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Bonetti: "Le italiane meritano un altro futuro"

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Intervista di Monica Bogliardi, "Grazia", 5 marzo 2021.

Agevolazioni per chi assume lavoratrici, più occasioni per le laureate nelle materie scientifiche, uno smart working attento ai bisogni delle madri e un piano contro la violenza di genere. A Grazia la Ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti anticipa le decisioni del nuovo governo che metteranno al primo posto le donne, le più colpite dalla crisi seguita alla pandemia

Questo 8 marzo cade a un anno dallo scoppio della pandemia, e chiede un bilancio. Eccolo: la crisi da Covid è stata, ed è tuttora, una crisi di genere. Le donne hanno lavorato più degli uomini, in casa e fuori, in prima linea; hanno perso il lavoro più di loro, tanto che è nata la parola “Shecession”, recessione al femminile; sono state molestate più degli altri anni. E le donne sono in minoranza nei ruoli chiave degli incarichi dell’emergenza Covid, ne occupano solo 2 su 10, mentre nel governo di Mario Draghi sono appena 8 su 23 ministri. Del resto il Gender Equality Index, un indicatore che misura il progresso sull’uguaglianza di genere in Europa, vede l’Italia solo quattordicesima su 28 Paesi. La strada da fare è ancora lunga. Per questo alla Ministra alle Pari Opportunità, Elena Bonetti, Grazia ha chiesto quali misure vanno prese, subito, tra politica, economia, scuola.

Le donne nel 2020 hanno perso il lavoro molto più degli uomini. Quali correttivi economici andrebbero messi in atto contro la recessione femminile?
«Ci vogliono azioni che creino valorizzazione delle competenze. Ma soprattutto strumenti di fiscalità agevolata come quelli che abbiamo introdotto con la scorsa legge di bilancio. Per 24 mesi chi assume una donna non paga i contributi. Va rafforzato quest’asse, per esempio abbassando il costo del lavoro anche per chi assume una persona in sostituzione maternità».

Meno della metà delle italiane lavora. Come si può favorire il loro accesso al mondo del lavoro?
«Altra misura utile è la decontribuzione del lavoro domestico. I contributi per gli aiuti domestici di cui le donne si avvalgono per andare a lavorare dovrebbe pagarli lo Stato. E poi servono altre misure sulla falsariga del fondo da 20 milioni di euro che abbiamo già stanziato per le piccole e medie imprese femminili. Questo fondo realizza due obiettivi fondamentali: dà alle creatrici d’impresa un accesso al credito agevolato. E finanzia percorsi di formazione e riqualificazione per le donne che devono rientrare nel mercato del lavoro post-Covid».

Tra i progetti destinati alla parità di genere del Recovery Fund, il piano europeo per la ripresa, qual è quello cui tiene di più?
«Quello che traccia la prospettiva che è necessario adottare, e su cui il precedente piano non aveva centrato pienamente il bersaglio: la parità di genere dev’essere trasversale a ogni singolo progetto. Di ognuno, che riguardi la transizione ecologica o quella digitale o altro, ci si dovrà chiedere “Come inciderà sulla parità di genere?”. E poi ci saranno anche programmi mirati alla discriminazione di genere. In Europa siamo ultimi in classifica per il lavoro femminile, e sotto la media dell’Unione nella diffusione di asili nido. Il Piano nazionale degli asili nido è un progetto cui tengo moltissimo, e su cui sono stati stanziati già 2 miliardi e mezzo di euro. Altri ne arriveranno, perché la media nazionale della copertura delle richieste è il 24 per cento: oggi, 76 bambini su 100 restano fuori dai nidi. L’Europa ci indica come obiettivo il 33 per cento, il nostro Piano darebbe una copertura del 50. Ogni punto guadagnato significa anche più donne in condizioni di poter lavorare».

Il lavoro femminile, però, in futuro dovrebbe collocarsi di più nell’ambito scientifico e tecnologico.
«Per attrarre le studentesse verso gli studi scientifici va avviato un progetto di alfabetizzazione matematica. Che deve diventare, com’è successo per l’inglese, la nuova lingua condivisa del sapere. Lo studio della matematica va potenziato in quantità e qualità, perché diventi “la” chiave che apre alle ragazze la porta delle facoltà Stem».

Le violenze di genere sono aumentate in epoca Covid. Come fare per invertire la tendenza?
«Siamo in fase di scrittura del nuovo Piano Strategico Nazionale contro la violenza sulle donne. Per difenderle vanno integrate le reti che già operano nel territorio: forze dell’ordine, centri anti-violenza, presìdi sanitari, scuole. A fine 2020 sono stati erogati a questo fine 28 milioni di euro. Bisognerà stanziare altri fondi. Faremo un bando nazionale per identificare azioni di sistema mirate. E apriremo un tavolo per nuove azioni di contrasto ai femminicidi con le ministre Marta Cartabia, alla Giustizia, e Luciana Lamorgese, all’Interno».

Come vedrebbe un periodo di quote rosa, che nei Consigli di amministrazione delle imprese hanno dato buoni risultati, ai livelli alti della politica: sottosegretari, viceministri, ministri, governatori?
«Le quote rosa non sono antitetiche al merito, piuttosto devono affiancarvisi. Vanno promosse nei contesti politici, come le giunte regionali, in cui si procede per nomina. Come sa, sono stata firmataria della legge per la doppia preferenza di genere nella scelta elettorale della Regione Puglia. Ma la parità di genere dev’essere strutturale, non transitoria. Nel mio partito, Italia Viva, lo è dall’inizio, per tutte le cariche e le responsabilità».

Lo smart working nel 2020 ha penalizzato le donne. Nella legge sul lavoro agile quali articoli inserirebbe a loro favore?
«Per tutti lo SW dev’essere una modalità di lavoro compatibile con i servizi educativi rivolti ai figli. Ma al contempo si deve evitare che sia destinato solo alle donne, mentre i loro compagni vanno in ufficio. Come? Creando per esempio luoghi di co-working, per genitori di entrambi i sessi, che prevedano spazi e servizi dedicati ai loro figli».

Parliamo di sessismo nel linguaggio, che colpisce le donne. Oltre a puntare sulla prevenzione della trasversale cultura dell’odio, perché non definire pene più severe per gli autori di questi reati?
«Si voterà presto in Senato la legge che aumenta le pene per istigazione all’odio e alla misoginia. Ma il linguaggio è l’espressione della cultura di un popolo: il percorso culturale ed educativo che insegna, a partire dalle scuole di ogni grado, a superare gli stereotipi di genere, mi creda, è molto più importante delle pene. È la vera azione di sistema da intraprendere e al più presto».


Approfondimento - La vera parità? Forse sarà raggiunta tra 60 anni

Il Gender Equality Index misura la parità di genere nei 28 Paesi dell’Unione Europea. Pubblicato ogni anno dall’European Institute for Gender Equality, con 31 indicatori indaga sei ambiti principali: lavoro, benessere, salario, istruzione, tempo, posizioni di potere. Più due aggiuntivi: la violenza contro le donne e altre disuguaglianze che considerano fattori come livello d’istruzione, età, disabilità. L’Europa stima che per avere completa parità di genere ci vorranno almeno 60 anni. Nella classifica l’Italia è solo quattordicesima.