Intervista di Tiziana Pikler, "Prima Comunicazione", 18 febbraio 2022.
Elena Bonetti, 48 anni, ministra per le Pari opportunità e la famiglia e fedelissima di Matteo Renzi, non ha dubbi quando è chiamata a commentare la 'débacle' delle donne nella vicenda dell'elezione del Presidente della Repubblica. "Abbiamo assistito", spiega a Prima, "alla prova di una politica che non è in grado di mettere davvero in campo una scelta di parità di genere".
Una scelta che molti settori della società civile avevano sostenuto fortemente, con appelli e pubbliche prese di posizione. "Ma in realtà", racconta la ministra che dal 2016 è professore associato di analisi matematica all'Università degli Studi di Milano Statale, "le donne sono state messe in campo solo come simbolo, non sono stati costruiti percorsi e non sono state fatte scelte per arrivare davvero ad avere un consenso sulle figure femminili. Così le donne proposte (Maria Elisabetta Alberti Casellati, Letizia Moratti, Marta Cartabia, Elisabetta Belloni, ndr) sono state 'bruciate'.
Ministra Bonetti, cosa non ha funzionato?
Non sono state valutate realmente le loro personalità, che peraltro erano molto valide e qualificate. Nessuna di loro è stata messa nelle condizioni di poter raccogliere un consenso trasversale, che potesse portare alla presidenza della Repubblica. Sono grata al presidente Sergio Mattarella di aver confermato la sua disponibilità anche perché lui, da sempre, ha interpretato in maniera forte la scelta costituzionale della parità di genere. altrettanto evidente che il governo, sotto la guida del presidente Mario Draghi, abbia fatto un balzo in avanti non solo nella consapevolezza, ma soprattutto nella scelta concreta di politiche di parità di genere: dalle regole nel Pnrr alla leadership che abbiamo interpretato, a livello internazionale, con la presidenza del G20. Per la prima volta nella storia una conferenza ministeriale sulla parità di genere; e oggi questo tema è asset strategico in Europa e nel dibattito internazionale.
Il ruolo del suo ministero è fondamentale in questo processo...
I due grandi capitoli di attività hanno riguardato da un lato le politiche della famiglia e dell'educazione e dall'altro le pari opportunità. Nel primo ambito, la riforma del Family act, che deve essere portata a compimento, la realizzazione dell'assegno unico universale, i servizi educativi per la prima infanzia, la riforma dei congedi parentali, l'investimento nel lavoro femminile e nel protagonismo dei giovani hanno avuto anche l'obiettivo di rispondere a delle fragilità sistemiche del nostro Paese a cominciare, purtroppo, dal processo di denatalità. È appena stato firmato dal presidente Mattarella il quinto Piano per l'infanzia e l'adolescenza, che mancava in Italia dal 2012. Sul versante delle pari opportunità abbiamo messo a punto la prima Strategia nazionale per la parità di genere, che ha posto degli obiettivi chiari al Paese, monitorabili, fino al 2026. Per la prima volta la parità di genere è entrata a far parte di un piano stabile, volto alla costruzione di percorsi di pari opportunità. Ecco, la scelta di rendere strutturali le politiche familiari e le pari opportunità è la chiave del mio operato. Si tratta di assi portanti che non solo hanno risposto all'esigenza dell'oggi ma hanno voluto costruire processi stabili, solidi per il Paese da qui ai prossimi anni.
Questi progetti incontrano l'interesse dell'Europa?
Il dialogo con l'Ue è costante. Il governo Draghi, insieme a quello degli altri Paesi dell`Unione, è in prima linea per portare avanti il pieno compimento della parità di genere. Nell'ultimo incontro con gli altri ministri europei ho affermato con forza che il processo non potrà dirsi concluso se non porterà davvero a compimento l'obiettivo della parità di genere e l'empowerment delle donne, proprio perché l'Europa deve essere l'Europa delle opportunità, di tutte e di tutti. Senza il contributo di tutte e di tutti l'Europa non potrà davvero interpretare le sfide del futuro e una crescita che sia inclusiva, sostenibile e resiliente, che è quello a cui vogliamo puntare e che rappresenta il dna della scelta europea comunitaria.
Come è iniziata la sua carriera politica?
Inizialmente ho scelto la politica in una forma non partitica, come scelta di servizio nell'ambito del volontariato, nello scoutismo, quella che a volte si chiama 'pre-politica' ma che in realtà è la politica, ossia la costruzione di percorsi di cittadinanza, in particolare attraverso l'educazione, e di azioni concrete per costruire, a partire dai territori e dalle nostre comunità, quella prossimità e quei legami di coesione che costruiscono il Paese. Successivamente sono stata chiamata a esercitare un ruolo in ambito partitico e, negli ultimi anni, il ruolo istituzionale di ministra. La mia scelta politica ha quindi assunto forme diverse di servizio alle istituzioni. Sono convinta che, in Italia, dovremmo saper rianimare la consapevolezza della scelta politica a partire dall'esperienza comunitaria dei territori, delle amministrazioni comunali e della società civile, che è il luogo del vissuto delle persone e ha un forte potere istituzionalizzante per la politica stessa.
Quel servizio alle istituzioni che forse è mancato nei giorni dell'elezione del capo dello Stato?
Il presidente Mattarella, che dice "se serve, ci sono", è la testimonianza più alta di una vita che si è offerta completamente al servizio delle istituzioni, mettendo da parte anche i progetti personali.
E da parte dei partiti?
Non voglio negare che ci sia stato un dibattito parlamentare con alti e bassi, in alcuni casi di mancanza di strategia. Poi, però, il processo democratico ha portato tutti a convergere su una scelta di ricomposizione. Oggi il Paese può ritenersi soddisfatto perché abbiamo un presidente della Repubblica davvero garante dei valori della Costituzione e un presidente del Consiglio che conferma la capacità dell'Italia di saper rispondere e ripartire nei momenti di difficoltà, riattivando un percorso di comunità per tutti.
Durante le ultime elezioni è emerso un linguaggio della politica ancora una volta più centrato sulla distruzione che sulla costruzione. Dove sta andando, allora, la comunicazione politica?
Mi permetto di dire dove deve andare. Quello che lei ha sottolineato nella sua domanda è la fragilità della politica che invece, oggi, deve reinterpretare un linguaggio di ricomposizione, di mediazione e di dialogo, il linguaggio dei costruttori. Sempre per citare il presidente Mattarella: "Oggi è il tempo della ricostruzione". Anche della ricostruzione di una partecipazione collettiva nell'ambito della politica. Gli scontri, anche verbali, di cui il linguaggio è testimone, polarizzati da una parte e dall'altra, hanno creato impasse e stallo per il Paese. Invece l'Italia sa andare avanti nel momento in cui il linguaggio è costruzione di connessione, di dialogo, di una sintesi condivisa. È una stagione costituente nuova, che dobbiamo saper interpretare anche offrendo al Paese parole nuove. Questo significa riforme, un nuovo processo culturale di comunità, protagonismo concreto di tutte e di tutti.
Le donne cominciano ad avvicinarsi alle posizioni apicali nei media. Questo può aiutare nel modo di trasferire il linguaggio politico?
È fondamentale che l'informazione interpreti e aiuti questo processo. Promuovere il protagonismo femminile non è semplicemente il riconoscimento di una parte del Paese, ma un percorso in grado di contribuire al bene e allo sviluppo dell'Italia. Si tratta di assumerne tutti piena coscienza. Promuovere campagne che danno voce alle donne, che riconoscono le competenze e i talenti femminili è un modo per rompere gli stereotipi e per costruire un dialogo nella diversità, anche di genere, che dia completezza di sguardo. Le donne competenti in Italia ci sono, in tutti i settori, e sempre di più devono essere al centro del dibattito della comunicazione in ruoli di leadership proprio per essere non solo delle role model, ma attivatrici di un nuovo dialogo.
In questa direzione va anche l'iniziativa #NoWomenNoPanel?
Esattamente. È un'iniziativa importante e che ho firmato con la presidente della Rai, Marinella Soldi, e a cui hanno aderito diversi soggetti. Noi, come ministero, l'abbiamo sostenuta subito e il protocollo che abbiamo firmato è il segno di questa scelta. Non ci può essere dibattito pubblico che non abbia una presenza di donne perché la verità, la profondità, la comprensione di tutti i fenomeni devono muoversi anche attraverso il percorso che viene fatto dalla diversa prospettiva di genere.
Qual è il suo personale rapporto con i media?
Di riconoscimento di un valore alto e di una stima profonda verso il servizio che i media svolgono nel Paese e la competenza di tante donne e uomini. L'informazione oggi è una delle chiavi di formazione della coscienza e della costruzione di un Paese che sia più capace di affrontare le sfide del futuro. Si tratta di elementi fondamentali per dare davvero pieno compimento alla nostra scelta democratica.
Sono stati fatti errori di comunicazione nel tempo della pandemia?
Sulle valutazioni di ciò che è stato fatto, c'è sempre un'analisi che mette in campo luci e ombre. Io voglio leggere con estrema positività il fatto che nel linguaggio dell'informazione e della comunicazione sia entrata la scienza, con il dato e il metodo scientifici. Inizialmente questo è avvenuto a fatica, ma si è poi affermato come una prassi che, raccontata e compresa con maggiore naturalezza, ha dimostrato quanto il metodo scientifico sia fondativo anche del nostro processo democratico. È un elemento che ha segnato un passo importante verso il superamento dello stile di una politica che si limitava ad affermare e a gridare. Con il tempo abbiamo imparato che le cose andavano dimostrate e certificate con dei dati, che servono delle analisi e delle riflessioni. Questo è il metodo della scienza, un metodo che, riportato al linguaggio della politica, credo possa attivare consapevolezza nelle scelte ed è uno degli elementi arricchenti dell'informazione di questo tempo.
La comunicazione e l'informazione, però, da sole non sono sufficienti. Cosa occorre davvero cambiare nel nostro Paese per avere una vera parità di opportunità?
Devono cambiare la cultura e la prassi di vita. L'informazione e la comunicazione possono contribuire in maniera strategica. Nell'ambito della Strategia nazionale abbiamo introdotto alcuni assi-chiave: il cambio delle regole nel mondo del lavoro, la promozione della parità salariale e gli incentivi alla presenza e alla carriera femminili. È chiaro che il percorso reale parte dall'educazione: non solo delle nuove generazioni, ma di un Paese che si riconferma nella scelta della parità di genere. La nostra Costituzione l'ha posta come obiettivo da raggiungere e dobbiamo raggiungerla completamente.