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Bellanova: “Usiamo le risorse per aprire più aziende, non per tenerle chiuse”

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Intervista di Emilia Patta, "il Sole 24 Ore", 23 aprile 2020. 

«Fase due significa: continuare a fronteggiare il dato epidemiologico, sostenere e rilanciare il sistema produttivo, fronteggiare emergenza economica e, non irrilevante, quella alimentare. Riorganizzare lavoro, trasporti, socialità in base a distanziamento sociale e presidi di sicurezza. Questi costi non devono essere scaricati sulle imprese. Per questo dico: preferisco investire risorse per rendere sicuri i luoghi di lavoro piuttosto che per mantenere chiuse le aziende, e destinarle alla riduzione del rischio nella mobilità piuttosto che per tenere le persone a casa». La ministra per le Politiche agricole, alimentari e forestali Teresa Bellanova, capodelegazione della renziana Italia Viva al governo, spinge per riaprire il prima possibile le aziende che possono garantire la sicurezza dei lavoratori. «Si deve fare di più, serve coraggio», è il suo appello.

Ministra Bellanova, sta per partire la cosiddetta Fase 2. L'Italia deve riprendere le attività tutta insieme o possono e devono ripartire prima le regioni meno colpite?
In questi mesi ho detto spesso: fronteggiare l'emergenza, mettere a dimora il dopo. Molto di quello a cui siamo abituati, compresa l'organizzazione del lavoro e della socialità, non sarà più come prima. È un pensiero che può fare paura e creare sgomento. Non è semplice ma è necessario. Ci stiamo arrivando troppo tardi. Siamo chiamati a dare risposte a un Paese, comprensibilmente impaurito e disorientato, che va tutelato e protetto sotto tutti i punti di vista. Il rischio fame è serissimo. Così quello di nuove povertà. Per interi segmenti le cose cambieranno irreversibilmente. È irresponsabile immaginare di farvi fronte con una modalità puramente assistenziale o procedendo senza una logica unitaria e una regia generale. Non mentre rischiamo di perdere posizioni conquistate a durissima prova, e migliaia di imprese leader mondiali oggi sono in forte sofferenza. Al Presidente Conte avevo suggerito di procedere in base ai dati epidemiologici territoriali e nella logica delle filiere piuttosto che dei codici Ateco: non ho cambiato idea.

Siete soddisfatti di come si sta impostando in queste ore la ripartenza?
Non credo si possa essere soddisfatti per tutto quello che il Paese ha dovuto e dovrà sostenere. Determinati, questo sì, per impedire un disastro economico e sociale irreparabile. Il coraggio della politica è essenziale, serve visione e coraggio.

Che cosa prevede - e che cosa chiede - per le filiere di cui si occupa il suo ministero: agricoltura e agroindustria?
Parliamo di un settore che in queste settimane ha dimostrato la sua centralità, in Italia e nel mondo. La filiera della vita va ripagata dell'enorme impegno fatto per garantire il cibo. Il che non è stato e non è per niente facile. Chiedo un'attenzione e un rispetto coerenti con tutto questo. Risorse a fondo perduto. Quella sofferenza di cui parlavo prima la stanno scontando anche settori di eccellenza, penalizzati in modo fortissimo dal blocco del canale ho.re.ca e dal rallentamento dell'export. Nel Decreto Cura Italia e nel Decreto Liquidità diamo le prime essenziali risposte, ma è necessario molto di più. Interesse nazionale e posizionamento della filiera alimentare vanno di pari passo. Non lo dico solo pensando ai mercati globali; anche in termini di garanzia degli approvvigionamenti e della sicurezza alimentare. Il futuro del sistema-Paese passa da qui molto più di quanto non si sia disposti a riconoscere.

Lei ha chiesto una sorta di sanatoria per gli immigrati che lavorano nei campi, con il solito coté di polemiche da parte della destra...
Nessuna sanatoria. Faccio i conti con le cose sotto i nostri occhi e che bisogna sapere vedere. L'ideologia non risolve i problemi, semmai li aggrava inesorabilmente. Nei campi c'è bisogno di manodopera stagionale, e lavoratori agricoli non ci si improvvisa da un giorno all'altro. Le nostre campagne, dove le lavoratrici e i lavoratori stranieri coprono oltre 30 milioni di giornate lavorative pari al 26,2% del totale del lavoro necessario, sono anche un grande laboratorio di integrazione. Accanto a questo c'è il tema del lavoro irregolare, sottopagato e sfruttato, gestito dai caporali che controllano in questo modo lavoratori e imprese, soprattutto quelle piccole e piccolissime. Dobbiamo farci i conti una volta per tutte. A partire dal Piano di prevenzione contro il caporalato e dalla Rete del lavoro agricolo di qualità che è uno snodo essenziale così come lo è l'incrocio trasparente e legale della domanda e offerta di lavoro. Va salvaguardata la filiera agricola e alimentare, vanno salvaguardate le migliaia di imprese sane che scelgono la legalità e il rispetto del lavoro e che hanno nella concorrenza sleale il peggior nemico, va sconfitto, una volta per tutte, l'orrore del caporalato e dei ghetti. Perché o è lo Stato a farsi carico della vita di queste persone o sarà la criminalità a sfruttarla.

Quali fabbriche, al di là del settore agroalimentare, devono ripartire prima che sia troppo tardi?
Le aziende strategiche, certo, ma la nostra forza è la dorsale delle piccole e medie aziende manifatturiere, che si sono rimboccate le maniche anche nei momenti di maggiori difficoltà vissuti in questi anni. Se il Paese ce l'ha fatta è soprattutto grazie a loro. Non possiamo né indebolirle ulteriormente né perderle. Devono poter riaprire, con tutte le garanzie necessarie per la salute di chi ci lavora. E su questo che vanno investite le risorse. Per impedire che vengano sopraffatte da una concorrenza che già è in agguato. La leadership non te la regala nessuno. E il tempo non è una variabile indipendente.

Come va aiutato il made in Italy?
Sostenendo la nostra leadership globale, tutti quei segmenti che nel mondo fanno la forza del made in Italy. Avendo ben a mente il sistema-paese, di cui non parla più nessuno, per orientare in questa direzione politiche e risorse.

I cantieri sono una priorità? Devono ripartire subito?
Priorità assoluta, come Italia Viva ha dimostrato con Italia shock. Su opere grandi e piccole sono bloccati miliardi. Se le scuole sono destinate a restare chiuse, non vedo perché non mettere a valore risorse e lavoro per garantire qualità, sicurezza e bellezza a quegli edifici e ai nostri ragazzi. Lo possiamo fare subito. L'avremmo già dovuto fare.

Le prospettive dell'economia italiana dopo l'emergenza sanitaria sono da brividi. Come ne usciamo?
Di certo non con l'assistenzialismo ma investendo su qualità, settori strategici - e l'agroindustria lo è - su nuove generazioni, innovazione, sostenibilità. Va ripensato un intero modello produttivo.

È giusto o no applicare l'app immuni?
Dovrà essere il Parlamento a decidere. Temi così importanti come la gestione dei dati sensibili e le informazioni sulla salute delle persone non possono essere appannaggio di soggetti terzi.