L'intervista ad Enrico Borghi per Il Giornale del 12-01-2024
di Laura Cesaretti
Il capogruppo Iv: «Testacoda anche su patto di stabilità, mercato tutelato e abuso d’ufficio»
Senatore Enrico Borghi, da capogruppo di Italia Viva lei ha seguito da vicino il testacoda parlamentare del Pd sull'Ucraina. Come è andata?
«Un doppio testacoda, vorrei sottolineare, perché mercoledì i dem sono riusciti addirittura a votare in due modi diversi tra Camera e Senato, nel giro di pochi minuti. A Montecitorio si sono astenuti su due mozioni, la nostra e quella di maggioranza, che sostenevano la linea del Pd quando era al governo. Poi a Palazzo Madama si è scatenata la buriana interna, soprattutto a causa del dissenso dell’ex ministro Guerini, e si sono precipitati a correggere la linea votando almeno il nostro testo. Col risultato che ben sei senatori dem hanno votato anche il testo della maggioranza sul sostegno all’Ucraina, mentre Susanna Camusso si è arrabbiata e non ha votato la risoluzione del suo partito, perché favorevole alla linea filo-russa di Giuseppe Conte. Un caos».
Se lo aspettava dal suo ex partito?
«Per usare il gergo schleiniano, diciamo che lo avevo visto arrivare. E da tempi non sospetti, tant’è che ne ho tratto le conseguenze e sono uscito dal Pd prima che la deriva si compisse. Ora però è tutta squadernata davanti agli occhi di chi vuol vedere, e mi chiedo cosa aspettino i cosiddetti riformisti, i protagonisti delle stagioni della responsabilità di governo, a prenderne atto. Anche perché il disegno politico di Elly Schlein e del suo gruppo dirigente è molto chiaro».
Qual è?
«È quello di archiviare definitivamente la sintesi tra riformismo, cattolicesimo democratico e cultura socialdemocratica di governo da cui nasceva il Pd, e soppiantarla con un mix di wokismo made in Usa e populismo sudamericano, al disperato inseguimento dei 5Stelle. Chie-do agli amici del Pd che non condividono questo progetto: volete rischiare la fine delle mosche cocchiere di togliattiana memoria o tirerete finalmente fuori un po’ di energia, per evitare di finire sul carro di Tespi del contismo? Anche perché in un paio di settimane, dall’inizio dell’anno a oggi, il Nazareno ha rinnegato le scelte del Pd su almeno quattro temi fondamentali».
A che si riferisce?
«L’Ucraina, ovviamente: una scelta goffa e inconsapevole delle conseguenze, perché sulla politica internazionale si gioca la credibilità intera di un partito. Non a caso poi il responsabile esteri Provenzano è stato costretto a fare chilometrici comunicati per giustificare un voto che neanche i suoi hanno capito. Ma in altri tre casi è venuto alla luce il ripiegamento populista del Nazareno: la fine del mercato tutelato, con il Pd sulla stessa linea della Lega contro le scelte di Draghi, confermate invece da Meloni. La riforma del
Patto di Stabilità, con Schlein che cannoneggia, strillando contro un presunto ritorno all’ "austerità", l’intesa tessuta da un signore che si chiama Paolo Gentiloni. E infine l’abolizione dell’abuso d’ufficio, chiesta da anni dagli amministratori dem. Che però hanno, agli occhi del Nazareno, lo stigma dei riformisti: e dunque Schlein sta sulla linea M5s, e buonanotte ai Bonaccini e ai Nardella, ai Ricci e ai De Caro e ai De Luca».
Il tutto per inseguire i 5S?
«Già, la grande paura di Schlein è di farsi scavalcare in vista del voto di giugno. Ma il gruppo dirigente dem non capisce la vera natura di M5s: Conte, cinico e spregiudicato, punta tutte le sue carte non tanto sulle europee, ma sulle elezioni Usa e il ritorno del suo amico Donald Trump, da cui si fece entusiasticamente benedire in nome del "nuovo sovranismo". E il Pd "di sinistra" non si rende conto che sta andando a rimorchio del trumpismo».