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D'Alessandro: "Patto sociale, via maestra"

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L'intervista pubblicata dalla rivista "Working Paper" del Centro Studi della Fondazione Ezio Tarantelli, 17 dicembre 2020. 

Qualche anno fa in parlamento si discutevano alcune proposte di legge sulla partecipazione dei lavoratori nell'impresa. Oggi a che punto siamo?
Nulla di concreto, ma ora cambia tutto. La crisi da Covid, la più grave dal dopoguerra, impone una nuova agenda per il nostro paese. Nessuno può pensare che la ripartenza possa avvenire senza un nuovo patto tra lavoro ed impresa e con gli attrezzi, più o meno spuntati, del passato. Del resto questa emergenza ha reso evidente che la resistenza in questo tempo è stata resa possibile solo grazie ad una coraggiosa e generosa disponibilità dei lavoratori e delle imprese a non fermarsi sfidando anche il rischio contagio. Ora è il momento di passare ai fatti.

Perché a suo giudizio la partecipazione ha faticato e fatica ad affermarsi nel dibattito politico italiano?
Troppe resistenze, innanzitutto culturali, verso un evoluto e nuovo patto tra mondo del lavoro e impresa, con piedi impantanati nel passato, ovvero una visione antagonista tra parti contrapposte ha impedito ogni avanzamento. Ha prevalso il filone storico-politico-culturale della negazione dell'interesse comune lavoratori-azienda. Le legittime grandi questioni di tutela dei lavoratori, dei loro diritti, della loro retribuzione possono avvenire dentro convergenti legittime esigenze del mondo dell'impresa, ad esempio sulla produttività. La partecipazione dei lavoratori nell'impresa realizza esattamente questa possibile sintesi, il nuovo spazio di azione, già fortemente radicato nella nostra Costituzione, mai attuato. L'articolo 46 è il nostro faro. Rileggere cosa è accaduto nel nostro paese, a partire da responsabilità oggettive politiche e di parte del sindacato, sarebbe utile non solo per consegnarci una verità storica, ma per comprendere meglio il ritardo strutturale del nostro paese.

Nella costruzione di un modello italiano, a quali esperienze internazionali guarda con maggiore favore?
Su questa materia che si presta ancora a scontri, anche di retaggio post ideologico, io eviterei di assumere un modello di riferimento esterno. Costruiamo un modello italiano.

La prima questione è rispondere alla domanda: serve un intervento legislativo o si lascia al libero negoziato tra le parti sociali? lo sono netto. Serve un intervento legislativo che dia piena attuazione all'articolo 46 della Costituzione. ma andando oltre la partecipazione dei lavoratori nell'impresa (presenza nei CDA, consigli di fabbrica, comitati aziendali d'impresa ecc.). Aderendo alla iniziativa del collega Gianfranco Librandi, che nella vita privata è imprenditore di successo oltre che stimato legislatore, abbiamo lanciato la proposta, che presentiamo già nella Finanziaria, di prevedere la partecipazione agli utili di impresa dei lavoratori. L'impresa può essere comunità partecipata dove il legislatore stabilisce la cornice, mentre le parti sociali la riempiono di contenuto, ma all'interno di una scelta che compie il legislatore, che non può essere messa in discussione, come in Germania, sulla partecipazione dei lavoratori. Abbiamo in Italia una esperienza di fatto fallita della delega nella Legge Fornero incentrata sulla scelta opzionale che non ha prodotto nulla. 

In materia di partecipazione, cosa chiede o suggerisce all'Italia l'Unione europea?
L'Europa deve rappresentare lo spazio comune dei diritti e delle opportunità anche attraverso direttive sempre più nette verso una prassi comune europea, la partecipazione dei lavoratori. Ciò che vale per il nostro paese vale ancora di più per l'Europa. Gli obiettivi e le risorse della Next Generation Eu rappresentano insieme le condizione per una vera rivoluzione industriale: il passaggio al digitale, l'intelligenza artificiale, l'automazione e la transizione ecologica non si realizzano senza un coinvolgimento del mondo del lavoro, senza fare partecipare i lavoratori a questo tornante della storia. Si, ci troviamo di fronte alla quarta rivoluzione industriale che procede in modo esponenziale con i suoi carichi di rischi e di potenzialità. Quale sarà la domanda del nuovo lavoro? In che modalità si svolgerà gran parte del lavoro, anche industriale, in presenza o a distanza? Quanto di «fisico» rimarrà nel processo produttivo e quanto di «immateriale» con inevitabili conseguenze sulla forza lavoro? Qual è il gap tra le attuali competenze ed il fabbisogno di nuove skill? Come si colma il divario? Esiste un rischio espulsione di parte del mondo del lavoro a causa dell'assenza di adeguati piani di formazione e riqualificazione? Gli Stati riescono ad accompagnare con misure di tutela sociale? La produzione «di massa» sarà sostituita da una sempre maggiore «produzione personalizzata» grazie all'uso delle nuove tecnologie? So-no queste, a mio giudizio, le grandi domande di questo secolo non breve, ma brevissimo, perché velocissima è la trasformazione in atto, alle cui risposte devono partecipare tutti.

Crede sia possibile prevedere una sperimentazione nelle imprese a partecipazione pubblica, nazionale o locale? 
Credo di sì, ma non la immagino limitata al comporto delle società di derivazione pubblica, sarebbe un errore. La sfida è innanzitutto nel privato ed è lì che dobbiamo inaugurare nuove forme di relazione industriale. 

Il Patto sociale che la Cisl chiede da tempo, e che anche Confindustria ha recentemente evocato, può contenere lo sviluppo del tema partecipazione?
Il Patto sociale lanciato dalla Cisl è la via maestra. Funzionò e bene con Ciampi, ancora di più serve ora. Quel passaggio storico, per quanto difficile, non è minimamente paragonabile alla complessità attuale. C'è un tempo nuovo, dentro l'incalzare di una crisi inimmaginabile, in una nuova competizione mondiale, con nuovi assetti internazionali a partire dalla elezione di Biden, e prima ne assumiamo tutti consapevolezza meglio è per tutti, a partire dai lavoratori. Insisto sul tema della consapevolezza di ciò che ci sta accadendo e non riguarda solo ed esclusivamente il resistere agli effetti attuali della crisi pandemica, ma ci sarà altro, accelerato e di diverso dopo. Il nostro paese deve rispondere con un patto di lealtà, superando l'attuale dibattito e compiendo un salto in avanti. E ci vuole coraggio perché riguarda la funzione fondamentale innanzitutto del sindaco. Appare realistico immaginare che nei prossimi mesi inizieranno a cadere sul campo i feriti di questa crisi con chiusure, fallimenti, licenziamenti ed inevitabili tensioni sociali. La via facile sarà la tentazione di cavalcare e rivendicare, la più difficile sarà tentare di essere all'altezza della gravità della situazione e di governarla. Uno degli strumenti fondamentali è la partecipazione dei lavoratori alle decisioni accompagnata alla partecipazione agli utili. Una scelta del genere chiaramente riguarda allo stesso modo Confindustria, singolarmente sempre rigida, se non contrapposta al pari della CGIL, ad ogni tentativo di evoluzione partecipativa dei lavoratori consegnando un modello di relazioni industriali rimaste fondate sul conflitto.