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Bonetti: "Non perdiamo questa occasione. Obiettivo: smart living"

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Intervista di Ilaria Solari, "Elle", 5 novembre 2020.

«Ho un ottimo rapporto con Elena Bonetti. In questo primo anno dì governo abbiamo lavorato tanto insieme, penso ad esempio alla stesura del Family Act, e abbiamo ancora molti obiettivi da centrare, sia in tema di occupazione femminile sia per ciò che riguarda aspetti più legati alla famiglia». Arduo registrare nella storia della nostra Repubblica rapporti così solidali e collaborativi tra due ministri, ma le parole di Nunzia Catalfo, titolare del Lavoro e delle Politiche sociali, a proposito della collega Elena Bonetti, a capo del dicastero delle Pari opportunità e della Famiglia, danno la temperatura di un'alleanza inedita. In un anno difficile per il Paese e per il Governo, questa intesa ha consentito di mettere a segno tappe importanti a sostegno delle politiche di genere e dell'occupazione femminile e in questi mesi di pandemia cerca di fare del criterio dell'equità l'ago della bilancia nell'utilizzo dei fondi europei.

A Elle hanno raccontato insieme come, una volta fuori dall'emergenza, intendono fare del lavoro agile uno strumento di promozione dell'occupazione femminile e di trasformazione dell'intera società. 

Questi mesi di emergenza sono stati una sorta di sperimentazione "imperfetta" dello strumento del lavoro agile come è delineato dalla legge 81/2017; quali riflessioni le ha consentito di fare come ministra delle Pari opportunità e della Famiglia?
«L'aspetto fondamentale emerso è che è prioritario dotarci di una nuova organizzazione del mondo del lavoro che si integri il più possibile con le dimensioni di vita delle persone e delle comunità. Parlo volutamente di persone, comprendendo in questa riflessione sia la dinamica femminile che quella maschile, perché se in questi mesi di smart working "emergenziale" le lavoratrici si sono rivelate le più oberate ed esposte è a causa della fragilità di un sistema che non è ancora organizzato per garantire una corresponsabilità nei carichi di cura familiare tra uomini e donne».

Che cosa deve cambiare?
«Finché insieme allo smartworking non realizzeremo anche uno "smart living", cioè la riorganizzazione complessiva dei tempi e dei servizi, possiamo parlare solo di telelavoro, traslazione dell'ufficio e delle sue dinamiche tra le mura domestiche. Finora abbiamo ragionato in termini di emergenza, con le scuole chiuse, le attività fortemente limitate, ma con la ripartenza lo smart working dovrà essere inteso come un progetto globale che investa e ottimizzi i trasporti, l'utilizzo degli spazi, le procedure, i tempi delle persone, in una dimensione flessibile che consenta di alternare, col ricorso a lavori a progetto, la presenza o meno nei luoghi di lavoro, salvaguardando l'aspetto cruciale delle relazioni e dell'incontro. In particolare vanno trovati strumenti e competenze adeguati per ripensare il modo di vivere lo smart working al femminile».

In che modo, ministra?
«Spesso le nuove tecnologie e la digitalizzazione utilizzano processi di sviluppo pensati da uomini, che non tengono conto delle diverse sensibilità ed esperienze di vita, dei contesti di relazione tra le persone e i gruppi a cui si applicano. Lo smartworking esige per esempio un sufficiente livello di concentrazione, dispositivi e connessioni adeguati, un uso elastico dei tempi attraverso il lavoro a progetti. Ma richiede anche di riconsiderare ì contesti di comunità che sottendono alle famiglie: se il tempo della scuola non è compatibile con la riorganizzazione del lavoro e ci si ritrova davanti al computer coi figli che girano per casa, tutto diventa più complesso».

Questo vuol dire anche pensare a spazi di coworking e servizi che consentano alle lavoratrici di sottrarsi alla "tirannia domestica".
«Un'altra cosa che abbiamo imparato durante questa emergenza è che non solo nell'organizzazione dei tempi lavorativi ma anche nella riflessione sugli spazi siamo arrivati impreparati. Oggi siamo chiamati a correggere questa prospettiva riprogettando e integrando tra loro gli spazi di lavoro, quelli dell'educazione e quelli sociali: è un'opportunità importante su cui investire nell'innovazione complessiva delle nostre città».

Come arginare il rischio che lo smartworking diventi una sorta di ghetto che indebolisce l'affermazione e le carriere delle donne?
«Bisogna, tra le altre cose, pensare a modalità di incentivi perché le aziende sperimentino queste formule coinvolgendo tutti i lavoratori, uomini e donne. In una situazione di equilibro, lo smart working può al contrario agevolare la permanenza di molte donne nel mondo del lavoro, penso in particolare alla tutela di chi rientra dalla maternità».

Lo smartworking come strumento di welfare?
«No, il welfare è un'altra cosa, ma è sicuramente una modalità di lavoro più compatibile con quel tempo della vita, delicato per le madri, che la maternità allontana anche fisicamente dal lavoro, ma anche per i padri, per i quali tra l'altro vogliamo prolungare il congedo di paternità. Al di là del congedo, attraverso lo smartworking si possono pensare forme di elasticità e di premialità per sostenere la corresponsabilità dei papà nella cura familiare. Più che come lavoro a distanza, dobbiamo insomma pensarlo come una modulazione intelligente finalizzata al benessere e ai bisogni del lavoratori. Questo è anche l'indirizzo dei progetti cui stiamo pensando nell'ambito del Recovery Fund e il motivo per cui ho voluto introdurre l'equità di genere come uno degli obiettivi principali, il criterio e il pilastro attraverso cui valutare l'effettiva efficacia dei progetti che metteremo in campo».