Italia Viva Governo

Bellanova: "La legge sul caporalato ora va estesa al terziario"

Le attività ed i successi che portiamo avanti dipendono dall'impegno di ognuno di noi. Ogni contributo è importante.
dona italiaviva

Intervista di Fabio Jouakim, il Mattino, 17 novembre 2019 

Oggi è in carica come ministro delle Politiche agricole nel governo Conte bis. Ma la storia da sindacalista di Teresa Bellanova, in prima linea contro il caporalato, passa anche attraverso le dure battaglie combattute dalla parte dei lavoratori del comparto tessile. A Catania per il battesimo di Italia Viva in Sicilia, il ministro interviene con forza sul caso dei 43 lavoratori segregati in una fabbrica di Melito.

Ministro, i 43 operai segregati erano tutti in nero, tra loro anche una donna incinta e due minorenni.
«Una cosa gravissima. È bene che la legge contro il caporalato venga applicata ed estesa a reati gravissimi che rasentano l'induzione in schiavitù delle persone. Tutti coloro che hanno una responsabilità politica e istituzionale devono assumerla come una battaglia dirimente, sulla dignità delle persone e sul diritto a lavorare in ambienti salubri e sicuri. Ne va della qualità della democrazia».

Quali sono gli strumenti a disposizione per combattere questi episodi?
«Bisogna lavorare, senza aspettare che accadano altri episodi del genere. Puntando da una parte sulla parte repressiva della legge, come è accaduto a Melito, concentrando le ispezioni. La riforma del lavoro è stata fatta anche con questa finalità, mettere insieme gli ispettori dell'Inps, dell'Inail e del ministero del Lavoro per poter ampliare il raggio d'azione, in modo da non avere magari tre ispezioni nella stessa azienda e lasciare aree scoperte».

E inoltre?
«Insieme al controllo e alla repressione, bisogna attivare gli strumenti che incidono sulla filiera del valore. A un imprenditore non può essere consentito guadagnare fino all'inverosimile. Con l'azione di tutti, comprese le parti sociali, bisogna capire se ci sono anche distorsioni dell'intera filiera».

Vale a dire?
«Capire se le commesse vengano affidate rispettando i costi di un'organizzazione di lavoro normale. Se un minuto di lavoro in Veneto o a Biella, per esempio, costa un tot, non può costare la metà o meno della metà al Sud. Il contoterzismo deve servire a rendere più competitivo il sistema e la qualità del servizio al consumatore, non può essere utilizzato per ridurre i costi negando i diritti alle persone».

Dal punto di vista etico, che figura ci fanno le griffes italiane?
«L'industria della moda italiana è un pezzo fondamentale del nostro Paese, ci fa conoscere nel mondo a partire dalle grandi griffes. Sicuramente ora la commessa sarà ritirata, ma non è sufficiente. Bisogna mettersi attorno a un tavolo e cercare un accordo sulla distribuzione della filiera».

Che ruolo potranno avere le istituzioni in questo senso?
«Va attivato subito un tavolo di confronto, anche in sede ministeriale, dove tutte le parti vengono chiamate a discutere e trovare un'intesa, magari un protocollo. Un accordo condiviso tra aziende committenti e terziste per riconoscere un minimo costo al minuto, altrimenti le aziende scaricano sui lavoratori il mancato guadagno. Se si inceppa la distribuzione del valore nella filiera, è evidente che qualcuno paghi».

E quel qualcuno sono i lavoratori, tenuti in condizioni di schiavitù.
«E questo avviene in Italia o in altre parti del mondo, dove magari crolla un palazzo e tra le macerie, oltre ai corpi di uomini e donne, si trovano etichette vendute non sulle bancarelle, ma nelle strade del lusso delle grandi città del mondo. Non basta un codice etico. Servono comportamenti etici, lungo l'arco intero della filiera».