Intervista a Maria Elena Boschi per «Il Messaggero» del 06-07-2024
di Ernesto Menicucci
La deputata di IV: «È stata Azione a rompere sul terzo polo. Con Elly si può aprire un dialogo»
Onorevole Maria Elena Boschi, qual è il senso della mattinata alla Cassazione?
«La maggioranza ha approvato una legge sull’autonomia che fa male ai cittadini del sud perché aumenta le diseguaglianze e fa male alle aziende del nord perché aumenta la burocrazia. E mi faccia aggiungere da deputata di Roma, eletta e residente in questa città: è una legge che umilia la Capitale che avrebbe bisogno di poteri speciali e continua a non averne. Siamo andati in Cassazione per raccogliere le firme per un referendum abrogativo delle strambe idee leghiste: se riusciremo nell’impresa, nella primavera del 2025 si voterà anche per questo referendum. E quorum o non quorum ho la sensazione che per il governo Meloni sarà un problema. Il primo vero rischio dall’inizio della legislatura».
Cosa c'entrate voi con Landini, Fratoianni, Bonelli?
«Il fatto che ci fossero persone così diverse dovrebbe interrogare il Governo. Solo le riforme di Salvini e Meloni potevano riuscire a mettere allo stesso tavolo noi e la Cgil. Noi stiamo insieme su una proposta puntuale di merito: vogliamo abrogare questa legge».
Nel centrosinistra c'è spazio per i riformisti?
«Assolutamente sì. Senza riformisti il centrosinistra non vince, come dimostra la recentissima campagna elettorale britannica. Finché i laburisti hanno criticato Blair hanno perso. Quando hanno riscoperto Blair hanno vinto. Non è un caso».
Terzo polo o Margherita?
«Il terzo polo era una grande idea ma è fallita per la responsabilità personale e politica di Carlo Calenda. Calenda ha rotto il terzo polo nell’aprile del 2023 con un comunicato stampa e ha impedito di raggiungere il quorum dividendo i riformisti nel 2024. Non accetto la tesi di chi dice: hanno sbagliato tutti. Eh no, solo Calenda ha messo i veti, nessun altro. Renzi si è occupato dei voti, prendendone più del doppio di Calenda nelle stesse circoscrizioni, di voti e non di veti. Se vogliamo di nuovo un terzo polo, serve un terzo nome. Renzi ha detto va bene, Calenda continua a dire no».
E per la Margherita, chi sarebbe il nome giusto: Gentiloni?
«Ho lavorato con Paolo in due governi e lo stimo ma molto dipende se in questo eventuale progetto confluisce un pezzo dei riformisti del Pd o no. A me piace l’idea della Margherita come lanciata da Rutelli, Parisi e dagli altri: un luogo di cultura politica riformista. Per me è stato il primo partito che ho votato, dunque ci sono affezionata. Vediamo se sarà possibile ricostruirlo con uno sguardo proiettato sul futuro. Sarebbe una sfida suggestiva».
Se guardate all'estero, il vostro riferimento è più il Front Repubblicain francese oppure il Labour party di Starmer?
«I laburisti tutta la vita. Io vengo da una cultura politica per cui sto con de Gasperi e non con il fronte popolare. I laburisti invece hanno vinto quando hanno smesso di demonizzare Blair e sono tornati al riformismo».
Schlein dice: vediamoci più spesso. Da dove partire?
«Da un punto di metodo che a onore del vero Schlein ha sempre sostenuto: non si possono mettere veti. Nel 2022 sono stata testimone personalmente del voltafaccia di Enrico Letta che volle tener fuori Italia Viva solo per un risentimento personale. Ma così facendo spalancò le porte a Meloni. Se non ci sono veti allora si discute, di tutto. Se Elly fa sul serio, come credo, si può andare a vedere le carte».
Ma si può stare insieme solo contro qualcuno?
«No. Per questo abbiamo lanciato una piattaforma libdem cercando di lottare contro questo bipolarismo forzato. Ma se non si raggiunge il quorum alle europee con il proporzionale, a maggior ragione rischiamo di non farcela con il maggioritario alle politiche. La prima caratteristica del riformista è un sano pragmatismo».
Come pensate di conciliare le vostre su lavoro (Jobs Act) e politica estera (vedi Ucraina) con Cgil-Avs-Schlein?
«Sul Jobs Act noi voteremo contro il referendum di Landini con la stessa convinzione con cui votiamo contro le riforme istituzionali di Salvini. Per noi il Jobs Act ha aiutato l’Italia. Però la vera questione è come scrivere le nuove regole sul lavoro. Ero in aula per mettere la fiducia sul Jobs Act e rivendico quella scelta. Ma la discussione oggi non è l’articolo 18. La discussione oggi è come gestire il lavoro al tempo dell’intelligenza artificiale, come garantire salari più alti, come evitare di perdere i neolaureati che non hanno un salario di ingresso paragonabile a quello di altri Paesi. Di questo vorrei parlare, non del passato. E sulla politica estera purtroppo le divisioni sono profonde e trasversali, sia a sinistra che a destra».
Ultima cosa: come commenta le parole di Salis che rivendica le occupazioni abusive?
«Sono contraria. Ma io ho il vantaggio della coerenza. Sono contro le occupazioni abusive sia quando le fa Potere al Popolo nelle periferie di Roma sia quando le fa Casapound. Noi siamo per la legalità sempre. Colpisce che chi attacca Potere al Popolo giustifichi Casapound e viceversa».