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Dialogo con Emilio Colombo: un ricordo di Vito De Filippo

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L'intervento del nostro parlamentare, pubblicato su "il Lucano".

L’ultima volta che ho visto Emilio Colombo è stato il 12 giugno 2013. Una data che non ho affidato solo alla forza della mia memoria, oggi dico per fortuna. Purtroppo, dopo pochi giorni Colombo morì. Andai a fargli visita nella sua abitazione a Roma, nel quartiere “Trieste”. Come sempre percepii che in quella casa c’era un’aura: i libri, le foto, i quadri, gli oggetti, i mobili suscitavano, immediatamente, la sensazione di trovarsi in un luogo che raccontava pagine importanti della storia nazionale ed anche europea. La buona abitudine di annotare pensieri ed esperienze su un taccuino in quell’occasione, confesso, fu ancora più scrupolosa e mi consente oggi di rendere pubblica una parte di un lungo dialogo con il Presidente Colombo, come preferivo chiamarlo in senso di rispetto.

Nonostante la malattia, la nota tenacia dell’uomo era sorprendente. Mi disse "mangio poco anche perché i farmaci sono tanti, poi il caldo.. ma insomma per il resto sopporto e seguo quello che mi dicono i medici”. Era seduto su un comoda poltrona, io di fronte percepivo la sofferenza fisica, ma nonostante ciò Colombo aveva voglia di parlare. Come sempre ero lì con un grande desiderio di ascoltarlo. Mi capitava spesso in quegli anni di fargli visita, lo avevo coinvolto in tante iniziative: alcune rimaste nella storia regionale, con Giulio Andreotti in un lungo ed indimenticabile dibattito a Potenza sull’Europa, con Maria Romana De Gasperi sulla figura del padre, per citarne alcune.

Lui ricambiava con affetto ed attenzione: sempre presente in tutte le circostanze elettorali e politiche più importanti che mi riguardavano. Era uscito da poco il suo libro-intervista: "Per l’Italia, per l’Europa, conversazione con Arrigo Levi". Mi chiese cosa pensavo e che si diceva di questo suo lavoro. La lunga amicizia con Levi, disse “mi ha convinto ad accettare il suo invito e fare una lunga intervista che attraversa tutta la storia italiana dal secondo dopoguerra ad oggi”.

Gli confermai il grande apprezzamento che il libro stava suscitando ed avendo in quei giorni, parlato con Pierluigi Castagnetti, gli dissi che si stava pensando di organizzare una presentazione del volume, coinvolgendo l’Istituto Sturzo e personalità di livello europeo come Nicole La Fontaine, sua amica e Presidente del Parlamento europeo per una fase. Era sempre molto scrupoloso nel racconto ed anche nei dettagli quando c’era da fare iniziative. Direi che i dettagli non erano mai superflui per Colombo. Meticoloso. Anche in questo caso ci soffermammo a valutare i possibili relatori (si pensava di coinvolgere il presidente del Consiglio del tempo Enrico Letta ecc...) poi la discussione si spostò su un’altra iniziativa editoriale. La commentammo con un amico che, nel frattempo, si aggiunse per un po’ alla chiacchierata, Vito D’Adamo. Purtroppo questa iniziativa non si realizzò e credo che sarebbe stato molto utile portarla a termine.

Si stavano raccogliendo, fra archivi appunti e altra documentazione, i discorsi più importanti di Colombo da quello del marzo del 1954 in un famoso Consiglio Nazionale della DC che si tenne a Napoli, in poi. Colombo segnalava, correggeva date, dava indicazioni puntuali anche in quella circostanza con la solita capacità di inquadrare il tutto nel contesto degli avvenimenti e della storia politica italiana. Una percezione netta di questa sua capacità la ebbi quando si intrattenne su una delle stagioni più memorabili della storia meridionale: quella della Riforma Agraria.

“Più che riforma e legge sui patti agrari, bisognerebbe chiamarla riforma del codice civile”, disse con lucidità, “De Gasperi, dopo l’esperienza di Sottosegretario all'Agricoltura nella quale fui coinvolto nel lavoro del Governo anche per i fatti di Melissa, mi propose per la prima volta nel giugno del 1953 di fare il Ministro dell’Agricoltura,quel Governo non nacque. Alla costituzione del nuovo Governo Segni mi chiese come volevo collaborare, prospettandomi la possibilità di guidare il Ministero dell'Agricoltura. Io ero scettico avrei preferito quello dei Lavori Pubblici, ma capii con il tempo che De Gasperi aveva ragione. Fu una straordinaria esperienza”, concluse. "Mi occupai di tante cose con entusiasmo, la costruzione di piani per l’agricoltura ed anche di strade...".


Ad un certo punto mi disse "lo vedi quel quadro della Madonna? È un regalo di un sacerdote lucano del tempo, che conservo con amore, un dono che mi fece per aver risolto il problema di un collegamento stradale nella sua comunità!” Raccontò con un largo sorriso. Le mie domande furono tante. Soprattutto sulla prima fase della sua esperienza. La storica e memorabile campagna elettorale per la Costituente. Colombo aveva 26 anni, un ragazzo si direbbe oggi. Già laureato in giurisprudenza e con una lunga esperienza nell’associazionismo cattolico.

Capeggiava la lista della DC, ed aveva come “avversari” Francesco Saverio Nitti e Fausto Gullo, Ministro dell’agricoltura nel Governo De Gasperi-Togliatti per il partito comunista, Aldo Enzo Pignatari guidava la lista del PSIUP. Colombo con più di ventimila preferenze si avvicinò ai voti di Nitti. “Girai tutti i paesi della Basilicata, anche i più piccoli, con una Balilla che mi presi in fitto, ed anche con altri mezzi più umili in alcune circostanze”.

“A volte nei nostri giri, mi disse sorridendo, ci fermavamo nei campi a rubare le fave... era primavera!”. La Basilicata con il suo splendore di luce, di paesaggi e di natura lo travolgeva nei racconti e nel profondo del suo animo. Era evidente. Mi parlò di Nitti ma anche di Francesco Cerabona (più volte Ministro e amico anche di Benedetto Croce), di Nicola Sansanelli anche lui lucano, alto dirigente del partito fascista. Divertito mi ricordò di Luigi De Filpo di Viggianello, parlamentare comunista ed anche Sottosegretario nel primo Governo De Gasperi, “alcuni familiari di De Filippo, disse divertito nel suo ricordo, erano miei elettori... mi avevano conosciuto ed apprezzato nel lavoro e nell’attività in Azione Cattolica”.

“C’era rispetto, comunque, anche nella più radicale delle contrapposizioni politiche. Il paese stava riemergendo dalle rovine drammatiche della guerra e lo spirito della rinascita e della speranza aleggiava potente sulla politica”. Colombo viveva con passioni, direi, superiori e due eventi in particolare ne sono testimonianza: la fase Costituente e la costruzione dell’Europa. Non sopportava sottovalutazioni ed approssimazioni su questi temi. Perciò una parte della nostra chiacchierata si incentrò su un argomento, allora, di attualità. Direi ancora oggi, ampiamente, incompiuto: quello delle riforme costituzionali.

“Che valutazione fai - mi chiese - di questo Comitato di saggi”, che in quei giorni si era insediato dopo la formazione del Governo Letta. “Una novità anche nella storia nazionale, annotò Colombo, questa iniziativa del Governo!” Io provai a spiegare le finalità che quella particolare fase storica assegnava ad un Governo nato da un accordo ampio in Parlamento ecc... La discussione fu lunga, direi non conclusiva e con tante perplessità di Colombo. Non mancò una “sessione” della nostra chiacchierata dedicata al nuovo Papa Francesco. Eletto Papa da due mesi dopo le dimissioni di Benedetto XVI. La sua proverbiale e, per molti aspetti, unica esperienza nei rapporti con il Vaticano mi offrì una chiave interpretativa illuminante sulla missione del nuovo Papato. La stanza era piena di libri, di foto con i grandi della storia e della terra, affollata ed animata da un racconto puntuale, a volte minuzioso e dettagliato.

Colombo era un interlocutore formidabile. Il suo stato di salute non gli impedì di intrattenersi lungamente. Passammo alla filosofia, mi parlò delle sue letture da Pascal a Maritain, coglieva nel profondo le questioni. Non si trattava di fare apologia, piuttosto di riconoscere la ricchezza di un’esperienza umana animata da una curiosità culturale multiforme ed ampia. Una generazione che aveva conosciuto il privilegio ed il dovere della rinascita, era abituata a non sprecare i pensieri, le parole e le azioni. Tutto ha avuto un senso profondo per loro. A volte questo modo di porsi confliggeva con una certa “liquidità” contemporanea. Anche i tratti più autobiografici di un giovane ventiseienne che aveva sfidato Nitti nei dibattiti erano misurati, senza enfasi.

Nitti tornato da poco dall’esilio parigino, prestigioso intellettuale ed uomo politico a livello mondiale. Colombo lo ricordava con rispetto, nonostante in quella campagna elettorale non mancarono toni aspri. Non dimenticò di segnalare anche gli errori del suo avversario, sul regionalismo ed altro. Colombo era consapevole che sarebbe stato protagonista della storia regionale, nazionale ed europea. Io, posso dire, di aver colto questo stigma superiore nella sua voce, nel suo sguardo, nelle sue parole, ed anche nella sua amicizia. Quando leggo il suo lungo curriculum, catalogato in tante pubblicazioni trovo solo una parte della sua dimensione umana e della sua autorevolezza che, invece, ho conosciuto e potuto apprezzare di persona.