerini a Otto e Mezzo: lo trovate qui.
b) Il fatto che ci sia anche Dagospia tra le testate intercettate è un salto di qualità. Dagospia è un sito irriverente e fuori dagli schemi, una testata che dà molte notizie: non tutte vere, per me, e infatti siamo andati in causa in più di una circostanza. Ma attenzione: il giornalismo può e deve controllare il Governo. Il Governo invece non può controllare i giornalisti. Se da Dagospia si passa a Giorgiaspia è la fine dello Stato di diritto. Mi sconvolge che su questo tema combatto in solitudine. Sarà che mi hanno pubblicato intercettazioni, conti correnti, lettere private a mio padre, atti giuridici privati e dunque ci sono passato e so quanto male fa essere messo alla berlina pur non avendo fatto nulla di male. Ma ho giurato a me stesso che non avrei mai accettato che facessero ad altri ciò che ha fatto male a me! Vi ripeto quello che ho detto dalla Gruber: se fanno questo al telefonino di un giornalista famoso, potete immaginare che cosa sono in condizioni di fare a un cittadino comune?
c) I numeri dell’economia in Italia sono chiari: aumentano le famiglie in povertà, aumentano gli sbarchi irregolari, aumentano le liste d’attesa, aumentano la pressione fiscale e il debito pubblico, aumentano i giovani che vanno all’estero. Però i media parlano dei grandi successi del Governo. Forse la responsabilità è anche di chi nel centrosinistra passa troppo tempo a litigare al proprio interno anziché parlare a chi lavora e vorrebbe non essere tartassato dalle tasse e dalla burocrazia. Voi che dite? Vi leggo: [email protected]
Un sorriso,
Matteo
PS. C’è una polemica che parte da Firenze. Riguarda il Ministero della cultura e il Teatro della Pergola. Sostanzialmente il Governo non è contento dell’attività del Teatro della Pergola. E dunque vuol tagliare i fondi. Io su questo non sono d’accordo ma riconosco che un Governo può fare le scelte che crede nel rispetto delle Leggi e del Parlamento. Se però Giuli (ho detto Giuli) decide di declassare il Teatro della Pergola c’è qualcosa che non va. Il Teatro della Pergola esisteva prima di noi, esisterà dopo di noi e non può essere declassato da un Giuli qualsiasi. È il teatro dell’accademia degli Immobili, è il teatro della prima del Macbeth di Verdi, è il teatro del camerino di Eleonora Duse, è il teatro dove il genio di Antonio Meucci creò il telefono, è il teatro che prende spunto architettonico da Palazzo Pitti, è il teatro che ha regalato emozioni al mondo intero per tutto il Novecento e non solo. Un Governo con Lollobrigida, Salvini e Urso può togliere fondi alla programmazione, se vuole, ma non si può permettere di declassare una storia che è troppo più grande di questa gente qua.
L’unica cosa che Giuli può declassare è la percezione nel mondo del Ministero della cultura italiana, non il Teatro della Pergola. Pensate: esattamente 100 anni fa nasceva il fiorentino Giovanni Spadolini che esattamente 50 anni fa fu il primo Ministro della Cultura.
1925: Nasce Spadolini. 1975: Nasce il Ministero della Cultura. 2025: c’è Giuli che vuole declassare il Teatro della Pergola. Firenze, il Teatro, la Pergola sono infinitamente più grandi di un Giuli qualsiasi. Immaginare Giuli che declassa la Pergola è come immaginare Nonna Papera Astronauta.