Intervista di Marco Patucchi, 5 dicembre 2019, la Repubblica
«Ad un'azienda che fa miliardi di attivo e intanto taglia migliaia di posti di lavoro, un governo dovrebbe ricordare che la nostra splendida Costituzione parla di responsabilità sociale delle imprese». Teresa Bellanova è ministra dell'Agricoltura (quota Italia Viva) e in prima battuta non dovrebbe occuparsi più di troppo dell'emergenza occupazionale italiana. Dal caso Ilva, riesploso clamorosamente in queste ore, agli ottomila esuberi annunciati da Unicredit. «Ma quando ero viceministra dello Sviluppo Economico, con Calenda, ho gestito trentadue tavoli con i commissari di Ilva e con i Mittal. Insieme a tante altre crisi industriali. So che significa. Ogni sera, quando finivano quelle riunioni, me ne tornavo a casa con un pezzo di fegato in meno perché dietro ogni numero c'è una persona, una vita».
Sta dicendo che oggi i tavoli sulle crisi industriali non funzionano?
«La differenza è tra chi passeggia tra i tavoli e chi li gestisce. Tra chi fa proclami, alza la voce davanti alle telecamere, e chi anche in modo riservato, senza mai staccare la spina, costringe le imprese a farsi carico della responsabilità sociale di cui dicevo. Noi con Mittal lo facemmo, andando avanti nella trattativa un passo alla volta, riducendo le asprezze, e solo nel momento decisivo Calenda calò sul tavolo l'aut aut: "O diecimila assunzioni o niente!" E così è andata. Ora a Taranto, invece, siamo di nuovo nel dramma e a quel tavolo si gioca a farsi male».
Facile parlare dal ministero dell'Agricoltura. Lei cosa direbbe ai Mittal? E poi, magari, l'ultima sparata della multinazionale è solo una mossa tattica per la trattativa...
«In effetti da qui non sono in condizione di sapere se è tattica o no. Certo, se lo fosse sarebbe della peggiore specie perché in ballo c'è il lavoro delle persone, la loro vita. Ecco perché prima di far uscire certi allarmi sarebbe bene mettersi intorno al tavolo e rimanerci fino ad una soluzione. Ma non voglio dare consigli a nessuno: dico soltanto che bisognerebbe inchiodare agli impegni presi un'azienda che si permette di tradire gli accordi appena un anno dopo averli sottoscritti».
Arcelor Mittal sostiene che il piano industriale va cambiato perché il mercato dell'acciaio è in crisi.
«Nella siderurgia le crisi sono cicliche e, come fatto in passato, si possono affrontare con gli ammortizzatori sociali, non con tagli strutturali. E ci tengo a ricordare una cosa che nessuno dice mai: oltre ai 10.700 operai impiegati oggi da Ilva, ci sono anche i 1300 rimasti nell'amministrazione straordinaria e che, secondo gli accordi, andranno riassunti».
Cosa pensa della discesa in campo dello Stato? Il ministro Patuanelli pensa ad una nuova Iri.
«Il settore dell'acciaio è quello più sottoposto a limiti e vincoli antitrust. Arcelor Mittal per prendere l'Ilva ha dovuto cedere altri stabilimenti in Europa. E comunque, se alla fine della fiera Taranto chiude, per loro sarà solo un favore: andranno a produrre acciaio con il ciclo integrale altrove. Il problema è che qui da noi si continua a ragionare un tanto al chilo, tra chi immagina parchi giochi o allevamenti di mitili. Bisognerebbe chiamare il 118 e chiudere questo circo».
Nel governo giallo-verde la politica industriale del Paese era in mano a Luigi Di Maio e anche nel nuovo esecutivo Mise e Lavoro sono targati M5S: com'è possibile che il suo ex partito, il Pd, un tempo il partito delle fabbriche, si sia chiamato fuori da tutto questo?
«Guardi, sarei contenta se il Pd sull'Ilva dimostrasse una posizione chiara. D'altra parte non è che mi ha molto sostenuto quando gestivo da viceministra i tavoli di crisi. Era come se pensassero di sostituirsi agli imprenditori senza però averne le competenze e le risorse».
Lavoro e ambiente in Italia potranno mai convivere?
«Io penso di sì. Ma ognuno deve assumersi la propria responsabilità».