Intervista a Maria Elena Boschi per «La Stampa» del 28-10-2025
di Franco Giubilei
È stato scoperto un altro sito che abbina il volto di donne conosciute a immagini pornografiche, c’è anche il suo di volto, che effetto le fa questa vicenda?
«Disgusto. È inaccettabile alterare le immagini di una persona senza consenso, soprattutto quando si tratta di nudi non voluti che mirano a minarne la credibilità professionale. È una forma di violenza. E provo anche vergogna, non certo per chi è vittima, ma per chi lucra su un sistema illegale e per chi guarda o condivide quelle immagini. Anni fa mi è capitato di subire fake news e foto manipolate, come quella del giuramento al Quirinale o quella in cui venivo associata a una ballerina di lap dance. Posso garantire che a chi è coinvolto non viene da ridere».
L’impressione è che ci siano molti siti del genere e che denunciare non basti.
«Purtroppo le denunce spesso cadono nel vuoto, anche perché è difficile risalire ai responsabili che cambiano identità digitale e Paese. E quando si arriva a denunciare, il danno è già fatto, ma bisogna comunque farlo. Non possiamo accettare che il web resti un far west dove tutto è consentito e nessuno paga mai».
I controlli online andrebbero potenziati?
«Certo, ma non è possibile un monitoraggio continuo. I siti si moltiplicano, chiudono e riaprono altrove. Negli ultimi anni le forze dell’ordine hanno fatto passi avanti, ma serve di più. Una nostra proposta è obbligare gli utenti a indicare la propria identità: se i “consumatori” di certe immagini fossero riconoscibili e sanzionabili, ci penserebbero due volte».
È possibile educare questi uomini a non servirsi di siti del genere?
«Uomini e donne, perché il problema non è a senso unico. Ma è un fatto che la maggioranza delle vittime, purtroppo, sono donne, mentre chi sfrutta o diffonde queste immagini sono quasi sempre uomini. E ha ragione Francesca Barra (che ha denunciato l’ultimo caso, ndr) a dire che serve un’alleanza culturale tra uomini e donne, fondata sul rispetto reciproco. Perché le sanzioni servono, ma da sole non bastano».
Serve un’educazione al rispetto fin da bambini?
«Si parte dalla famiglia, ma serve una società intera che educhi al rispetto dell’altro e a un rapporto sano con il corpo. Di certo la scuola è centrale, ma non si può delegarle tutto. E anche i media devono fare la loro parte. Trovo gravi i passi indietro di governo e maggioranza sul divieto di pubblicità sessiste e sull’educazione affettiva. Sono segnali preoccupanti».
C’è una sensibilità politica sufficiente?
«Giorgia Meloni, da presidente del Consiglio, da donna e da madre, dovrebbe promuovere un impegno comune su questi temi. Noi ci siamo e continueremo a proporlo in Parlamento. Vicende come questa tolgono ogni alibi: chi resta in silenzio è complice. Perché chiunque di noi, qualsiasi nostra figlia, potrebbe essere la prossima. E nessuna deve essere lasciata sola».
