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Il diritto di non tollerare gli intolleranti

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La notizia inaspettata di chiusura da parte di Facebook delle pagine locali e nazionali nonché di alcuni esponenti dei movimenti neofascisti di estrema destra come Casapound e Forza Nuova ci coglie di sorpresa, ma in realtà purtroppo è una storia che ha origini non recenti.

Meglio tardi che mai” commentano in molti e, in effetti, il problema dell’inquinamento del dibattito pubblico politico sulla Rete viene da molto lontano e da diverse vie. Già nel novembre del 2017, infatti, un’inchiesta di BuzzFeed aveva smascherato la presenza di una rete di siti e pagine Facebook realizzata per diffondere deliberatamente bufale, disinformazione e diffondere ostilità verso determinate cose o gruppi.

 

Le posizioni, portate avanti in modo sottile ma determinato dall’organizzazione, sono collegate con un filo nero alla notizia di ieri: contro l’immigrazione, contro l’Europa, a favore dell’esaltazione della nostra Nazione, oltre al livore verso gli omosessuali, i rom e le minoranze.

La radice è, quindi, sempre quella; e il fatto che esistesse una rete organizzata anche a scopo di lucro con pubblicità e titoli sensazionalistici acchiappa-like dovrebbe farci riflettere anche su quanto la cultura dell’odio sia diventata un business non solo politico per molte persone.

 

La chiusura di 23 grandi pagine Facebook, con 2,4 milioni di follower complessivamente (come la pagina del Corriere della Sera), avvenuta il 19 maggio scorso, conferma che il problema era più serio di quanto si immaginasse.  Il motivo principale usato dall’azienda di Mark Zuckerberg era proprio la disinformazione, ovvero l’utilizzo sistematico e scientifico di notizie false per la propagazione di una determinata idea da inculcare.

Ovviamente un’idea generale di odio, di rancore e di ostilità verso le Istituzioni, le minoranze e personaggi pubblici simbolo (es. Mattarella). Quelle pagine, aldilà dell’orientamento, rivelano la concezione di un dibattito pubblico sul web che inquina le falde della nostra democrazia e ci rende tutti più deboli.

 

La loro chiusura, per fortuna, conferma la volontà da parte del social network d volersi ripulire da chi disinforma e diffonde odio. Troppo spesso sono stati usati come mezzi per dividere anziché per unire. E proprio da qui arriviamo alla notizia di ieri. Perché sono state chiuse pagine di due movimenti politici che negli anni, sebbene si siano presentati più volte alle elezioni, hanno contribuito a diffondere odio verso determinate categorie di individui.

Uno dei video più vergognosi e angoscianti della nostra storia è proprio quello di Casal Bruciato e degli insulti che vengono lanciati dal presidio di Casapound alla madre rom, con la figlia piccola in braccio, che entra nella casa regolarmente concessale dal Comune di Roma. Frasi terribili, toni inaccettabili.

 

La differenza qui è sostanziale: parliamo di due veri e propri partiti politici elettorali italiani, non di pagine Facebook di chissà quale network. “Le persone e le organizzazioni che diffondono odio o attaccano gli altri sulla base di chi sono non trovano posto su Facebook e Instagram. Candidati e partiti politici, come tutti gli individui e le organizzazioni presenti su Facebook e Instagram, devono rispettare queste regole, indipendentemente dalla loro ideologia” si legge nella nota dell’azienda con cui spiega la decisione.

 

E’ una delle questioni più importanti e più grandi del nostro tempo, che spesso viene strumentalizzata: fino a che punto ci può essere la libertà di espressione? E’ libertà di espressione fomentare tutti i giorni il disprezzo verso un’etnia o un determinato gruppo sociale ? E’ libertà di espressione definirsi apertamente “fascista”, come ha fatto il Segretario di Forza Nuova Roberto Fiore qualche mese fa?

Secondo me, no. Non è libertà di espressione aizzare rancore e astio. Nella nostra Costituzione è scritto non solo che essere fascisti è un crimine e non un opinione, ma che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”. E potremmo citare decine di articoli in cui è inciso il valore della comunità fra esseri umani.

 

Su questo forse aveva ragione Karl Popper, un filosofo che nel 1945 scrisse un testo (“La società aperta e i suoi nemici”) nel quale parlava del “paradosso della tolleranza”, secondo cui una tolleranza senza limiti porterebbe alla scomparsa della tolleranza stessa e dei tolleranti. Sembra scritto per noi, è di un’attualità impressionante. Secondo Popper, se estendiamo la tolleranza anche agli intolleranti e non siamo disposti a difendere una società tollerante contro i soprusi degli intolleranti, essa sarà distrutta. E concludeva scrivendo: “noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti”.

Ecco perché sono d’accordo con la decisione della Facebook e penso che anche le altre piattaforme web debbano adoperarsi per far tornare la Rete un luogo di comunità, di ascolto e confronto. Tenendo bene a mente che parte del lavoro spetta anche a ciascuno di noi, dal nostro impegno, dalla nostra volontà di tornare a diffondere i valori (che sembrano scontati, ma non lo sono) che ci fanno essere ciò che siamo.

 

E non è solamente una questione di qualità del dibattito, ma è la concezione democratica secondo cui si posso avere idee diverse, si può essere avversari, ma siamo tutti pronti a salvaguardare i valori che furono alla base dell'Assemblea Costituente e che sono tuttora la base della nostra Costituzione. Se si concorda su questo, nel dibattito politico non c'è bisogno di vendere menzogne e notizie false per accreditarsi, e non ci sarebbe bisogno nemmeno di infangare e attaccare violentemente, con "gogne" mediatiche sui social, i contendenti.

 

di Francesco Savorani