Ieri a Ercolano l'inaugurazione del centro antiviolenza dedicato ad Annabella Cozzolino, con la Ministra Elena Bonetti, i parlamentari Iv Gennaro Migliore e Catello Vitiello e il sindaco Ciro Buonajuto. L'intervista alla Ministra su "Il Mattino", 8 maggio 2021.
«Prevenire, prima di tutto occorre prevenire». La ministra per le Pari opportunità e la Famiglia Elena Bonetti ha trascorso il pomeriggio di ieri in provincia di Napoli, a Ercolano prima e Afragola poi, per tagliare il nastro di due centri antiviolenza. Una doppia iniziativa programmata da tempo, ma divenuta simbolica a due giorni dalla morte di Ylenia Lombardo, giovane madre uccisa a San Paolo Bel Sito da un corteggiatore respinto.
«Bisogna dare alle donne - dice Bonetti - ogni opportunità per chiedere aiuto. E, subito dopo, per ottenerlo. Tragedie come questa sono spesso l`epilogo di percorsi di solitudine, noi dobbiamo restituire speranza a quella solitudine».
Ministra Bonetti, chi deve interrogarsi di più di fronte all`ennesimo femminicidio: lo Stato, le forze dell`ordine, il territorio?
«Ovviamente questa è una piaga che impegna la responsabilità di tutti. Una risposta, la più immediata e concreta, sta nei luoghi come questi appena inaugurati a Ercolano e Afragola. I centri antiviolenza, luoghi di contrasto e di accompagnamento delle donne vittime di violenza e di ogni forma di prevaricazione e di discriminazione, stanno già rappresentando un riferimento determinante, e sempre di più saranno chiamati a esserlo. É nel territorio, nella sinergia tra persone e organismi chiamati a fare rete, che si deve continuare a lavorare. Sapendo bene che azioni di repressione in questo ambito non bastano, anche se sono altrettanto importanti».
La maggiore severità della legislazione, i nuovi profili di reato introdotti dalla legge "Codice rosso", in effetti, non sembrano aver tolto la voglia agli uomini violenti.
«Oltra all`inasprimento delle pene sono essenziali gli strumenti procedurali che velocizzano le indagini, l`allontanamento della persona violenta e l`avvio delle misure di protezione della vittima. Altrettanto determinante è il lavoro di sinergia tra le forze dell`ordine e la comunità locale, i Comuni, le associazioni: tutte le "sentinelle" che hanno antenne sul territorio, le prime chiamate ad agire subito».
Risulterà anche a lei, però, che queste "sentinelle" hanno di solito l`acqua alla gola: spesso sono proprio i centri antiviolenza i primi servizi sociali a saltare, nei Comuni con i bilanci in rosso. Non le sembra un controsenso?
«Per questo intendo promuovere un`iniziativa di legge che renda strutturali il piano antiviolenza triennale e lo stanziamento di risorse: va garantita continuità al funzionamento dei centri antiviolenza, delle case rifugio e di tutte le iniziative necessarie anche a realizzare l`affrancamento economico della donna vittima di violenza, a offrirle cioè una possibilità concreta di ricostruzione del suo percorso di vita. Questi interventi devono essere strutturali e godere di risorse strutturali, indipendenti cioè dalle contingenze della politica».
Ylenia, sfuggita a un marito violento, è stata poi uccisa da un uomo psicologicamente fragile, da tempo in cura presso un Centro di igiene mentale e sottoposto a un Tso. Ora qualcuno parla dell`ennesima morte annunciata: cosa non ha funzionato?
«Il caso di questa giovane donna, come tutte le storie delle donne vittime di violenza, chiede che le maglie della rete di protezione e di sostegno siano ancora più rafforzate. Serve un lavoro di sinergia e regia territoriale che coinvolga amministrazioni, servizi sociali e sanitari, forze dell`ordine e associazioni. Ma dobbiamo puntare anche sull`emancipazione economica delle donne».
In che modo?
«Investendo in lavoro femminile e potenziando strumenti come il reddito di libertà e il microcredito di libertà. Un assegno per sostenere la vita della donna e dei suoi figli lontano dal compagno violento, ma anche accesso facilitato al credito, coperto al 100 per 100 dallo Stato, per consentirle di intraprendere percorsi lavorativi autonomi. Troppe donne continuano a sopportare e a subire la violenza perché dipendenti dal punto di vista economico. Non è più accettabile».