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Teresa Bellanova, “Risposte chiare o non ha senso restare”

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Intervista di Barbara Jerkov, Il Messaggero, 19 dicembre 2020

Ministro, tanta attesa per il confronto Iv-Conte, poi una mezz’ora di colloquio in tutto.... Segno cattivo o segno buono? 
«Non misurerei la qualità dell’interlocuzione dalla durata dell’incontro. D’altra parte quello che pensiamo è noto da tempo e così le ragioni sostanziali per cui proprio Italia Viva ha posto in tempi non sospetti la necessità di una verifica programmatica. E Renzi aveva largamente anticipato al Presidente del Consiglio, ma non solo, i contenuti in una lettera di cui rivendico l’impianto politico e prospettico. Se l’incontro darà frutti, lo sapremo nei prossimi giorni quando Conte ci risponderà nel merito. Capiremo allora la reale esistenza dello spazio praticabile». 

Renzi ha chiesto un vero e proprio nuovo programma di governo: non sarà un modo per farsi dire no? 
«Nuovo programma di governo? Se mai nero su bianco le priorità che per Iv devono caratterizzare l’azione dell’esecutivo. Se si ha a cuore il Paese, ci sono tutte le condizioni per dire sì. La mia regola è: non si può navigare a vista, passare di emergenza in emergenza. Mediazione politica e sintesi non spettano a noi ma a Conte. Siamo veramente messi male se interpretiamo proposte rigorose e precise, chiare, come un modo per farsi dire di no. Sarebbe come dire no a questioni strategiche per l’Italia. Verrebbe meno ogni presupposto per il governo». 

Sintesi e mediazione: che vuol dire di preciso?
«È inaccettabile la netta sensazione che ci sia una maggioranza nella maggioranza. Dover discutere un provvedimento di governance per un Piano di riforma su cui ci giochiamo il destino del Paese senza aver avuto la possibilità di studiarlo con attenzione e di valutarlo con la propria forza politica. Non avere nessuna chiarezza sul metodo con cui si va costruendo il Piano di ripresa e resilienza. Se siamo tutti sullo stesso piano, le informazioni devono essere a disposizione di tutti. Pretendere trasparenza e discontinuità su questo è il grado zero». 

Sta parlando del Recovery? 
«Sto dicendo che 209 miliardi non sono un fatto privato e che questa posta in gioco è troppo alta, perché deciderà il futuro dell’Italia e delle nuove generazioni, su cui peraltro graverà come debito parte della somma. Se qualcuno pensa ci sia una valigetta con dentro banconote da mille come nei film di James Bond si sbaglia di grosso. Se commettiamo l’errore, come è accaduto fin troppo spesso con i fondi europei, di utilizzarle come risorse ordinarie piuttosto che per aggredire tutte le criticità strutturali che impediscono ormai da anni a questo Paese di liberare le sue enormi potenzialità, facciamo un errore imperdonabile. Correndo il serio rischio a quel punto di fare la fine della Grecia che ha pagato a carissimo prezzo il rientro del debito. Di questo dobbiamo discutere, non di consulentifici e strutture opache con poteri sostitutivi su tutto. E di come è invece essenziale, prioritario, mettere mano al rinnovo della pubblica amministrazione per tenere insieme capacità di spesa, qualità dei progetti e tempi certi di attuazione. Chiunque svilisca questa sostanza parlando di logiche spartitorie, me lo faccia dire: è patetico, un’offesa all’intelligenza. Vuol dire non avere proprio capito niente». 

A maggior ragione, allora, che accade se, passate le Feste, la risposta di Conte non la riteneste adeguata? Potreste passare all’appoggio esterno?
«Aspettiamo la risposta. Di certo dovrà essere all’altezza delle questioni poste. Se non lo fosse, verrebbe meno anche il senso del mio e del nostro stare al governo. Lo ha detto Renzi in Senato; lo ripeto io: noi non facciamo tappezzeria. Questa è la nostra battaglia perché il Paese sia messo nelle condizioni di correre e per il futuro delle nuove generazioni, non per qualche poltrona in più. Che la discussione politica svolta finora sul Recovery sia desolante non lo dico io, ma analisti raffinati. Che nessun ministro conosca quanti tra i progetti presentati da ogni dicastero facciano parte del Piano e quanti no e perché, è cosa risaputa. Che non ci sia stata, dopo l’approvazione in Parlamento dei sei assi, discussione pubblica degna di questo nome non è solo un mio punto di vista. Ed è sotto gli occhi di tutti la necessità, messa a nudo dalla pandemia, di investire in sanità un monte di risorse sufficienti ad affrontare tutte le criticità emerse drammaticamente in questi mesi e che le persone pagano sulla propria pelle. Se veramente vogliamo incidere in maniera radicale, le risorse del Mes sono necessarie, altro che chiacchiere. Ogni giorno passato a cincischiare, significa uomini e donne che non riescono ad accedere alle normali cure mediche».

Nel frattempo il governo di fatto è paralizzato, dopo il vostro altolà alla cabina di regia che fine ha fatto il piano sui fondi del Recovery? 
«La verifica serve a questo: capire se ci sono le condizioni non per vivere alla giornata ma per lavorare seriamente». 

Possibile che le famiglie italiane abbiano saputo solo a meno di una settimana dal Natale cosa potranno o non potranno fare?
«È  il segno evidente di un più di errori nelle scelte passate. L’ultimo Dpcm è del 3 dicembre. Adesso per correggerlo facciamo un ennesimo provvedimento con ricadute pesanti anche su chi si era orientato in base alle scelte precedenti. Per questo è necessario cambiare passo. E avere molta ma molta più attenzione per il paese reale. Ogni decisione che assumiamo deve accompagnarsi a ristori adeguati». 

Si è molto parlato del nodo Servizi. Tra le condizioni per proseguire c’è anche la necessità che Conte ceda la delega a un sottosegretario ad hoc? 
«Sì, lo abbiamo detto con estrema chiarezza. L’indisponibilità di Conte a un confronto sul ruolo dell’Autorità Delegata è inspiegabile. L’intelligente appartiene a tutti, non è la struttura privata di qualcuno: è necessario indicare un nome autorevole per gestire questo settore. Nemmeno su questo terreno Conte può lavorare solo con se stesso».