Finalmente le tragicomiche avventure per la formazione del governo possono ufficialmente dichiararsi concluse.
Queste ultime settimane così sature di un susseguirsi continuo di vicende politiche, hanno avuto come unico comun denominatore un perpetuo e costante ronzio chiassoso di sottofondo. Sono state settimane rigonfie di parole, dichiarazioni, opinioni personali, slogan, che hanno colmato il vuoto delle diatribe politiche che si sono susseguite.
Questo rigurgitare rabbia e dissensi in tutte le direzioni, senza risparmiare nessuno, ha dovuto obbligatoriamente prendere fiato dopo l’accordo raggiunto tra le forze politiche. La pace che aleggiava apparente nell’aria, mentre le tv mostravano sorrisi e strette di mano, ha obbligato lo spettatore a rimettersi all’opera, a dichiarare riaperta la caccia.
E così, nemmeno dopo ventiquattro ore dall’elezione dei nuovi deputati, quale candidato migliore se non uno di loro, possibilmente donna, poteva essere il nuovo capro espiatorio prescelto.
Teresa Bellanova, in tempo record e a pieni titoli, si è aggiudicata il titolo di nuovo bersaglio dell’opinione pubblica italiana. Protagonista non per essere la nuova ministra per le politiche agricole, bensì per il suo abbigliamento al Quirinale. Dopo che gli slogan contro la negligenza delle due forze politiche sono passati, (momentaneamente) di moda, hanno preso il via quelli sulla fisicità di una donna, che diciamocelo, rimangono sempre un asso nella manica.
La nostra società, che con sfrontatezza si definisce civile, ha riempito il web di insulti del calibro di “balena blu”, e frasi la cui sensibilità arriva al “sta grassona”, nei confronti di una delle sette nuove ministre donne, deviando poi le critiche sulla mancanza di una laurea tra i titoli di studio della ministra.
Ciò che incuriosisce maggiormente però, rimane il perché questi insulti non siano stati sputati contro uno dei quattordici ministri uomini, che essendo in netta maggioranza numerica, e in più di un caso senza titolo di laurea, avrebbero dovuto avere una maggiore percentuale di probabilità di essere presi di mira come bersaglio.
Invece, sorprendentemente, si è aggiudicata il titolo di capro espiatorio una donna. Una sorpresa tale da non aver fatto meravigliare nessuno. Nessuno che si sia stupito di una cosi cattiva e banale ignoranza, che passa anzi inosservata come se si trattasse di un processo del tutto obbligato. Un perenne chiasso, delle urla di sottofondo che non conoscono pause, rivolte verso la vittima di turno che, oltre a diventare lo zimbello di turno, deve anche seguire la consuetudine di rimanere in silenzio.
Il paradosso che davanti alla stupidità bisogna tacere e imparare a soccombere. Conquistati con fatica i diritti di cui disponiamo, quello alla parola si è tramutato in un dilagare di ignoranza e meschinità senza limiti etici e di basilare decenza.
Una società civile che avrebbe dovuto usare la propria voce per la mancanza di parità di genere tra i ministri piuttosto che per la scelta di look di uno di questi.
Invece, ancora una volta, assistiamo in silenzio allo spettacolo disarmante di questi esseri mediocri la cui frustrazione si trasforma in rabbia verso il prossimo. Saremo sicuramente ricordati come una civiltà dedita all’eloquenza, propensione solitamente associata o alle grandi menti, o agli imbecilli. Ma, mentre la genialità ha dei limiti, l’ignoranza non ne conosce.
di Chiara Boletti