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Danti: "Giusto insistere sui ricollocamenti. l’Europa si è dimenticata del Maghreb"

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L'intervista a Nicola Danti di Andrea Bulleri per "Il Messaggero"

L'Africa sarà uno dei grandi attori con cui l’Europa dovrà fare i conti, nei prossimi anni. Eppure l’attuale Commissione europea non ha una sua politica verso quel Continente. Sembra essersene dimenticata. Senza capire che è solo attraverso investimenti seri per lo sviluppo del Maghreb che si può provare a ridurre le partenze. Nicola Danti, europarlamentare di Italia viva-Renew Europe, non ha dubbi: l’unica soluzione possibile per fermare le carrette del mare e il traffico di disperati nel Mediterraneo passa da Bruxelles, più che dai singoli Stati membri. Che sul tema dei ri- collocamenti sembrano giocare «al cane che si morde la coda: chiedono all’Italia di bloccare i movimenti secondari ma poi non accettano la redistribuzione di chi arriva. Su questo punto è giusto insistere», sottolinea.

 

Onorevole Danti, al Consiglio europeo di domani il dossier migranti sembra destinato a tornare centrale. L’Europa è pronta a battere un colpo, secondo lei?

«Dipende che cosa si intende per Europa. L’Unione europea è com- posta da tre istituzioni: Parla- mento, Commissione e Consiglio. Ognuna con una posizione specifica. Per quanto riguarda il Parlamento, tutti gli atti che abbiamo votato finora segnalano la necessità di una riforma del Trattato di Dublino, oltre che di assicurare il salvataggio delle vite umane e di garantire corridoi umanitari per un’immigrazione legale e sicura».

E gli altri due organi?

«Di certo sia nella Commissione che nel Consiglio c’è attenzione alle posizioni dell’Italia sulla gestione dei flussi, com’è accaduto anche in passato. Tra la presidenza svedese del Consiglio, la Commissione e il Parlamento c’è un accordo perché entro la fine del- la legislatura si arrivi a un pacchetto di riforma complessiva in tema di immigrazione. Ma il nodo della redistribuzione dei migranti, finora, è rimasto irrisolto».

Come mai?

«L’immigrazione secondaria è sempre stata uno dei grandi temi di scontro. Da parte dell’Italia in passato c’è stato un “non detto”: si è accolto, ma poi si sono lasciati liberi i migranti di spostarsi in altri Paesi europei. Allo stesso tempo, gli altri Paesi rifiutavano i ricollocamenti proprio per via dei movimenti secondari. Un cane che si morde la coda».

E come se ne esce, allora?

«Innanzitutto bisogna agire sulle partenze. Sull’Africa, che è il grande assente dalle politiche della Commissione. In passato non è sempre stato così, con la guida di Jean Claude Juncker il tema era molto presente. Oggi invece la posizione dell’Unione, intesa come Commissione e Consiglio, appare molto debole, quasi arrendevole, anche per responsabilità dei singoli Stati membri. Servono programmi di investimento e sviluppo».

A quali Paesi pensa, in particolare?


«La Tunisia, ad esempio: oggi è una polveriera, e il governo dell’Ue non ha una sua linea di azione nei confronti di quel Pae- se. È vero, c’è la guerra in Ucraina, ci occupiamo di quel conflitto. Ma non possiamo più permetterci di ignorare l’Africa».

Investimenti in loco per fermare le partenze?

«L’unico sistema per diminuirle è creare sviluppo nei Paesi di origine e di transito. Insieme a una serie di altre misure, dai corridoi umanitari ai rimpatri per chi non ha diritto di essere accolto. Serve un grande progetto complessivo, e può essere soltanto l’Europa a farlo».

Torniamo ai ricollocamenti: l’Italia fa bene a insistere?

«È giusto insistere sui ricollocamenti. Ma bisogna farlo con i toni giusti, lavorando a livello diplomatico per arrivare a un accordo politico con i grandi Paesi come Spagna, Francia e Germania».

Dal Consiglio di domani potrebbe arrivare un’apertura?

«Mi sembra che non ci sia una posizione unitaria su questo. L’unica volta che l’Italia ha ottenuto un meccanismo europeo obbligatorio di ricollocamento dei migranti fu con il governo Renzi, nel 2015. E il governo Conte, nel 2018, accettò di rimuovere quell’obbligo, che di fatto molti Paesi non avevano rispettato. Adesso siamo al punto di partenza».